Lipu: “Sparito in trent’anni il 52% degli uccelli. Colpa dell’agricoltura intensiva”

da | 27 Ago 2012

In poco più di trent’anni nelle aree agricole dell’Unione europea i volatili sono calati del 52%. Dal 1980 ad oggi, infatti, ben 300 milioni di uccelli selvatici sono letteralmente spariti. Colpa dei metodi di coltivazione insostenibili per la natura, accusa Lipu-BirdLife Italia. Che, sulla base dei clamorosi dati raccolti dal Farmland Bird Index (Fbi), avverte: “L’agricoltura intensiva distrugge il paesaggio e fa scomparire gli animali”. Un problema che rischia di andare fuori controllo.

L’inquietante moria di volatili è infatti un indicatore degli effetti che l’abuso di sostanze chimiche sta avendo sull’intera biodiversità. Urge un ripensamento della Politica agricola comune (Pac), secondo Lipu, per “premiare gli agricoltori che riducono l’uso di acqua, pesticidi e nitrati”. Esattamente il contrario di quanto fatto negli ultimi decenni. Metodi di coltivazione intensivi e uso smodato di fertilizzanti e diserbanti. Ma anche stravolgimenti del paesaggio rurale. È quanto sta alla base dell’allarmante calo di biodiversità nelle zone agricole europee. Piante, insetti, ma soprattutto uccelli selvatici: su 37 specie considerate, ben 22 sono in diminuzione. Questi animali, a differenza del passato, non possono più convivere con l’agricoltura. Oltre al massiccio uso di composti chimici per massimizzare le produzioni, infatti, i metodi agricoli intensivi hanno spazzato via siepi, alberi e tutto ciò che permetteva ai volatili europei di nutrirsi, nidificare e riprodursi. “La politica agricola comune ha favorito metodi di agricoltura intensiva nelle zone più fertili, come le pianure, mentre ha ignorato le zone agricole marginali, come le praterie montane”, spiega Patrizia Rossi, responsabile del settore agricoltura Lipu. Una scelta deliberata, che ha portato ad effetti estremi: se da una parte si è avuta un’impennata della produzione (e dello spreco) di cibo, dall’altra si sono compromessi interi ecosistemi. “Gli uccelli sono un indicatore dell’intera biodiversità, generalmente utilizzato dalla stessa Unione europea. È infatti molto più complicato, ad esempio, andare a fare un censimento degli invertebrati”.

Se mancano dati precisi a livello europeo su quello che succede alle farfalle o ai coleotteri, dunque, lo stesso non vale per gli uccelli. Che, essendo di solito in cima alle catene alimentari, quando calano lo fanno perché non trovano di che nutrirsi. E non riguarda solo gli animali, ma anche le specie vegetali: “Ce ne sono alcune che, nella pianura padana, ormai si trovano solo sugli argini dei canali – spiega l’esperta di biodiversità – perché sono gli unici punti in cui non vengono dati diserbanti e dove il terreno non viene arato in continuazione”. Un problema di inquinamento, ma anche di salvaguardia dei beni comuni. Come l’acqua, utilizzata in agricoltura più di quanto non si faccia per usi civili o industriali (circa il 40% del totale). “Se andiamo a guardare, vediamo che le falde sono inquinate e che i fiumi sono prosciugati da un eccessivo prelevamento per le irrigazioni”, sottolinea Rossi: “Come nella stessa pianura padana, dove le estese coltivazioni di mais hanno bisogno di enormi quantitativi di acqua”. Urgono cambi di direzione, secondo l’associazione ambientalista, e il momento è quello giusto: proprio in queste settimane l’Ue sta discutendo della riforma della Pac, che da sola rappresenta quasi la metà del bilancio dell’Unione e decide come distribuire gli incentivi agli agricoltori.

Sussidi pubblici che per Lipu dovrebbero andare a favorire chi tutela i beni comuni come l’ambiente e l’acqua, non chi ottiene già sufficienti guadagni con metodi di coltivazione intensivi che permettono di piazzare grandi quantità di prodotti sul mercato. “Quello che proponiamo, e che è stato solo parzialmente preso in considerazione, è di distribuire i sussidi sulla base dei servizi ambientali che i contadini sono in grado di fornire”, spiega la responsabile agricoltura Lipu: “Se un agricoltore non inquina le acque, ripianta le siepi e lascia un po’ di spazio alla natura, è giusto che venga ricompensato con i soldi pubblici. Se invece utilizza metodi di agricoltura intensivi, con un massiccio uso di pesticidi e diserbanti, e per questo riesce a stare tranquillamente sul mercato, non ha bisogno di incentivi pubblici. In sostanza – conclude Patrizia Rossi – noi chiediamo che soprattutto in momenti di crisi come questo i soldi pubblici vengano utilizzati per tutelare i beni pubblici”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it