Nel corso degli ultimi cinquanta o sessanta anni, il tenore di vita della nostra nazione, come gran parte dell’Occidente, è passato da forme di miseria a forme opposte di abbondanza. La mia generazione in questo può ritenersi fortunata, perché quando ascolta i racconti di zii o nonni che narrano la fame patita, non può comprenderla fino in fondo. Mentre chi la racconta sembra quasi riviverla – e forse così è – per chi ascolta è possibile solo immaginare cosa la miseria e la povertà quotidiana abbia potuto significare per intere generazioni.
Nel dopoguerra e con il grande Boom economico e l’avvio di una forte industrializzazione anche nel nostro Paese, le cose sono cambiate. All’inizio forse in meglio ma non avendo freni inibitori e trascinati dai tempi, anche le generazioni successive a quelle della guerra sono state travolte nel nuovo idolo del consumismo sfrenato e scriteriato. Complice anche l’abbaglio – in Italia – di una chiesa cattolica che ha sposato in segreto l’idolo che dagli altari ha finto di combattere. Del resto l’inganno del consumismo è questo: non minaccia ma accarezza il ventre.
Ecco allora che se da un lato è stata una benedizione l’essere passati da forme di seria e grave povertà a forme di maggior autosufficienza ed autonomia, la mancanza di saggezza e di criterio nello scegliere le forme giuste di vita, l’assenza di regole certe, il cieco entusiasmo in un progresso che non è stato uno sviluppo, ci hanno portato all’eccesso opposto. Possiamo dire che siamo passati da una fase forzatamente anoressica ad una di bulimia incontrollata.
Si sono smarriti, nel corso dei decenni, i giusti criteri di saggezza che negli anni addietro avevano guidato intere generazioni. Sicuramente non bisogna rimpiangere i tempi andati (non sarebbe segno di saggezza) ma neanche andava buttato il bambino insieme all’acqua sporca. E invece intere generazioni hanno fatto proprio questo. E soprattutto si sono affidate ciecamente al mito del progresso che insieme al libero mercato avrebbe regolato e aggiustato ogni cosa.
Purtroppo così non è stato ed i danni li abbiamo sotto i nostri occhi ogni giorno. Quelli economici sono solo la punta dell’iceberg. Fossero solo quelli economici, essendo la maggior parte di noi sulla stessa barca, una soluzione la si troverebbe con maggior facilità. Eppure così non è. Come mai? Il problema è complesso e la soluzione non è univoca. Bisognerebbe riformattare l’essere umano, ma questo sappiamo non essere possibile. Tuttavia qualcosa va fatto.
La prima cosa da fare sarebbe quella di individuare che tipo di malattia ha contaminato la maggior parte delle persone occidentali e quale sta per contaminare quelle restanti del pianeta. La confusione dei termini benessere con possesso e abbondanza ha creato un corto circuito pericoloso. Siamo diventati tutti bulimici. Basta osservarci. Nonostante la crisi grave in atto, molti di noi non resistono a possedere cose di cui non avrebbero bisogno e per le quali sono disposti anche ad indebitarsi. Basta vedere le file lunghissime fuori i centri commerciali per il lancio dell’ultima novità tecnologica (che resterà tale massimo per tre mesi. Vecchia storia); oppure basta osservare quante persone siano disposte ad indebitarsi per fari una vacanza che tutti han fatto, acquistare una macchina nuova, una casa in montagna mentre si vive in affitto in città, l’ultimo tablet, smartphone, etc etc…
Sicuramente molte di queste tecnologie sono utilissime per chi ne ha veramente bisogno, ma dubito che tutti ne abbiano una necessità così impellente da non potervi rinunciare. Come mai accade tutto questo? Per molti motivi. Il più semplice e vincente è quello della seduzione dei sensi. Un oggetto ci viene presentato così magnificamente che sembra impossibile farne a meno e il non possederlo ci rende mancanti di qualcosa. Pur non potendo permettercelo e pur non essendo necessario. Una volta acquistato ci sentiamo completi per i prossimi due o tre giorni. Una o due settimane per i più “saggi”, ma poi ricomincia la “fame”. Bulimia di cose. Ma non solo. Siamo anche diventati bulimici di emozioni, di sensazioni, di esperienze. Se prima vi era una carenza in tal senso, oggi vi è una eccessiva fruizione la cui pena è l’assuefazione immediata alle pur necessarie e belle emozioni e sensazioni. Per cui non ne abbiamo mai abbastanza, non bastano mai e siamo sempre in ricerca.
Eccessi di informazioni, eccessi di internet, eccessi di contatti, di amori, di “amicizie”, di sensazioni e di emozioni. Bulimie a molti livelli, che non conducono ad una piena umanizzazione ma che ci rendono schiavi degl’idoli alienanti di turno. Il consumismo si è evoluto e ha generato altri figli con ognuna delle sfere umane e a volte ne siamo così schiavi che non riusciamo neanche più a distinguerne l’origine e la presenza. Siamo dei perfetti bulimici a vari livelli, per cui se non abbiamo quell’autoerotismo dell’anima quotidiano, andiamo in crisi e cerchiamo altrove quello che pensiamo ci sia dovuto. Detto in altri termini, non siamo più abituati (o mai nessuno ci ha insegnato) al senso del limite e della mancanza.
Ogni cosa ha il suo tempo e ogni tempo ha i suoi frutti. Basterebbe osservare per un po’ i cicli naturali per accorgersi che esistono stagioni fatte anche di mancanza, di deserto, di silenzio e solitudine. Stagioni e tempi apparentemente sterili ma che sono il passaggio obbligato per una piena umanizzazione e per una piena realizzazione umana. Per una piena libertà. Basterebbe osservare la musica per capire che un suono e una melodia sono possibili perché esistono attimi di silenzio prima del suono e che questo non esisterebbe senza il primo.
Con questo cosa sto cercando di dire? Che questa crisi che si manifesta molto dal punto di vista economico, ci ha fatto riscoprire ancora di più persone bulimiche nell’animo e che la soluzione deve partire da lì. Riscoprire il senso del limite, che non è una privazione o una regressione ma paradossalmente la nostra vera natura umana. Non ci è concesso avere e possedere tutto e subito. Questa è la vera illusione che ci ha schiavizzati. Non possiamo e non fosse altro perché non siamo gli unici su questa terra, ne siamo noi i padroni di questa terra. Basterebbe iniziare solo da qui per ridimensionare la nostra impronta ecologica, riscoprire i rapporti umani sani, ritrovare il giusto rapporto con le cose, il tempo e lo spazio.
Non tutto, non subito. Potrebbe essere una piccola ed importate forma di autodisciplina interiore che si riflette all’esterno. Non tutto, non subito per poter riassaporare il sapore vere ed autentico della vita e della libertà interiore che nessuno può rubarci.
Alessandro Lauro