Serge Latouche, filosofo ed economista a noi contemporaneo, nel suo trattato “Come Si Esce dalla Società dei Consumi” elabora una teoria “utopico concreta” articolata schematicamente in otto punti (le otto R) al fine di proporre un circolo virtuoso di sobrietà e di libera scelta che consenta di superare e liberarsi dall’ossessione della crescita e dello sviluppo.
Questa crescita esasperata ci ha condotto allo stato di cose attuale e sta portando al limite del tracollo irreversibile il nostro sistema economico/sociale contemporaneo.
Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Rilocalizzare, Ridistribuire, Ridurre, Riutilizzare e Riciclare. Questi otto obiettivi interdipendenti sono stati scelti perché possano avviare una dinamica di decrescita serena, conviviale ed ecosostenibile.
Sono obiettivi che delineano un’ utopia nella migliore accezione del termine, ovverosia la costruzione intellettuale di un funzionamento ideale.
“La Decroissance”(decrescita) non è una dottrina da accettare integralmente, né pretende di esserlo. Ha anzitutto il fine di mettere in discussione i principi economici e sociali su cui si basa la nostra contemporaneità. E’ un pensiero in divenire, che si cala in maniera diversa in ciascuna realtà sociale; non potrà mai esistere una decrescita valida allo stesso modo per gli europei, gli africani e i sud americani, ma nemmeno per i francesi, i greci e gli italiani. Propone nuovi valori e nuovi immaginari, recupera un legame collaborativo con la natura, rifiutando lo sfruttamento e il dominio che la modernità impone su di essa. E’ una dottrina a-economica, predica un’uscita dall’economia rifiutando la crescita infinita, sia per una questione ambientale che spaziale (la terra non è in espansione, non si può continuare a crescere né demograficamente né industrialmente poichè le risorse e gli spazi sono finiti). Tenendo presente che “la presa di coscienza della catastrofe ecologica è troppo lenta per evitare il peggio”(Y.Cochet), questa utopia è anche concreta, nel senso che parte dai dati esistenti e dalle evoluzioni auspicabili per tentare di costruire un altro
mondo, nulla di meno che una nuova civiltà.
La società economica della crescita e del benessere non realizza l’obiettivo proclamato della modernità, vale a dire la massima felicità possibile per il massimo numero di individui.
Una ong britannica, la New Economics Foundation, elabora da diversi anni, sulla base di inchieste, un indice della felicità che ribalta l’ordine classico del pil pro capite e anche quello dell’indice di sviluppo umano (isu). La classifica vede in testa il Costarica, seguito dal Vietnam e dalla Colombia. http://www.happyplanetindex.org/data/.
L’Italia si classifica 51° mentre gli Stati Uniti d’America, massima espressione del capitalismo moderno, occupano la 105° posizione su 151.
Questo apparente paradosso si spiega con il fatto che la società cosiddetta ‘sviluppata’ si basa sulla produzione massiccia di decadenza, cioè sulla perdita di valore e un degrado generalizzato sia delle merci, che l’accelerazione degli ‘usa e getta’ trasforma in rifiuti, sia degli uomini, esclusi e licenziati dopo l’uso, dai presidenti ai manager ai disoccupati, ai barboni e altri “rifiuti umani”.
L’economia della crescita ha la “derelizione” come motore e moltiplica i disgraziati.
In una società della crescita chi non è vincente o spietato è, più o meno, un fallito ed è votato al tormento della frustrazione, della gelosia e dell’invidia.
Così come si impegna nel riciclaggio dei rifiuti materiali, la decrescita deve interessarsi anche di riabilitare i ‘falliti’.
Se il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto, il miglior fallito è quello che la società non genera.
Una società decente non produce esclusi!
L’abbondanza combinata con il “ciascuno per sè” produce miseria, mentre la condivisione nella frugalità produce la soddisfazione di tutti, ovvero la gioia di vivere. La vera ricchezza è fatta di beni relazionali, quelli fondati per l’appunto sulla reciprocità e la condivisione: il sapere, l’amore, l’amicizia.
All’inverso, la miseria è in primo luogo psichica e deriva dall’essere abbandonato in una “folla solitaria”, con cui la modernità ha sostituito la comunità solidale.
Per chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza di questa linea di pensiero alternativa consiglio vivamente di leggere una delle tante pubblicazioni di Serge Latouche.
Potremo prendere validi spunti da questa utopia latouchana per provare a cambiare il corso delle cose, oppure queste sono tutte favole da sognatori quali siamo? A voi il beneficio del dubbio da sciogliere con dovute letture(e commenti).
Per chi volesse approfondire: http://www.decrescita.it/joomla/
Articolo tatto da: http://progressoscorsoio.wordpress.com
Giorgio Fontana (Mdf Padova)