Ivan Illich. Descolarizzare la società

da | 10 Set 2012

La più radicale alternativa alla scuola sarebbe una rete, o un servizio, che offrisse a ciascuno la stessa possibilità di mettere in comune ciò che lo interessa in quel momento con altri che condividono il suo stesso interesse.

“Descholing Society” di Ivan Illich (1926/2002) è stato pubblicato per la prima volta nel 1971, tradotto in italiano l’anno seguente da Mondadori e ristampato nel 2010 da Mimesis.

Se la proposta di una società senza Scuola poteva sembrare rivoluzionaria quarant’anni fa, oggi invece, dati alla mano sulla disoccupazione tanto operaia quanto intellettuale, appare sempre più la strada da perseguire per salvarsi dal declino della società tardo-capitalista.

È difficile comprendere la necessità della descolarizzazione fintanto non si consideri come l’istruzione, al pari di ogni altra merce, venga stimolata, detenuta e venduta dall’Istituzione (Stato, Chiesa, Corporazioni..) con l’obbiettivo finale di creare l’uomo omologato: l’uomo-cittadino, l’uomo-fedele e l’uomo-consumatore; l’uomo obbediente al mito del falso progresso.

Scrive Illich:

All’inizio del secolo XVII cominciò ad affermarsi un nuovo consenso, intorno all’idea che l’uomo nascesse inidoneo alla società e tale rimanesse se non gli si forniva una “educazione”. L’educazione venne così a indicare l’opposto dell’attitudine vitale. Venne a indicare un processo, anziché la semplice conoscenza dei fatti e la capacità di adoperare gli strumenti che danno forma alla vita concreta dell’uomo. L’educazione si identificò con una merce, immateriale cha andava prodotta a beneficio di tutti, e a tutti dispensata nella stessa maniera in cui prima la Chiesa visibile dispensava la grazia invisibile. La giustificazione al cospetto della società divenne la prima esigenza dell’uomo, che viene al mondo in una condizione di stupidità analoga al peccato originale.

L’interesse ad educare la propria prole è antico ma si è dovuto attendere l’età moderna per vedere un sistema razionale di repressione, controllo e ridimensione del Sapere. L’idea di fondo della scolarizzazione istituzionale è che gli uomini non nascono uguali, ma lo diventano grazie ad un periodo di gestazione nel ventre della scuola, che guida a staccarsi dal proprio ambiente naturale, per approdare nella società civile come idonei cittadini-consumatori.

La critica alla scolarizzazione non è altro che la critica alla società del consumo e dello spettacolo, un’aspra imputazione di colpa alla società tardo-capitalista.

Illich nota, lungimirante, un altro cambiamento sociale dovuto all’accostamento dell’istruzione alla categoria delle merci, la trasformazione del linguaggio:

parole che un tempo avevano funzione di verbi stanno diventando sostantivi che indicano possesso. Sino a non molto tempo fa “abitare”, “imparare”, “guarire” designavano delle attività: oggi si riferiscono di solito a delle merci o a dei servizi da fornire. Parliamo di industria edilizia, di prestazione di assistenza medica; nessuno pensa più che la gente sia in grado di farsi una casa o di guarire per proprio conto. In una società cosiffatta si finisce per credere che i servizi professionali siano più preziosi della cura personale.

La scuola-istituzione, oltre a trasformare il sapere in merce e le attività umane in prestazioni professionali, è riuscita a legittimare la gerarchia del privilegio e del potere – nel medioevo affidata al favore del re o del papa – attraverso l’istituto liberale dell’istruzione obbligatoria che, afferma Illich:

autorizza colui che è ben scolarizzato a considerare colpevole chi resta indietro nel consumo di sapere, in quanto dispone di un titolo inferiore.

Si è compiuto il paradosso del servo che non riesce più a vivere senza l’obbedienza al padrone e, con una adeguata colonizzazione dell’immaginario fornita dai media, nemmeno più immaginarsi senza catene. Né l’alchimia né la magia sono in grado di risolvere il problema dell’attuale crisi, che non sta nell’Aula bensì nell’Istruzione-Istituzione.

Occorre descolarizzare la nostra visione del mondo, e per arrivare a questo dobbiamo riconoscere il carattere illegittimo e religioso dell’impresa scolastica in se stessa. La sua hubris sta nel proposito di fare dell’uomo un essere sociale sottoponendolo a un trattamento entro un processo predeterminato.

Nell’ultimo capitolo (Rinascita dell’uomo epimeteico) Ivan Illich estende il suo discorso dalla scuola a tutte le Istituzioni dell’uomo contemporaneo che, dopo aver perduto il mito e perduto Dio, ha costantemente cercato di modificare il Mondo a propria immagine, inseguendo un’idea di progresso infinito ed un asservimento totale della natura e dell’ambiente secondo l’ideale dell’”asettico alieno irrelato”. Il Mondo non più voluto da Dio, ma codificato dall’uomo, si è trasformato in una gabbia atea spersonalizzante, tanto insalubre quanto inadatta alla relazione umana!

Nell’antichità classica l’uomo aveva scoperto che il mondo poteva essere foggiato secondo i suoi piani, e partendo da questa intuizione aveva capito che esso era intrinsecamente precario, tragico e comico. Sviluppandosi le istituzioni democratiche si affermò il principio che nel quadro di esse ci si poteva fidare dell’uomo. Le aspettative riposte nel debito  processo e la fiducia nella natura umana si equilibravano reciprocamente. Sorsero le professioni tradizionali e con esse le istituzioni necessarie al loro esercizio. L’affidamento al processo istituzionale ha però finito furtivamente per sostituire la fiducia nella buona volontà dell’individuo. Il mondo ha perduto la sua dimensione umana per ritrovare l’inesorabilità dei fatti e la fatalità che caratterizzavano le epoche primitive. Ma mentre il caos dei barbari trovava costantemente un suo ordine nel nome degli dèi misteriosi e antropomorfici, oggi solo la pianificazione umana può fornire una ragione del fatto che il mondo è quello che è. L’uomo è diventato il trastullo di scienziati, ingegneri e pianificatori.

L’attuale momento storico, caratterizzato da profonda crisi esistenziale, ambientale, religiosa ed economica (ben più grave di quanto potevano immaginarselo i pessimisti degli anni ’70) è propizio per una scelta fondamentale nella ricerca di un futuro che sia aperto alla speranza, composto da uomini consapevoli dei propri limiti oltre a quelli della Terra; un mondo non di singoli sommati ad altri singoli bensì di uomini per-altri uomini, una nuova èlite di ogni classe, reddito, fede e civiltà. Uomini capaci di diffidare dei miti della maggioranza, delle utopie scientifiche e del diabolismo ideologico.

[Uomini] con la sensazione d’essere in trappola e, ancora,  la consapevolezza che quasi tutte le nuove scelte politiche adottate con vasto consenso approdano regolarmente a risultati che sono clamorosamente opposti ai loro fini dichiarati. Ma mentre la maggioranza prometeica degli aspiranti esploratori spaziali continua a non affrontare il problema strutturale, la minoranza emergente critica il deux ex machinascientifico, la panacea ideologica e la caccia ai diavoli e alle streghe, e comincia a dar forma al proprio sospetto che le nostre continue illusioni ci leghino alle istituzioni contemporanee come le catene legavano Prometeo alla roccia. Una fiducia piena di speranza e l’ironia classica (eironeia) devono allearsi per denunciare l’inganno prometeico.

Questi fratelli e sorelle pieni di speranza, Illich, propone di chiamarli “Uomini epimeteici”.

Cfr. Ivan Illich, Descolarizzare la società (1971)

di Luca Barbirati

Fonte: Blog di Luca Barbirati