La “tempesta perfetta”: solo il coraggio e la lungimiranza possono salvare le imprese

da | 6 Set 2011

Per affrontare con successo le situazioni complicate bisogna guardarle in faccia. Quando un imprenditore proprietario di una piccola o media impresa, si ritrova, come tutti noi, all’interno di una “tempesta perfetta”, la priorità è restare a galla, non affondare, non scomparire fra i flutti. La tempesta è formata da quattro elementi che concorrono assieme a create l’evento eccezionale. Ci troviamo ad affrontare una crisi finanziaria che deve ancora esprimere tutta la portata del suo disastro, perché si continua a rimandare il peggio consentendo a nazioni, ad assicurazioni e a banche di fare altro debito per prendere tempo. Abbiamo problemi ambientali di portata planetaria con in particolare l’emergenza climatica, forse già irreversibile, che sta portando ad un aumento esponenziale dei disastri meteorologici. Abbiamo problemi economici dovuti all’eccesso di produzione, ovvero alla disponibilità oramai solo di mercati domestici di sostituzione e per di più impoveriti ed in crisi di fiducia. Intanto sul piano delle esportazioni viviamo lo spostamento della leadership sui mercati dove arrivano nuovi “dominatori”, quelli che vengono denominati BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), grandi nazioni con grandi popolazioni, in parte con abbondanza di materie prime e una crescita economica a due cifre. Molti analisti stimano la perdita di manifatturiero in Italia nei prossimi anni in almeno il 40%. Abbiamo problemi sociali enormi dovuti all’aumento della povertà “senza speranza”. Migliaia di persone che perdono il posto di lavoro e non lo ritroveranno, con riverberi imprevedibili sulla coesione sociale. Infine c’è un quinto elemento non ancora presente, ma altamente probabile, che è quello dell’avvio di nuove guerre per le risorse energetiche ed il probabile spostamento di masse di giovani dall’Africa all’Europa. Un ulteriore contributo all’instabilità ed alla sfiducia dei mercati. Probabilmente è la crisi finanziaria quella che colpirà per prima e da sola basta a cambiare in modo irreversibile il modo con il quale siamo abituati a lavorare, ma comunque ognuno dei 4 problemi elencati sopra è in grado di scatenare gli altri. Sembra proprio che tutti i nodi vogliano venire al pettine assieme, rendendo quasi impossibile il poterli affrontare e risolvere con successo. Una tempesta perfetta, appunto, ma nella quale dobbiamo imparare a nuotare.
“Che tu possa vivere in tempi interessanti!!” dicevano i cinesi quando volevano maledire qualcuno, perché la Storia ricorda solo le date delle guerre, delle invasioni, dei terremoti e delle rivoluzioni e sorvola i periodi di stabilità, quando si vive sereni e non ci sono violenze o sommovimenti sociali. Bene, noi pare proprio che siamo destinati a vivere in tempi interessanti, che verranno ricordati nei libri di storia. Cerchiamo di prenderne coscienza, di accettare il fatto e anche di reagire. Non è una crisi passeggera, è l’inizio di un grande cambiamento di cui non si vede la fine e non si possono prevedere con chiarezza gli sviluppi futuri. Un imprenditore a capo di una pmi, o un artigiano che sia, dovrebbe quindi guardare in faccia la “tempesta perfetta” e prenderne coscienza della situazione. Lo scopo non è l’ottenimento di una consapevolezza di superficie, solo intellettuale o da “notizia ricevuta e registrata”. Bisogna conseguire una coscienza profonda, di cuore e di pancia, di quelle che portano a fare scelte di vita. Bisogna capire e accettare che nulla tornerà come prima e che i vecchi sistemi non funzionano più o funzioneranno per poco. Bisogna prendere coscienza che è finito il tempo della quantità, delle grandi commesse, dei lotti numerosi e del guadagno sudato fino all’ultimo euro, ma più o meno garantito dalla domanda di mercato sempre in tiro. Attualmente quasi tutti i settori che ancora sono in crescita, anche vorticosa, sono “drogati” da incentivi di qualche tipo realizzati con denaro pubblico. Tutto il resto è fermo o vivacchia. I soggetti più a rischio sono le grandi imprese: senza crescita, senza grandi opere, senza mercati internazionali in cui esportare esse sono destinate a scomparire. Esse sono molto più fragili di come appaiano e probabilmente scompariranno, perché, come i dinosauri, forse hanno fatto il loro tempo.
Ma il piccolo imprenditore e l’artigiano invece se la può cavare, perché più si è piccoli, più si è flessibili e c’è sempre un radicamento sul territorio. Poi chi lavora in piccolo è in primo luogo un combattente, non un azionista che attende la rendita per il suo capitale o un supermanager strapagato che cade sempre in piedi. Se l’artigiano o il piccolo imprenditore sta sul mercato da anni rischiando del suo, vuol dire che possiede motivazione e capacità. Si tratta ora di trovare nuove motivazioni dove orientare tali capacità.
L’imprenditore si deve impegnare più degli altri per lavorare su se stesso, perché ha una responsabilità sociale importante. Le sue scelte hanno ricadute sul molte altre famiglie, oltre la sua, e nell’insieme anche sull’andamento della nazione. Non dimentichiamo che dall’ultimo Rapporto annuale Istat (2007) si rileva che le imprese in Italia sono circa 4,4 milioni e occupano 16,8 milioni di addetti, con una dimensione media di 3,8 addetti (contro una media UE15 di 6,6). Il 99,92% delle imprese ha meno di 250 dipendenti e realizza l’85% del Pil, il 58% ha un solo addetto, mentre quelle con più di 250 dipendenti sono soltanto 3.520 (lo 0,08%)…. e questo forse ci salverà.
In concreto, possiamo quindi suggerire al nostro piccolo imprenditore o artigiano i seguenti passi:
a) Abbandonare speranze ed illusioni che la crisi sia passeggera e/o che interverrà un qualche miracolo in grado di salvare la situazione. In ogni caso, mentre continua ovviamente a cogliere le opportunità di mercato residue, l’imprenditore dovrebbe creare una “scialuppa di salvataggio aziendale” ipotizzando il peggiore degli scenari possibili. Per essere “inaffondabile” la “scialuppa” dovrà produrre beni utili.
b) Mentre si prepara la “scialuppa” in un settore aziendale, orientare lentamente tutta la produzione, ove possibile, verso prodotti e/o servizi certamente utili. Anche se “finisce il mondo” la gente continua a mangiare e a bere, deve cucinare, si deve vestire, si deve spostare, deve abitare da qualche parte e deve arredare la casa, riscaldarla…. Insomma, se ad esempio si ha in azienda la tecnologia per tagliare lamiere e saldare piccoli spessori, è meglio orientarsi verso la produzione di forni e caminetti ad alta efficienza, piuttosto che verso fabbricazione di carter aerodinamici per motociclette da competizione!
c) Abbandonare il mito della crescita continua e dello sviluppo. Il futuro è nella stabilità e nell’utilità, nella collaborazione e nella relazione col cliente piuttosto che nella competizione con i concorrenti. Meglio lavorare per stabilizzarsi nella dimensione ideale, dove fatturato, n° di dipendenti e quantità di prodotti o servizi sono in equilibrio, che continuare ad indebitarsi per uno sviluppo continuo oramai privo di senso e dove, quando va bene, è tutto un saliscendi. “Grande è bello” è una balla!
d) Impostare l’organizzazione dell’azienda avendo a riferimento il principio della sobrietà. Gli imprenditori sono abituati a crescere e nello sviluppo sono molto bravi. Ma quando si tratta di decrescere sono guai, perché non lo fanno mai per scelta: subiscono le crisi di mercato. Poi perché manca la mentalità ed il sapere. Allora si usa l’ascia per tagliare personale, rami d’azienda, magazzini… Invece bisogna usare il cesello e togliere il superfluo in ogni area senza danneggiare l’azienda. L’obiettivo è sempre il precedente punto “C”: trovare la misura giusta e stabilizzarsi. Creare un tipo di azienda da lasciare alle generazioni future. Esistono sartorie artigianali, officine di fabbri, piccoli gioiellieri aperti da 500 anni! Forse c’è da imparare qualcosa…..
e) Trovare nuovi paradigmi di eccellenza. Oggi il miglioramento continuo delle prestazioni, la vastità della gamma, l’innovazione estetica e tecnologica ed altri plus tradizionali sono solo in apparenza dei valori vincenti, perché il mercato non le paga più queste cose. Le accetta, ma non lascia i giusti margini. E’ un segnale preciso. Rispetto dell’ambiente, etica, rapporto qualità prezzo, concretezza/sostanza, reale utilità sono nuovi paradigmi di eccellenza che il mercato apprezza e ripaga.
f) Cercare di produrre utilizzando meno acqua, meno energia e meno materiali, producendo meno rifiuti. Applicare tecniche di analisi dei processi e dei prodotti per verificare l’impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita ed applicare quindi tecniche di eco-design per migliorare processi e prodotti. Oltre ad essere un impegno apprezzato dal mercato, aiuta l’impresa a cambiare in meglio.
g) Impegnarsi in ogni caso, anche quando sembra difficile, nello sviluppo di un mercato locale, di territorio. I costi sempre più elevati dei trasporti e le penalizzazioni legate alle emissioni di CO2, valorizzano il km 0 e i mercati di prossimità. Inoltre vendendo in loco si rafforzano i legami con il territorio che diventa una protezione per la sopravvivenza dell’azienda stessa, che viene vista come un capitale comune. Il probabile aggravarsi della crisi finanziaria e la scarsità dei carburanti legata al picco del petrolio segneranno il declino della globalizzazione, togliendo di mezzo molti concorrenti internazionali e lasciando spazio alle nostre pmi ed agli artigiani. Però i consumi sono in costante contrazione, perciò è importante muoversi velocemente: non ci sarà comunque spazio per tutti.
h) Chiedersi cosa significa oggi essere dei vincenti e cosa essere dei perdenti. Verificare senza pregiudizi se l’immagine che si proietta all’esterno (e quella che si ha di se stessi) è ancora vincente oppure si è rimasti “incollati” a valori vecchi e superati. E’ più facile di quanto non si pensi considerarsi vincenti mentre invece agli occhi degli altri si è solo ridicoli.

Mi rendo conto che il messaggio può apparire duro e molto controcorrente, quando ancora tutti parlano di crescita, di ripresa, di sviluppo e di aumento del PIL. Ma gli imprenditori medio-piccoli e gli artigiani che vogliono ragionare con la loro testa, senza credere come in una religione ad un modello che mostra la corda, potranno giungere alle stesse conclusioni, o a conclusioni analoghe, semplicemente osservando direttamente le cose che accadono a lui, ai suoi clienti e ai suoi fornitori. In ogni caso è tempo di reagire e chiedersi: “davvero io penso che la situazione economica e di mercato tornerà, prima o poi, com’era nel 2007?” Ecco, ognuno si può dare la sua risposta ed agire di conseguenza. Se la risposta è “no è finito un periodo storico e nulla sarà come prima”, allora l’imprenditore lungimirante deve aver coraggio. Un nuovo tipo di coraggio: il coraggio di cambiare. Non si tratta del coraggio di innovare, di investire, di competere, di rischiare, ma del coraggio di cambiare e di andare davvero controcorrente. Pensare con la propria testa e cercare la propria nuova strada. Nel nuovo mercato che arriva non ci sarà posto per tutti e allora, chi non se la sente di cambiare, chi non riesce a capire, è meglio che cerchi una strategia di uscita dal mercato volontaria e possibilmente dolce, prima di rischiare di essere sbattuto fuori malamente.

Giordano Mancini

Marzo 2011