La proprietà collettiva: il nuovo (antico) modello di economia dal volto umano

da | 20 Mar 2014

Ci sono realtà nel nostro Paese che costituiscono un modello originale di produzione e distribuzione sociale di ricchezza, oltre che un mezzo efficacissimo di tutela ambientale. Sono storicamente contraddistinte da alcuni nomi e si definiscono, a seconda dei luoghi e delle forme giuridiche storicamente consolidatesi, Frazioni, Comunalie, Consorzi di utenti, Università agrarie, Vicinie, Regole, Comunelle, Consorterie, Partecipanze agrarie, Comunioni familiari montane, Jus, Ademprivi, Asub e Asbuc (amministrazione separata di beni di uso civico), e altre ancora. Il sistema associativo della Consulta nazionale della proprietà collettiva (Cnpc), che conta circa 500 soci e 4 mila enti rappresentativi della proprietà collettiva, è molto diffuso in quattordici regioni: Trentino, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Marche, Basilicata, Campania, Calabria, Puglia e Abruzzo.

LE REGOLE D’AMPEZZO – L’organizzazione più conosciuta è quella di Cortina: le Regole d’Ampezzo fanno parte da secoli del tessuto sociale e coinvolgono quasi tutta la popolazione della località alpina che, in questo modo, tutela da speculazioni la proprietà e l’uso delle risorse forestali e pascolive.

IL BOSCO DELLA PARTECIPANZA – Il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino Vercellese è una delle più antiche. Risale al 1202, sopravvissuto fino nostri giorni grazie a un sistema di amministrazione collettiva e di utilizzo già in auge in epoca medioevale.

PROPRIETÀ COLLETTIVE – Il fenomeno delle proprietà collettive affonda le radici nella notte dei tempi. Il loro compito è quello di tutelare i propri beni in modo efficace e duraturo, attraverso strumenti giuridici che si caratterizzano nell’ordinamento italiano per una serie di vincoli alla utilizzabilità del proprio patrimonio, il cui riconoscimento da parte della legge è stato storicamente preceduto da una lungimirante limitazione sorta nella maggior parte dei casi dalla libera scelta, autoimposta, dei titolari aventi diritto al godimento di tali beni, come attestano antichi statuti in cui sono state codificate tradizioni secolari. «Oggi più che mai», spiega il presidente della Cnpc, Michele Filippini, «le proprietà collettive si pongono come strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale, perché tutelando tutte le esternalità presenti sul proprio territorio salvaguardano anche i beni comuni e, in sostanza, l’intera collettività».

DOMINI COLLETTIVI – La Cnpc, associazione senza scopo di lucro fondata nel 2006, si propone, infatti, di conservare, sviluppare e approfondire le peculiarità storiche, culturali, istituzionali, giuridiche ed economiche dei domini collettivi, comunque denominati, nell’ottica della propria vocazione europea, attraverso ricerche, iniziative e manifestazioni idonee a una maggiore conoscenza dell’argomento e alla difesa e valorizzazione dei domini e dei diritti collettivi. La Consulta opera su tutto il territorio nazionale ma ha struttura federativa, perché le comunità sono storicamente distinte e perché le legislazioni e gli interlocutori istituzionali sono diversi da regione a regione.

UNA REALTÀ DIVERSA – La realtà delle proprietà collettive rappresenta una forma di proprietà e di utilizzo dei beni che si caratterizza come diversa e distinta rispetto sia alla proprietà privata che pubblica. «Intendiamo promuovere iniziative di valorizzazione delle aree e dei patrimoni immateriali (conoscenze, tradizioni, storia) che fanno parte della proprietà collettiva», spiega Filippini, «recuperando una nozione di patrimonio che in questi ultimi anni si è offuscata ma che può ancora rappresentare un’idea di economia a misura d’uomo».

ECONOMIA A MISURA UMANA – «Stiamo promuovendo la redazione e la pubblicazione di uno studio che, partendo dai dati del recente censimento nazionale, comprenda e illustri, regione per regione, la realtà della proprietà collettiva in Italia, indicando anche alcuni esempi virtuosi che servano da buona pratica», prosegue il presidente della Cnpc. «In questo modo si darebbe conoscenza di un fenomeno tanto importante quanto misconosciuto nell’opinione pubblica e nell’economia italiana offrendo uno strumento di approfondimento e di apprendimento per espandere ancora di più la presenza della proprietà collettiva».

TERRITORIO E MINACCE – Il territorio appartenente alle proprietà collettive viene, specie in alcune regioni, continuamente violentato da interessi locali con una frenetica e continua aggressione al paesaggio, determinando un nuovo oblio delle identità e del patrimonio territoriale. «I beni soggetti a usi civici – che sono e continuano a essere inalienabili, inusucapibili, imprescrittibili e immutabili nella loro destinazione agrosilvopastorale – non si possono vendere», conclude Filippini. «Le eventuali cessioni, dal punto di vista giuridico, sono reati. Il fenomeno si allarga a macchia d’olio, spesso i privati dimostrano interessi speculativi nei confronti dei terreni gestiti dalla proprietà collettiva, trasformando la destinazione d’uso a totale vantaggio dell’urbanizzazione selvaggia sia per scopi abitativi, sia per insediamenti industriali, trovando sponda troppo spesso nelle amministrazioni comunali».

Luigi Letteriello

Fonte: Corriere.it