L’uragano Sandy, che sta devastando molti Stati negli USA, è un evento meteorologico estremo indotto dal cambiamento climatico. Senza un radicale cambiamento di rotta nelle nostre politiche energetiche, fenomeni di questo tipo sono destinati a moltiplicarsi, a divenire sempre più distruttivi, a colpire zone del pianeta tradizionalmente estranee a calamità del genere.
Sandy è simile all’uragano Irene, che già lo scorso anno aveva interessato quelle zone perdendo potenza in extremis, prima di attraversare la città di New York. Uragani di questa intensità, a quelle latitudini, sono una novità degli ultimi anni: gli Stati e le contee costiere del nord degli Stati Uniti rientrano oramai nella dinamica di fenomeni tipicamente tropicali.
Lo scorso settembre la temperatura dell’oceano al largo delle coste del medio Atlantico era di 1,3°C superiore alla media: solo in un altro caso questo record è stato superato da quando si dispone di questo tipo di dati. L’anomalia si è prolungata fino ad ottobre, consentendo a Sandy di alimentarsi di molta più energia dall’oceano di quanto accada di solito per gli uragani autunnali.
Il riscaldamento dei mari causa inoltre molta più evaporazione, e quindi Sandy è più piovoso della norma: ha già scaricato su Haiti 250 millimetri di pioggia e sta facendo registrare precipitazioni record anche negli Stati Uniti.
Lo scorso anno Irene aveva causato – secondo le stime della Kinetic Analysis Corp – circa 7 miliardi di dollari di danni. Ora Sandy, al di là del costo incommensurabile delle vite umane perse – ne sta causando molti di più. Gli impatti generali del cambiamento climatico sulle nostre economie vanno ovviamente ben oltre. La compagnia di assicurazioni Munich Re ha stimato che lo scorso anno i danni associati a disastri naturali sono stati pari a 380 miliardi di dollari e che il 90% di queste calamità è dovuto a eventi metereologici estremi che hanno provocato almeno 27.000 morti. Dal 1980 a oggi la frequenza di inondazioni gravi è triplicata, quella
delle tempeste raddoppiata.
“La nostra prima preoccupazione è per le vite che l’uragano Sandy sta mietendo e rischia ancora di mietere – ha dichiarato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – Dobbiamo prepararci al fatto che eventi di questo genere, nel mondo, si andranno intensificando, divenendo sempre più violenti. Il cambiamento climatico è qui, ora: non possiamo più pensare si tratti ‘solo’ di scioglimento dei ghiacci artici, o di qualche isola tropicale minacciata dall’innalzamento dei mari.”
La comunità scientifica internazionale è unita nel riconoscere come queste dinamiche siano causate dalle emissioni di gas serra, principalmente di CO2 che deriva dalla combustione di fonti energetiche fossili, soprattutto carbone e petrolio. Per questo serve un cambio di rotta drastico e immediato nel modo in cui produciamo e consumiamo energia. L’International Energy Agency sottolinea come, in mancanza di un simile cambiamento, proseguendo sulla strada attuale, l’innalzamento medio delle temperature globali, a fine secolo, dovrebbe raggiungere i 6° centigradi.
L’uragano Sandy sta colpendo aree dove si concentrano diverse centrali nucleari. La Reuters ne ha contate almeno una dozzina nella traiettoria dell’uragano. La centrale di Oyster Creek, non lontano da Atlantic City dove Sandy ha distrutto tutto, è la più vecchia del Paese ed è dello stesso tipo di quella di Fukushima: attualmente si trova sotto 2 metri d’acqua.
“Il cambiamento climatico è ovunque: la siccità di quest’estate è costata, in Italia, un miliardo di euro di soli danni all’agricoltura e tutti abbiamo ancora ben vivo l’impatto delle alluvioni dello scorso inverno – ha concluso Boraschi – D’altra parte l’Italia rifiuta un ruolo di prima fila nella lotta ai cambiamenti climatici e progetta invece nuove centrali a carbone e perforazioni petrolifere off shore”.
Fonte: Il Cambiamento