“Quando il trattore potrà essere munto, quando il suo sterco potrà essere usato come concime e come combustibile, allora lo preferirò alla vacca” _Rajiv Gandhi_

Il mondo della produzione biologica e delle certificazioni ad esso associate rappresentano un argomento vasto, interessante, quanto controverso. La conferenza tenuta dalla Dott.sa Paola Migliorini ha fornito chiarimenti ma anche spunti di riflessione e di approfondimento rispetto ai temi in questione.

Si prendono le mosse dalla considerazione che l’agricoltura non è un’attività naturale di per sé, nel senso che utilizza sì le materie naturali, ma per creare un’attività generalmente economica che per questo si definisce come un’opera antropizzata. In effetti, i fattori presenti in un agroecosistema (1) non sono solo naturali, ma anche socio-politici e tecnico-economico, pertanto, a seconda della visione e del valore che attribuiamo alla natura, si possono sviluppare modelli di agricoltura diversa, più o meno in accordo con i cicli ambientali.

Ad esempio: Masanobu Fukuoka – Non far niente è il miglior metodo agricolo

Negli anni ‘70, accanto alla concezione di dominazione della natura presente nell’Agricoltura Convenzionale, se ne affianca una Alternativa (detta anche Agroecologica) che teorizza un approccio in armonia con l’ambiente e che, dalla centralizzazione e dipendenza dal mercato (produrre di più ad un prezzo inferiore), vuole guadagnare una certa indipendenza e sviluppare un tipo di competizione di comunità.

Accennando alla storia dell’agricoltura, si approda alla Rivoluzione Verde con una graduale modernizzazione della stessa, volta al potenziamento del sistema che predilige un uso massiccio di input esterni, specialmente per coltivazioni di tipo monocolturale. Si assiste a questo passaggio gradualmente, ma in modo non uniforme, in gran parte dei paesi del mondo. A partire dall’agricoltura Tradizionale si vengono così a delineare due sottosistemi: l’Agricoltura Convenzionale o Industriale e l’Agricoltura Sostenibile (termine controverso perché non esistendo una legge che la definisca a priori confluiscono al suo interno correnti di pensiero anche in contrasto fra loro).

In seguito ad una maggiore consapevolezza in termini di danni ambientali e salute umana (a causa delle conseguenze dannose dei pesticidi), si è definito un ulteriore sottogruppo chiamato Agricoltura Biologica. Essa si basa in generale su principi agroecologici (adozione dei principi ecologici in campo agricolo) finalizzati alla fertilità del terreno e alla salute delle piante, facendo divieto assoluto di prodotti chimici di natura sintetica.

Esistono anche altre ramificazioni che fanno riferimento agli standard biologici ma con alcune differenze peculiari, ad esempio l’Agricoltura Biodinamica, teorizzata da R.Steiner, che integra anche aspetti spirituali, l’Agricoltura Sinergica, la Permacultura, ecc.

La nascita del biologico in Europa e Nord America si fa convenzionalmente risalire alle teorizzazioni di Sir Albert Howard (1873-1947) il quale, dopo un viaggio in India nel 1943, pubblicò “An Agricultural Testament” («Un testamento agricolo»), divenuto un pilastro, in quanto sostenitore dell’importanza del riciclo dei residui organici per aumentare le sostanze organiche e la fertilità del suolo.

Nel 1972 i vari approcci al biologico e le relative associazioni nazionali confluiscono nell’Ifoam (International Federation of Organic Agriculture Movements), un’organizzazione no profit che si pone come obiettivo quello di assicurare un futuro all’agricoltura biologica riunendo produttori, trasformatori, organismi di controllo, tecnici, settore commerciale e così via, appartenenti ad oltre 120 paesi nel mondo. Nel 1980, le idee e i principi dell’organizzazione convergono nei Basic Standards for Organic Production and Processing, che vengono revisionati ogni 2 anni. I concetti in essi contenuti possono essere brevemente riassunti:- l’azienda è considerata come un sistema complesso il cui fine non è solo ecologico ma anche economico e sociale;- gli input esterni devono essere medio-bassi per incentivare lo sviluppo delle risorse interne. (Non possono essere pari a zero perché si tratta di aziende che scambiano con l’esterno, come un qualsiasi sistema aperto);

– il controllo delle malattie si gestisce in accordo con la biodiversità e il sistema naturale;

– le fertilizzazioni sono basate sulle rotazioni e, se necessarie, vengono seminate piante specifiche (non destinate alla raccolta) per rendere organico il terreno, oppure si utilizza il letame.

Con il passare degli gli anni il mondo del biologico ha attraversato vari cambiamenti e stadi di sviluppo, per arrivare nel 2010 ad un nuovo impianto normativo che regolamenta l’agricoltura nell’Unione Europea. In generale, i principi definiti sono i seguenti:

– mantenere la fertilità del terreno per un lungo periodo;

– rifarsi ai cicli biologici dell’azienda (intesi come azoto, fosforo potassio e carbonio), mantenendo vivi i tre aspetti: i produttori, le piante e i consumatori, oltre che i decompositori (che trasformano il terreno da inorganico a organico);

– fornire azoto con uso di piante azoto-fissatrici;

– mantenere la diversità genetica di animali e piante;

– gli animali presenti all’interno dell’azienda devono essere proporzionati alla produzione di letame (le aziende possono comprare il letame che non riescono a produrre, ma nel raggio di non oltre i 50 km);

– divieto di utilizzo di prodotti e fertilizzanti chimici, protettori di crescita, ormoni ecc.;

– divieto di OGM in ogni fase della filiera (la Legge Europea definisce OGM un organismo prodotto con inserzioni di tratti di DNA che non potrebbero trovarsi in natura, nemmeno con incrocio sessuale);

– divieto di procedimenti chimici nella trasformazione del prodotto.L’agricoltura biologica è inoltre il primo settore agricolo che ha adottato le norme di qualità (ISO 65) introducendo due aspetti di innovazione rispetto al settore tradizionale: l’obbligo del sistema di controllo e la tracciabiltà della filiera dei prodotti.

Gli Organismi di controllo e certificazione accreditati dall’International Organic Accreditation Service (IOAS) che rilasciano il marchio Ifoam, sono oggi 36 di cui 5 italiani (2) .

“La maggior parte degli stati membri dell’Unione ha scelto, come ha fatto l’Italia, di affidare a soggetti privati il controllo e la certificazione dell’agricoltura biologica. Le maggiori critiche risiedono nel fatto che le risorse per tali attività provengono direttamente dalle imprese controllate. In questa ottica appare quindi chiaro che, seguendo la filiera di produzione, è sulla figura del consumatore finale che vengono a gravare i costi della certificazione del prodotto. È infatti il consumatore di biologico che si fa carico, in modo indiretto, di tutti i costi aggiuntivi dovuti anche alle garanzie che lui stesso richiede. Nei paesi che, al contrario, hanno scelto sistemi pubblici di controllo è l’intera collettività a pagarne i relativi costi. Il controllo e la certificazione assumono quindi, in questi paesi, un carattere meno commerciale e la verifica sulla corretta applicazione del metodo viene eseguita più con una logica di tutela della collettività che non di tutela delle singole transazioni commerciali” (3).

I prodotti biologici, oggi, non possono più considerarsi come un settore di nicchia, anche perché questo tipo di agricoltura si è espansa a livello mondiale registrando coltivazioni in oltre 134 paesi. Il maggior produttore al mondo è l’Australia con 12,4 milioni di ettari destinati a tale scopo, seguita dall’Europa (7,4 mio/ha), dall’America Latina (4,9 mio/ha), dall’Asia (3,1 mio/ha), dal Nord America (2,2 mio/ha) e per ultima l’Africa con (0,4 mio/ha) (4).

In Italia la superficie destinata all’agricoltura biologica rappresenta il 9% della SAU (Superficie agricola utilizzata) nazionale (5) con un valore pari a 301 milioni di euro di acquisti domestici di prodotti bio nel 2002 .

Che cosa spinge una parte di consumatori ad orientarsi verso il biologico?

Paola Migliorini, nell’articolo “Agricoltura biologica, qualità alimentare e salute umana” del 2008, descrive la qualità dei prodotti biologici da un punto di vista nutrizionale, tecnologico, organolettico, ambientale e sociale, i cui principi possono essere riassunti come segue. Per qualità nutrizionale  si intende il contenuto, in quantità maggiore o minore in termini di elementi nutritivi all’interno di un prodotto alimentare. Diversi studi e ricerche (6) volti alla comparazione di cibi “convenzionali” e cibi biologici mostrano come questi ultimi siano risultati migliori per:

– contenuto più elevato di sostanza secca,

– contenuto più elevato di minerali in genere (la differenza è stata studiata in alimenti coltivati in uguali condizioni fisico-chimiche di terreno),

– contenuto più elevato in anti-ossidanti (tra cui Vit.C), forse per la funzione protettiva che tali molecole esercitano sulla pianta stessa,

– minor contenuto di grassi nelle carni bovine,

– minor contenuto di nitrati nelle verdure, soprattutto a foglia (tali composti sono considerati degli anti-nutrienti),

– totale assenza di residui di antiparassitari,

– minore quota proteica nei cereali biologici, ma di qualità nettamente superiore.

La qualità tecnologica viene testata dal grado di annerimento e degrado degli ortaggi, che a parità di condizioni ambientali, risulta essere migliore nei prodotti biologici. Quella organolettica è più difficile da valutare perché si basa sulla sensazione di gusto da parte del consumatore, anche se in generale si è riscontrato che i fattori che lo influenzano sono: cultivar (7), suolo, clima, sistema di coltivazione, stagionalità, metodi di conservazione.

Il punto su cui l’agricoltura biologica è stata più contestata è la sicurezza alimentare, ovvero la qualità igienico sanitaria (presenza di sostanze dannose).

Residui di nitrati e di pesticidi negli alimenti.

La maggior parte di queste molecole non sono degradabili, permanendo nei tessuti animali e nell’ambiente anche per decenni ed agendo da “Endocrin-disruptors”, disregolatori endocrini. Sono infatti ritenuti responsabili di varie alterazioni ormonali come i tumori ormono-dipendenti (mammella, prostata, utero), infertilità, pubertà o menopausa precoci, malformazioni fetali, ermafroditismo, sia negli uomini che negli animali. Sono sostanze neuro-tossiche, teratogene, causano allergie. È stata dimostrata la loro potente azione cancerogena, anche se non è mai stato studiato l’effetto sinergico (ovvero potenziato) dell’associazione delle varie molecole che comunemente ci ritroviamo nel piatto. È stato infatti calcolato che nutrendosi di alimenti convenzionali si assumono fino a 2kg l’anno di pesticidi. Inoltre, và considerato il fenomeno della “magnificazione biologica”: risalendo lungo la catena alimentare (vegetale, animale, uomo) queste molecole vengono sempre più concentrate. Pertanto l’uomo, che si trova al vertice di tale piramide, concentrerà nei propri tessuti la maggiore quantità di pesticidi che si ritrova nell’ambiente. Da non dimenticare che i più a rischio sono i bambini (e gli anziani) in quanto avendo maggior bisogno di nutrienti, assorbono molto di più dai cibi, ma tollerano meno gli inquinanti, sia in base al peso corporeo sia per l’immaturità dei meccanismi di difesa e di detossificazione. Psichiatric Times riporta che un milione di bambini in USA avrebbero livelli superiori ai 10mcg/dl di residui di pesticidi e altre sostanze tossiche, potenzialmente dannose per il sistema nervoso centrale.

Antibiotici e rischio BSE

L’uso di antibiotici nell’allevamento animale è proibito. Cresce la consapevolezza del rischio di sviluppo di resistenze agli antibiotici da parte di micro organismi a causa dell’uso eccessivo negli allevamenti. Non è stato trovato nessun caso di BSE in animali natio o allevati in aziende biologiche.

Additivi alimentari

Negli alimenti trasformati non-biologici sono ammessi più di 500 additivi mente la legislazione del biologico ne ammette circa 30, tutti di origine naturale. Sono strettamente vietati tutti gli additivi collegati a reazioni allergiche, mal di testa, asma, ritardi di crescita, iperattività nei bambini, malattie cardiache e osteoporosi.

Micotossine

Il fatto che l’agricoltura biologica e biodinamica non prevedano l’utilizzo di conservanti, nemmeno nella fase di stoccaggio e trasporto, ha suscitato, da parte dei detrattori, accuse di maggiore tossicità degli alimenti biologici, rispetto ai convenzionali, soprattutto per l’ipotetica maggiore presenza di micotossine: si intende una vasta famiglia di sostanze, tossiche per l’uomo, prodotte da funghi parassiti che infestano alcuni tipi di alimenti soprattutto nella fase di conservazione, in determinate condizioni ambientali di umidità e temperatura. Gli alimenti più facilmente aggredibili sono i vegetali come cereali, succhi di frutta, vino, semi oleosi, caffé, frutta, ortaggi, cacao, soprattutto se d’importazione (sia per il lungo stoccaggio che per il minore controllo delle norme igieniche) ma anche derivati da questi come il latte. Sempre più studi dimostrano che la presenza di queste tossine non è correlata al tipo di coltivazione (biologica o convenzionale), ma dipende strettamente dalle condizioni di conservazione. A parità di condizioni ambientali (umidità, temperatura, tenore di acqua dell’alimento, ecc), i prodotti convenzionali hanno dimostrato essere più facilmente attaccabili da queste muffe, rispetto ai prodotti biologici e questo nonostante quelli convenzionali siano stati trattati con conservanti di sintesi. Una spiegazione di questo fenomeno potrebbe venire dal maggiore contenuto in pesticidi naturali che gli alimenti biologici sviluppano come difesa nei confronti dei vari parassiti, tra cui anche i funghi, non trovandosi “protetti”, nelle fasi di crescita e sviluppo, dai pesticidi di sintesi (8).

Per quanto riguarda la qualità ambientale l’agricoltura biologica mantiene la fertilità dei suoli, aumenta la biodiversità della fauna, della flora e del paesaggio. Al contrario, è stato invece comprovato che l’utilizzo di concimi chimici produce danni irreparabili all’ecosistema, quali ad esempio eutrofizzazione delle acque, avvelenamento delle acque, distruzione della flora microbica, distruzione di insetti utili, avvelenamento di animali, erosione (9).

I vantaggi del biologico sono comprovati anche da un punto di vista sociale. Uno studio pubblicato dall’IFOAM mostra come l’agricoltura biologica possa migliorare l’impatto in termini di sicurezza alimentare nei paesi poveri (anche grazie ad un minor consumo di acqua ed energie).

Qual è il rapporto che intercorre fra la decrescita e il mondo del biologico? È comprovato che mancano studi scientifici (e non) di lungo periodo sull’effettivo beneficio che gli esseri umani possono trarre da un consumo di prodotti organici; ma è pur vero che essendo tutti parte integrante di un sistema complesso, e sapendo che danneggiare o migliorare il sistema stesso, si traduce in un indiretto danno o beneficio anche su noi stessi, possiamo fare la differenza a partire da una preferenza, consapevoli che il prodotto finale dipende dalle singole scelte di vita e di consumo quotidiane.

Gli input offerti dalla conferenza, aprono la strada per ulteriori approfondimenti e una concreta presa di posizione in termini valutativi personali ma anche a livello generale, come movimento per la decrescita felice. In effetti, praticare coltivazioni con il metodo biologico presenta dei vantaggi anche in termini occupazionali, alcuni spunti in tale direzione ci vengono offerti dal filosofo francese Serge Latouche: “resta importante oggi reinventare il lavoro in settori come l’agricoltura biologica e il riciclo e riuso; esistono già esperienze importanti ma restano una nicchia” (10), e ancora : “[…]si tratta di vivere. Dobbiamo ritrovare il tempo per dedicarci al resto, alla vita. Questa è un’utopia, ma l’utopia concreta della decrescita: superare il lavoro. «La decrescita: ripartire dalla terra, eliminando le attività nocive». Partendo dalla riconversione ecologica. Tornando a un’agricoltura contadina, senza pesticidi e concimi chimici. In questo modo, la produttività per l’uomo sarà più bassa, ma si creeranno milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. E questa è la quinta misura” (11).

Per concludere “allora noi dobbiamo ritrovare l’agricoltura contadina, che non significa tornare ad un 40% della popolazione attiva impegnata in agricoltura, ma una agricoltura senza pesticidi, soprattutto, senza concimi chimici, che ritrovi la biodiversità recuperando le specie adatte localmente, un’agricoltura destinata a nutrire il popolo che vive sul territorio, che mangia i prodotti di stagione e di qualità, non prodotti industriali o geneticamente modificati. Curare l’agricoltura contadina: questo è essenziale, rilocalizzare, che è uno dei termini usati nel progetto della decrescita che ho illustrato l’anno scorso, riterritorializzare, come dice Alberto Magnaghi nel suo bel libro “Il processo locale”, ritrovare il senso del territorio[…] Si deve cercare, quando si compra del cibo, di comprare prodotti che hanno fatto meno chilometri possibile, perché i chilometri significano effetto serra, consumo di energia, spreco, impronta ecologica insostenibile” (12).

“Quel che coltiviamo nel nostro cuore è espressione di quel che siamo. Prendersi cura della Terra è prendersi cura di noi stessi”

Chiara Bertalotto

Per ascoltare l’audio della conferenza, visita il sito di Mdf Torino

 

Note

(1)“Gli agroecosistemi sono sistemi ecologici modificati dall’uomo per produrre cibo, fibre, legname e altri prodotti agricoli. Il loro grado di complessità strutturale e dinamica dipende sia dai fattori ecologici che da quelli socio-economici”. Conway, 1987

(2) (Bioagricert, BIOS,CCPB, Istituto mediterraneo di certificazione, Istituto per la certificazione etica e ambientale)

(3) Tratto dall’articolo di Concetta Vazzana e Paola Migliorini,Storia dell’Agricoltura alternativa

(4) fonte: Map 1 Organic Agricolture Worldwide 2006, FiBl Survey 2008

(5) (Willer, Menzler e Sorensen, 2008)

(6) In particolare: Progetto europeo Q-life,Studio Itab,Ricerca dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, SIMBIOVEG (www.simbioveg.org)

(7) Varietà o cultivar [Cultivar]Definizione: Insieme di piante coltivate, chiaramente distinte per caratteri morfologici, fisiologici, citologici, chimici, ecc., che conservano i loro caratteri distintivi quando sono riprodotte per via sessuale o asessuale. La varietà per essere legalmente riconosciuta deve: essere distinguibile (D), uniforme (U), stabile (S); possedere un valore agronomico superiore ad altre varietà precedentemente costituite; essere iscritta al Registro Nazionale delle Varietà, dopo un periodo di valutazione che in Italia attualmente dura due anni. Fonti: Lorenzetti et al. 1994: F. Lorenzetti, M. Falcinelli, F. Veronesi, Miglioramento Genetico delle Piante Coltivate, Edagricole, Bologna.

Tratto dal sito: http://www.semirurali.net/modules/wordbook/entry.php?entryID=102

(8) CINQUE MOTIVI PER SCEGLIERE I PRODOTTI BIO,articolo di Paola Migliorini pubblicato sul sito del Coordinamento Toscano Produttori Biologici, http://www.ctpb.it/index.php?option=com_content&task=view&id=27&Itemid=37

(9) Ibidem, (Paola Migliorini)

(10) Serge Latouche, dichiarazioni rilasciate a “Comune-info” per l’intervista “Uscire dall’economia”, ripresa il 19 dicembre 2012 da “Megachip”

(11) Latouche e la decrescita, di Giovanna Faggionato, http://www.irisfondazione.org/sostenibilita/latouche-e-la-decrescita/

(12) Dibattito Petrini – Latouche, www.pensierinpiazza.it/archivio/…/31-latouche-petrini-dibattito.html