Mao Valpiana è presidente nazionale del Movimento Nonviolento, direttore della rivista mensile “Azione nonviolenta”, membro del comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer, della War Resisters International (l’internazione dei Resistenti alla Guerra con sede a Londra) e del Beoc (Ufficio Europeo dell’Obiezione di Coscienza con sede a Bruxelles). E’ lui a fare il punto sul movimento nonviolento in Italia, sulla necessità di un impegno sempre più intenso sul fronte del disarmo e sulle affinità tra gli attivisti nonviolenti e chi crede fermamente in un’alternativa all’attuale modello econonico.
Avete di recente concluso il vostro Congresso. Cosa ne è uscito?
«Erano oltre cento i partecipanti provenienti da ogni parte d’Italia, dal Friuli alla Sardegna, dal Trentino alla Puglia, con due delegazioni anche dalla Svizzera e dal Belgio. Ognuno si è assunto l’onere del viaggio e della permanenza e già questo è un segno di responsabilità e condivisione, non è poco. I lavori congressuali si sono concentrati sulla definizione della politica nonviolenta per i prossimi anni: sarà la campagna per il disarmo (cioè l’impegno per togliere spese dal settore militare e spostare gli investimenti sui bisogni sociali) l’asse portante delle iniziative del Movimento. La campagna “disarmo e difesa civile 2014”, promossa dalle reti pacifiste, disarmiste e nonviolente (in primis la Rete Italiana Disarmo, la Conferenza Nazionale degli Enti di Servizio Civile e la Rete della Pace, con cui il Movimento Nonviolento ha avviato una proficua e sinergica collaborazione), sarà al centro della nostra iniziativa politica per i prossimi anni. Il Movimento Nonviolento è al centro di queste iniziative, sostenendole in ogni modo, con spirito di servizio e volontà di contribuire a rilanciare con forza il movimento unitario per la pace. Molto è stato fatto, molto resta ancora da fare».
Quali impegni di mobilitazione e sensibilizzazione per il prossimo futuro?
«Il 25 aprile si terrà a Verona l’Arena di Pace e Disarmo, un grande raduno di tutte le persone, le associazioni, i movimenti della pace, della solidarietà, del volontariato, dell’impegno civile che faccia appello non solo ai politici ma innanzitutto a noi stessi, chiedendo a chi vi parteciperà di assumersi la responsabilità di essere parte del cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Scrollarsi dalle spalle illusioni e paure, rimettersi in piedi con il coraggio della responsabilità e della partecipazione per disarmarci e disarmare l’economia, la politica, l’esercito è il nostro obiettivo. Il disarmo dev’essere declinato nelle diverse modalità necessarie: disarmo strutturale, disarmo economico, disarmo culturale, disarmo della politica, disarmo personale e, naturalmente, disarmo militare. Ben sapendo che la strategia della nonviolenza prevede il disarmo unilaterale, cioè iniziare da se stessi, da casa propria, dalla propria comunità, dalla propria nazione. Inizio io a disarmare, senza aspettarmi contropartite dall’altro. Solo così si può spezzare la catena che ci ha portato alla maggior spese militare complessiva mai sostenuta nella storia dell’umanità. Con la favola del disarmo bilanciato e controllato abbiamo in realtà assistito alla crescita smisurata di armi di ogni tipo, sia nel commercio cosiddetto legale che illegale. E’ un fatto che nella storia solo il ritiro unilaterale di armi od eserciti ha provocato un simile disarmo anche dall’altra parte».
Ritenete che oggi occorra ripensare il Movimento Nonviolento?
«Il Movimento Nonviolento affonda le proprie radici nel pensiero e nell’esempio attivo di Aldo Capitini per l’Italia, di Leone Tolstoj, Mohandas Gandhi, Martin Luther King a livello internazionale. La nonviolenza è antica come le montagna, diceva Gandhi, e i suoi principi ispiratori fondamentali sono stati inseriti nella Carta costitutiva del nostro Movimento:
1. l’opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l’oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un’altra delle forme di violenza dell’uomo.
In questo senso non c’è nulla da ripensare nel Movimento…. perchè siamo ancora lontani dal raggiungimento del nostro orizzonte. Ciò che va ripensato sono le nostre capacità e responsabilità. Non possiamo più accontentarci dell’eredità che abbiamo ricevuto, perchè oggi a sostenere le prove che la realtà ci sottopone non ci sono più Gandhi, King o Capitini, ma ci siamo noi. E’ dunque nostra la responsabilità di un aggiornamento continuo della nonviolenza attiva rispetto ad un contesto sociale e politico molto diverso da quello nel quale i nostri padri e le nostre madri agivano. La nonviolenza del 2014 è nelle nostre mani».
La nonviolenza può essere un punto fermo nella necessità e nel percorso di decrescita cui occorre andare incontro?
«La situazione di crisi economica, politica e sociale globale porta il Movimento Nonviolento a confrontarsi da un lato con l’evidenza del fallimento del paradigma economico capitalista e con le forme di violenza ad esso strutturali; dall’altro con il moltiplicarsi di esperienze e iniziative rivolte alla costruzione dal basso di una alternativa più sostenibile e equa, che fanno perno sul concetto di responsabilità individuale. Il Movimento Nonviolento dichiara il suo rifiuto al modello capitalista e si impegna per lo sviluppo di un’alternativa costruttiva, quella di un’economia della relazione dove la soddisfazione dei propri fabbisogni tenga conto degli effetti conseguenti a livello globale. L’impegno va declinato in particolare sul tema del diritto al cibo e sulle iniquità conseguenti all’attuale sistema agroalimentare. I livelli di intervento individuati sono molteplici e vanno dall’educazione dei bambini e informazione corretta, all’azione concreta. E’ possibile riconoscere molti tratti di continuità tra i movimenti emergenti (decrescita, economia solidale, ecc.) e l’area nonviolenta, negli obiettivi, nei valori di riferimento, ma non sempre nella riflessione sul metodo. E’ quindi auspicabile cercare collaborazioni con esse per intraprendere un percorso di azione comune».
Giovanni Fez
Fonte: ilcambiamento