Guido Ceronetti festeggia i suoi 85 anni con Mdf, e ne diventa socio onorario

da | 3 Set 2012

«Dove tutto è visto come puramente relativo e dissacrabile, ha senso assolutizzare il Pil, le cifre aziendali, le pensioni, le tasse, i conti della spesa, la Crescita di merci che non portano per niente a diminuzioni di infelicità o a più ricchezza nei rapporti umani? Emendate il linguaggio e avrete trovato una chiave. Liberate la mente da una formica di falso e vi toglierete dallo stomaco il peso di un elefante». Sembra di sentire Guido Ceronetti, solitario intellettuale tragicista. E infatti è proprio Guido Ceronetti: sono parole raccomandate ai lettori d’agosto della “Stampa”. Titolo: decrescita felice e socialismo utopistico. Visione: nell’idea della decrescita vivono «le grandi ombre premarxiane dei Thoreau, dei Fourier, dei Saint-Simon, dei Gandhi, della società fabiana, dei Malthus, dei Tolstoij, che tuttora indicano altri cammini, altre vie». Poi, all’improvviso, Ceronetti in persona si materializza, in fondo alla notte torinese, nell’oscurità ventosa di San Salvario. Missione: festeggiare i suoi 85 anni coi ragazzi del movimento di Maurizio Pallante e ritirare la tessera numero 102 del circolo torinese del Movimento per la Decrescita Felice.

Strano, affettuoso cenacolo: in una saletta appartata degli ex Bagni Pubblici, Laura Quassolo scarta le provviste preparate nel pomeriggio con i compagni, piatti vegani con verdure dell’orto. Su un tavolino compaiono bottiglie di dolcetto e pinot bianco rigorosamente sfusi, mentre Elena Del Santo dispone la torta casalinga che ha amorevolmente cucinato per il Maestro, pregustando il momento in cui Jean-Louis Aillon, responsabile del circolo decrescente torinese, avrebbe consegnato a Ceronetti la carta di immatricolazione per il suo ingresso ufficiale nel movimento. Venerdì 31 agosto 2012. Claudicante per via di un piccolo infortunio domestico, Ceronetti arriva sorretto da Pallante, che definisce «uomo singolare, romano di nascita, abitante nella zona più verde della provincia astigiana», con cui lo scrittore ha avuto «l’occasione di un rapporto di amicizia e di un colloquio diretto». Pallante ricambia: quello di Ceronetti è stato innanzitutto «uno straordinario magistero», illuminante e profetico. In fondo, la denuncia della pena antica e inguaribile del mondo sta tutta nelle spietate sentenze del principe Qohèlet, l’Ecclesiaste, la cui memorabile traduzione ceronettiana risuonerà anche nello stanzone di San Salvario, fra letture sceltissime: dall’Agnellina rumena che mette in guardia il suo pastore dal crimine che si va preparando, fino alla suprema confessione di Rimbaud: “Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima, e io andrò lontano, molto lontano”.

«Quando si arriva a questo, che altro resta da scrivere?». Sprofondato su una poltroncina, un berretto calcato sugli occhi, Ceronetti sembra incerto tra la lezione letteraria e il convivio tra anime consonanti. Quasi si scusa: inutile interpellarlo come un oracolo, lui non è che un frequentatore di parole. Certo, la lingua è più importante di quel che si pensi. «Ho sempre in mente di fare un passeggiata, annotando le insegne della via». Palazzeschi, l’inventore della prima, storica “Passeggiata” tra le botteghe di allora, oggi sarebbe completamente smarrito: difficile trovare un solo cartello in italiano sulle vetrine. Dalla sua postazione, Cernetti scruta la platea di giovani che scalpitano per imprimere una nuova direzione alla loro vita. Il Maestro è inevitabilmente amaro: «Leggetevi “L’Horlà” di Maupassant, e capirete». Come dire: c’è un governo nefasto e invisibile del pianeta, un soffio maligno che lo guasta. E dimenticare persino le parole, trascurare l’uso della lingua, significa consegnarsi al nemico senza nemmeno più riconoscerlo. «Sulla copertina dell’“Espresso” del 2 agosto – ha scritto sulla “Stampa” – leggevo “In vacanza con lo Spread”: ed è con questo tipo di attrazioni triviali che si vende svago ai lettori? In vacanza andateci con Isaac Singer, Georges Simenon, Wells, Dostoevskij, per cui non è necessario ungersi la pelle, e pestate lo Spread sul bagnasciuga, con un disinfettante pronto».

La decrescita? Un pensiero che viene da lontano, come l’anarchismo umanitario e il proto-socialismo impregnato di sogni. «E il primo kibbuzismo sionista che cos’è stato? Non ha più nulla da insegnare almondo? Era un’idea grande, una rivoluzione portatrice di pace». Disprezzato come utopistico da Marx, «apostolo della mercificazione e della violenza», proprio il socialismo «risorge anche nelle parole chiarificatrici e nei volti nuovi della Decrescita Felice». Che per l’anziano neofita Ceronetti, tessera 102 del circolo di Torino, resta essenzialmente un’utopia. Il che però non è affatto un problema, visto che «non si può vivere, senza un’utopia», checché ne pensino Jean-Louis e gli altri ragazzi, che dal Maestro si aspettano rivelazioni sulla strategia più adatta per far vincere le idee giuste. Ceronetti li frena: «Questo non è di mia competenza, non saprei come aiutarvi». Quasi si schermisce, l’artificiere delle parole. Senza contare che il mondo, come sostenevano i Catari, è irredimibile. Salvo eccezioni, forse: «Certo, a volte si può lottare». E a chi lo ringrazia per il magistrale reportage, sempre su “La Stampa”, vergato all’indomani dello sgombero del presidio di Chiomonte, Ceronetti replica con una sicurezza degna di un dirigente No-Tav: «Quel treno in valle di Susa non passerà mai. Potranno scavare un po’, distruggere un altro lembo di territorio, ma la linea Tav Torino-Lione non la vedremo mai».

Da oggi, anche ufficialmente, il movimento fondato da Maurizio Pallante annovera tra i suoi padri nobili un profeta del calibro di Ceronetti, antesignano di quello che oggi chiamiamo decrescita: uno che condanna la religione del Pil, «lodato quando e dove cresce (non importa il come), deplorato unicamente quando e dovunque non cresca: un fantasma che infesta le menti». Il germe di una «formidabile crisi del pensiero, cominciata molto tempo prima di quella della Lehman Brothers», come suggeriscono le premonizioni di Heidegger sul vero significato della Tecnica. Sulla “Stampa”, Ceronetti dice che si può giungere a «conclusioni finora non pensabili». Come questa: «Che l’idea della Decrescita del Pil è migliore dell’idea fissa, cara a tutti i poteri che ci opprimono – dai governi alle mafie – che la Crescita (del Pil, funesto infestatore) non abbia nessuna alternativa possibile». Lottare, contro il pensiero dominante? «A me, ormai vecchio, vien voglia di gettare la spugna. È la boxe di un nano disperato contro un gigantesco bruto!». S’è fatto tardi, e fuori imperversa la bufera. Ceronetti rimedia un maglione da usare a mo’ di sciarpa e si congeda a modo suo dai ragazzi di Pallante: «Al mattino, quando mi guardo nello specchio, riesco a non sputarmi in faccia. E’ una bella soddisfazione, sapete?».

Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima, e io andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro, nella Natura – felice come se fossi con una donna.
Rimbaud

di Giorgio Cattaneo