Ogm o cibi sani? Agricoltura industriale o riduzione di sprechi e abuso di sostanze nocive? L’agricoltura oggi è di fronte al bivio tra iper-industrializzazione e nuova agricoltura contadina. La seconda opzione risponde alle esigenze di nutrire il pianeta e di ricostruire e riprodurre l’agrobiodiversità minacciata, ma è osteggiata dalle multinazionali e dalle componenti intellettuali e sociali che si rifanno all’’deologia della crescita economica (e dei consumi) illimitata. Quelle che, per intenderci, si oppongono più o meno consapevolmente alla dimensione comunitaria e al valore delle tradizioni.
La nuova agricoltura contadina si accompagna a forme inedite di partenariato tra i proprietari della terra, i coltivatori, gli acquirenti; ma soprattutto consente ai giovani l’accesso alla terra, l’arresto del consumo di superfici coltivabili, ricostituisce legame sociale, promuove la partecipazione e la democrazia alimentare. L’agricoltura industriale si traduce invece in agrifinanziarizzazione, delocalizzazione, estensione della monocoltura e delle agro-energie, ulteriore perdita di terreno fertile. Porta con sé l’insicurezza alimentare, il land-grabbing, la privatizzazione e l’accaparramento delle risorse biologiche. In poche parole e in prospettiva: fame e guerre.
Anche in vista della prossima Politica Agricola Comune (Pac), che come tale dovrebbe essere una politica pubblica forte, capace di fornire un’alimentazione sana, di buona qualità, e bisognosa di avere sostenibilità ed equità come valori, bisogna fare i conti con diversi cambiamenti all’orizzonte. Uno su tutti, il rischio del venir meno di abbondante ed economica fornitura di petrolio: una eventualità che comporta il possibile blocco degli approvvigionamenti ai mercati alimentari, sempre più fondati sul trasporto di derrate alimentari da una parte all’altra del globo, e sull’energivora catena del freddo.
Occorre iniziare a progettare ed attuare un piano B per l’agricoltura, per uscire da una condizione di dipendenza e fragilità, e per ridisegnare obiettivi e indirizzi di produzione che possano garantire la disponibilità di cibo non solo agli italiani, ma anche ai cittadini del resto del mondo. Un piano alimentare nazionale è la prima (sommaria) risposta alla riscoperta delle vocazioni alimentari della nostra penisola, ora ostaggio di ideologie insostenibili sotto ogni punto di vista, a partire dall’amore per le monocolture e l’abbondante uso di pesticidi.
I punti per implementare questo piano saranno esposti e discussi durante il Seminario Nazionale del Movimento Decrescita Felice sull’Agricoltura che si terrà a Portogruaro (VE), dal 22 al 24 marzo 2013. Un’occasione unica per confrontarsi su tematiche di primaria importanza, visto che riguardano tutti quanti; a partire dall’autosufficienza alimentare. Soprattutto considerando che entro la prossima estate i cittadini europei hanno modo di far capire alle istituzioni Ue che le decisioni sulla produzione di cibo riguardano più noi che loro. Ma anche che è più importante garantire a tutti di avere alimenti sani che far fare profitti alle multinazionali, magari cedendo alle crescenti pressioni delle lobby pro-Ogm.
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Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio
Fonte: ilfattoquotidiano.it