Val Susa, messaggio all’Italia: no al debito, tagliamo la Tav

da | 24 Ott 2011

La Torino-Lione sarebbe la grande opera dei record: la più costosa della storia italiana e, secondo i No-Tav, anche la più inutile: «Almeno 40 miliardi di euro buttati, per una linea ferroviaria che non servirà mai a nessuno». Qualche cifra: la ferrovia che la valle di Susa non vuole costerebbe 5.000 euro al centimetro. Per capirci: 4 centimetri di Tav sono un anno di pensione, 3 metri di binario una scuola materna, 500 metri un ospedale. Il 23 ottobre, nel giorno in cui Sarkozy e la Merkel ridono di Berlusconi in mondovisione mentre Van Rompuy annuncia che l’Italia avrà tre giorni di tempo per decidere di privatizzare i beni comuni e tagliare il welfare, dalla valle di Susa arriva un’indicazione opposta: l’unico taglio ammissibile è quello delle reti della “zona rossa”, l’area off limits destinata al futuro cantiere, gigantesco monumento allo spreco decretato dalla lobby finanziaria che sta piegando l’Europa, in spregio a tutti i suoi popoli.
Un’altra Europa è possibile: questo il messaggio corale che la valle di Susa consegna alla cronaca italiana, chiudendo senza nessun incidente la settimana più difficile della lunga storia del movimento No-Tav, aperta dagli scontri del 15 ottobre a Roma che hanno rimbalzato tutto il fuoco mediatico sull’opposizione alla Torino-Lione. Un tam-tam ossessivo, per criminalizzare la protesta: «I black bloc che hanno devastato Roma si sono addestrati in valle di Susa durante l’estate». Risultato: invasione di giornalisti e troupe, dirette televisive già alla vigilia, portavoce No-Tav trasformati in “sherpa” mediatici per guidare i reporter sui luoghi della resistenza civile e raccontare ancora una volta le ragioni della protesta e lo stile ormai ventennale di un’autentica opposizione popolare, unica in Italia. La macchina della paura non ha funzionato: domenica 23 ottobre, sui sentieri del bosco tra Giaglione e la Maddalena di Chiomonte hanno sfilato migliaia di manifestanti pacifici, almeno 15.000 secondo il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano, presente al corteo con gli amministratori locali insieme a personalità come Giorgio Cremaschi della Fiom, Giulietto Chiesa e l’ex ministro Paolo Ferrero.
Sulle barricate, molti dissidenti del Pd come lo stesso Plano, il sindaco di Venaus Nilo Durbiano e Carla Mattioli, sindaco di Avigliana: «Stiamo conducendo una tenace resistenza politica per spiegare al nostro partito che la Torino-Lione è un’opera totalmente assurda, devastante per il territorio, avversata dalla popolazione e finanziariamente insostenibile, costosissima e totalmente inutile: tutti gli studi dimostrano che l’Italia e la Francia non hanno bisogno di un nuovo collegamento merci, figlio di un progetto obsoleto e risalente all’epoca in cui l’Europa credeva ancora in quel tipo di espansione». C’è di più: «La lotta della valle di Susa – sottolinea Cremaschi – dimostra che i popoli europei non approvano questa Unione Europea dominata dalla Bce e dalle lobby finanziarie che emettono diktat a cui i governi dovrebbero piegarsi: dev’essere chiaro a tutti che chi sta con la Bce, cioè con Marchionne, la Marcegaglia, Berlusconi e la Tav, non sta dalla nostra parte».
Insieme a Ferrero, Giulietto Chiesa era presente in valle di Susa già allo sgombero della “Libera Repubblica della Maddalena”, conquistata dalla polizia il 27 giugno a colpi di lacrimogeni: «Sono grato alla valle di Susa perché ci farà risparmiare almeno 20 miliardi di euro», dice Chiesa. «E’ evidente che i soldi per la Torino-Lione non esistono e che quella linea ferroviaria non si farà mai, così come è chiaro il valore della resistenza popolare della valle di Susa: una avanguardia civile italiana ed europea, che con la sua lotta nonviolenta dimostra l’importanza decisiva di un impegno cruciale, data la posta in gioco: il futuro di tutti noi e dei nostri figli, di fronte a una oligarchia finanziaria che sta cancellando la democrazia e vorrebbe imporci la stessa “cura” inflitta alla Grecia, con i beni pubblici privatizzati, grazie all’alibi di un debito largamente incoraggiato e creato dagli stessi organismi che ora pretendono “sacrifici” inaccettabili e, al tempo stesso, insistono con lo spreco scandaloso di grandi opere che sanno perfettamente inutili come la Torino-Lione».
Questo è il punto: la valle di Susa parla a nome dell’Italia dei referendum, quella che è scesa in campo a giugno contro la “casta”, e che ora la Bce e l’Unione Europea vorrebbero semplicemente cancellare. Rispetto alla minaccia epocale che incombe sul proprio futuro, l’Italia appare indifesa: il governo Berlusconi balbetta, ridicolizzato da Francia e Germania, mentre l’opposizione invoca un esecutivo «serio», cioè spietato e più pronto a eseguire le direttive impartire da Van Rompuy, oscuro politico belga che il gruppo Bilderberg – élite della finanza mondiale, responsabile dello sfacelo – ha messo a capo dell’Unione Europea con un mandato chiaro: spremere cittadini e lavoratori, tagliare istruzione e pensioni, demolire lo Stato sociale su cui si è basata la cittadinanza europea per mezzo secolo e depredare i servizi pubblici, che Bruxelles “raccomanda” di “liberalizzare”, ovvero svendere ai grandi gruppi industriali e finanziari, gli stessi che predicano “ripresa” e “crescita”, anche ora che i popoli sono chiamati a pagare per il frutto avvelenato della speculazione bancaria e della crescita drogata dei consumi superflui: il debito.
«Il default degli Stati fa il paio con l’altro default, quello della Terra», ripete Cremaschi: «Non possiamo più accettare un modello di sviluppo che devasta le risorse del pianeta». Ecco perché anche in questo la battaglia popolare della valle di Susa si rivela profetica: se il potere politico, industriale e finanziario ripropone lo stesso sviluppo-truffa capace solo di produrre maxi-profitti per pochi e debito per tutti a scapito dei territori, è doveroso dire “no”. Alberto Perino, portavoce del “popolo No-Tav”, è felice dell’esito della mobilitazione del 23 ottobre: «Abbiamo simbolicamente “tagliato le reti” e dimostrato che la nostra è una lotta nonviolenta». Sollievo anche da parte della polizia, che alla vigilia ha creato un efficace “filtro” per escludere il rischio di infiltrazioni violente, ma poi – di fronte al corteo pacifico di migliaia di montanari – ha evitato qualsiasi prova di forza, limitandosi a controllare da vicino il libero afflusso di manifestanti nella “zona rossa”, rispettando la loro libertà di manifestare.
Sottratta la valle di Susa al tetro folklore della guerriglia, il 23 ottobre 2011 resta una pietra miliare – data la sovraesposizione mediatica dopo i disordini di Roma – ma anche un bivio cruciale: i politici che fino alla vigilia “gufavano” temendo il peggio e invitando i cittadini a restare a casa, di fronte al bilancio positivo della giornata sul piano dell’ordine pubblico fingono che il problema sia risolto, dando per scontato che «la Torino-Lione si farà, perché si deve fare». Sbagliato: la valle di Susa, come l’Italia dei referendum, ribadisce che di scontato non c’è più niente, nell’Italia del 2011: «Fra sei mesi – ipotizza Giulietto Chiesa – la situazione finanziaria generale sarà così drammatica che nessuno si potrà più permettere di ripetere allegramente che in valle di Susa si “dovranno” sprecare miliardi per un’opera inutile». Si profila una grande partita politica: «A pensarla così siamo milioni, solo che non siamo ancora rappresentati», dice ancora Giulietto Chiesa, convinto che la valle di Susa sia «un modello perfetto, da esportare: se ci fossero dieci, venti, cento valli di Susa, oggi l’Italia sarebbe un paese migliore, con più dignità e più speranza davanti a sé».
 
 
 
Fonte: Libre