Un bel giorno, passeggiando per la campagna umbra, incontrai un signore anziano. Dopo esserci scambiati un cordiale saluto, lui iniziò a parlarmi di una sorgente che nasceva più in alto…
Era tutto preoccupato, perché di quell’acqua non c’era più traccia dall’ultima lieve scossa di terremoto. E così si mise a raccontare della sua capacità di trovare l’acqua con un bastone. Parlava in modo vago e rassegnato, come fanno spesso gli anziani con i giovani o i passanti. Ma io, interessata all’argomento, cercavo di approfondire: «Di che legno di tratta?». Lui fu sorpreso e si entusiasmò così tanto che corse subito a prendere le sue cesoie.
La cosa si faceva appassionante. Sentivo che stavo per scoprire un prezioso gioiello di antica sapienza. Per prima cosa questo signore mi mostrò sul ciglio della strada dei cespugli d’olmo. Asserì che l’olmo, amando molto l’acqua, era il legno adatto, e mi mostrò la conformazione dei rami che doveva ricavare dalla pianta per compiere il suo incantesimo.
Dopo aver tagliato due forcelle adatte all’operazione e averle mondate dei rametti e dei gettiti minori, ne prese in mano una, porse a me l’altra e iniziò. Lui non sapeva spiegare con le parole ciò che stava facendo, diceva solo di stringere e di pensare «all’acqua pulita». Poi mi guardava, quando il legno gli rispondeva, come a dire: «Mi funziona, mi funziona così, è più forte di me, qui c’è l’acqua».
Dopo una decina di minuti e diversi tentativi, capii meglio quale presa tenere, e avendo neutralizzato i miei pensieri, riuscii finalmente a camminare stringendo il legno, senza bloccarlo e influenzarlo. Fu come se un vento sollevasse la forcella in posizione verticale. Dubbiosa sulle mie percezioni e ritenendo davvero plausibile l’ipotesi del vento, procedetti nella direzione opposta. Il legno si sollevò di nuovo. Camminai più in là, e verificai che la corrente attraversava la strada in diagonale. Riuscivo a seguirla. E il moto del legno non dipendeva da me. Era con ogni evidenza un incontro tra la mia percezione e un fenomeno delicato e sottile.
Ero talmente grata a questo signore che lo abbracciai. Lui mi regalò i ramoscelli, spiegando però che funzionano solo se sono ancora vivi, tagliati di fresco. Mi disse infine che non poteva esercitare ancora a lungo questa sua arte perché se la si pratica per troppo tempo finisce per far male al cuore, e lui, che nella sua vita aveva seguito le correnti per centinaia di metri, in effetti ora soffriva di cuore.
Tornando a casa ho fatto altri tentativi, anche in presenza dei vicini, e sono saltate fuori tutte le tubature della via. Solamente la cisterna non veniva individuata; infatti ho letto che con questo sistema si trova l’acqua che scorre: laddove è stagnante, morta, il legno tace. Dopo alcune ricerche, ho scoperto che la Générale des Eaux, una delle maggiori multinazionali dell’acqua, iniziò proprio così la sua attività, servendosi di anziani sourcier che individuavano le sorgenti con rametti di nocciolo. E ho potuto vedere un video in cui un anziano francese semianalfabeta spiega in dialetto come la rabdomanzia sia un’attività pericolosa per il cuore.
Pare che non sia propriamente il legno a riconoscere l’acqua, ma il nostro corpo che, indipendentemente dalla nostra volontà, emette delle vibrazioni che fanno piegare la forcella. Nella maggior parte delle nostre campagne, chi scavava un pozzo sceglieva così il luogo dove farlo. Oggi i rabdomanti sono pochi e alcuni vendono i propri servizi a vivaisti senza scrupoli che poi prosciugano le falde. Ma in un futuro prossimo, potrebbe essere necessario recuperare quest’arte magica, con la consapevolezza del sacro legame che c’è tra noi e l’acqua, fonte di vita, luogo dell’inconscio, dell’energia lunare e ricettiva. L’acqua, che ci parla come se non vi fosse discontinuità alcuna tra quella che scorre fuori e quella che scorre dentro di noi, nel canale delle emozioni: il cuore!
Fonte: Aam Terra Nuova