Organizzare la speranza, oltre il massacro che sta arrivando

da | 11 Lug 2012

La prima notizia è che le cose vanno di male in peggio: si profila il taglio epocale del sistema di welfare sul quale si sono basati decenni di progresso e pace sociale. Decenni turbati da crisi profonde, ma con sempre una luce in fondo al tunnel: un sistema di diritti e di solidarietà garantite, nonché la fiducia in un avvenire migliore, per sé e per i propri figli. La seconda notizia forse è ancora più preoccupante: la società civile non reagisce e, per ora, si limita a subire in silenzio le spietate punizioni di massa che gli scienziati europei del “rigore” hanno commissionato a Mario Monti.

Dietro la maschera del saggio guaritore incaricato di organizzare la “ripresa” mediante le più drastiche “riforme strutturali”, medicina amara ma necessaria, il tecnocrate del Bilderberg e della Goldman Sachs, esponente dell’élite finanziaria mondiale, sta inoculando nel sangue italiano tossine mortali, in grado di stroncare per decenni qualsiasi economia.

Monti è a Palazzo Chigi grazie al presidente Napolitano, col pieno sostegno di Bersani, Casini e Berlusconi. Il vero “mandante” è Mario Draghi, presidente della Bce (sostenuto da Berlino, non da Roma) nonché esponente del “Group of 30”, potentissima lobby planetaria specializzata nel piegare le leggi degli Stati agli interessi egemonici delle grandi multinazionali, le stesse che fra poco erediteranno – per quattro soldi – quel che resterà dell’Italia, paese che figura tuttora tra le prime 7 economie del mondo.

Lo hanno chiamato “golpe finanziario”, senza timore di evocare dietrologie e complottismi: sono lì a confermare i peggiori sospetti il taglio senza anestesia del sistema sanitario nazionale, che colpisce tutti a cominciare dai più deboli – poveri, vecchi, bambini – e viene dopo la controriforma del lavoro, l’attacco alle pensioni, l’aumento dell’Iva e della benzina, l’imposizione dell’Imu, il taglio del pubblico impiego. Il ricatto dello spread ha prodotto una terapia-choc lineare, orizzontale, non selettiva, destinata solo ad aggravare la crisi e deprimere i consumi, terremotare la vita delle famiglie, spaventare giovani e anziani, strappare le ultime sicurezze rimaste diffondendo angoscia in tutta la società italiana.

I grandi media reggono la coda a Monti e fingono di credere al cosiddetto risanamento dei tecnocrati, che in realtà – lo dice il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman – è una falsa cura, che servirà solo a uccidere il moribondo. I grandi giornali, coi loro editori-affaristi e i loro economisti di corte, gli editorialisti reclutati dalle stesse illustri accademie dimostratesi perfettamente incapaci di prevedere la crisi più devastante dal dopoguerra, concorrono al sonno clinico di una politica annichilita dalla propria mediocrità, dai privilegi di casta, dalle piccole ragioni di bottega.

Una politica incapace di risposte perché innanzitutto priva di visione: vent’anni ininterrotti di ipnosi collettiva, attorno al folklore di Bossi e Berlusconi, mentre la “guerra infinita” inaugurata dall’11 Settembre ha cambiato il mondo, rivelando – dalla mattanza della Diaz contro i no-global fino alla guerra in Libia e ora in Siria – quanto siano pericolose, per tutti, le crisi che minacciano la supremazia degli imperi traballanti, come quello del campione della pace Barack Obama che ogni settimana, rivela il “New York Times”, firma una lista di persone sospette da far assassinare senza processo, in giro per il mondo, con fucili di precisione o meglio ancora sotto i missili sganciati da aerei senza pilota.

A partire dal clamore di “Occupy Wall Street”, è venuta alla luce solo negli ultimi anni la grande protagonista occulta delle nostre disgrazie: la finanza, che ha strangolato l’economia. Lentamente, affiorano strane connessioni: si scopre che la tanto sospirata unità europea, l’agognato traguardo cui anelava l’antifascismo veggente di Altiero Spinelli, non è stata una costruzione realmente federale, né tantomeno democratica, perché la cessione delle sovranità nazionali non è stata negoziata in cambio del controllo popolare sul governo del continente.

Gli elettori europei votano solo il Parlamento di Strasburgo, che non ha nessun potere sull’esecutivo comunitario, la Commissione di Bruxelles che riscrive le regole del nostro futuro: dal Trattato di Maastricht fino al Fiscal Compact, è stato consolidato un assetto autoritario, senza validazioni referendarie, che dal 1° gennaio 2013 toglierà agli Stati anche l’emblema della loro stessa ragion d’essere, ovvero la sovranità in materia di spesa pubblica. Ogni singolo bilancio dovrà prima essere validato da oscuri tecnocrati che nessuno ha eletto, ma che sono stati tutti autorevolmente designati dal super-potere economico e finanziario, lo stesso che – con l’introduzione di una moneta “privata” come l’euro – ha mutilato gli Stati della propria autonomia, trasformando il debito pubblico, motore storico dello sviluppo sociale (scuole, ospedali) in una autentica tragedia.

Analisti come Giulietto Chiesa tendono a mettere in relazione il declino forzato dell’Europa – indotto dalla crisi dell’euro e della finanza, orchestrata da Wall Street – con la grande paura degli Usa: anche se i cittadini americani ne sono sostanzialmente all’oscuro, il loro governo sa benissimo che la resa dei conti con la Cina è ormai vicinissima. In appena una manciata di anni si dovrà decidere come spartire le ultime risorse strategiche del pianeta – acqua, terra, agricoltura, gas, petrolio – e c’è il rischio concreto che la parola possa tornare alle armi, come dimostra il pericoloso attivismo politico-militare statunitense nelle aree-frontiera con gli interessi geopolitici cinesi.

Fino a ieri, studiosi come Serge Latouche e Maurizio Pallante venivano liquidati come cassandre stravaganti; oggi si comincia a comprendere che la decrescita di cui parlano è un modo intelligente per non subire del tutto la decrescita vera, quella che l’impero occidentale in agonia ci sta già cominciando a riservare.

Se l’Iran sarà la prossima tappa della nuova guerra fredda, quella europea resta una retrovia strategica, che forse è meglio tenere sotto controllo con la paura della crisi artificiale, quella decisa a tavolino dalla finanza, dietro cui però si profila un’altra crisi, ancora peggiore, per fronteggiare la quale probabilmente non basterà neppure più il ritorno alle sovranità vitali che la falsa Unione Europea ha scippato ai popoli, con la complicità di partiti e governi.

In Italia, l’unica vera novità politica – controversa fin che si vuole – è rappresentata da Beppe Grillo: efficace, se non altro, nel colpire la casta degli zombie attraverso una mobilitazione dal basso dell’opinione pubblica, trasformata in cittadinanza attiva per un progetto a termine, e cioè salvare il salvabile, sfrattare partitocrati corrotti, promuovere competenze e soluzioni razionali, riprovare a investire sul futuro. Manca un vero programma adeguato al drammatico scenario nazionale e internazionale, dicono molti critici, ma intanto l’eliminazione dell’ostacolo principale – licenziare i maggiordomi dei potentati economici – non può che essere un primo passo indispensabile.

Sono in molti a sostenere la necessità ormai drammatica di una convergenza universale di uomini e donne di buona volontà, ben consapevoli delle smisurate difficoltà che avranno di fronte: la sovranità democratica del singolo cittadino è ormai ridotta a zero, tutte le decisioni che riguardano la sua vita sono prese altrove, lontanissimo, da poteri sempre più irraggiungibili. Resta aperta, in parte, la via dei territori: piccoli sistemi sociali, geograficamente ravvicinati, possono provare a riconvertire l’economia riducendo progressivamente le proprie dipendenze, anche con l’aiuto della finanza etica.

Quello che serve, oggi più che mani, è una politica capace di sistematizzare i nuovi strumenti della speranza e sostenere i modelli virtuosi. Un alfabeto politico chiaro e leale, in grado di parlare la lingua del mondo e lavorare ogni giorno per la pace giusta di un futuro possibile, allontanando la disperazione collettiva in fondo alla quale, prima o poi, c’è sempre la guerra.

Fonte: Megachip