A volte è molto importante fermarsi un momento e leggere anche dei numeri che ci riguardano. E’ importante per rimettere in moto quest’organo importantissimo che forse alcuni usano poco: il cervello. Ecco i numeri: ogni giorno (GIORNO) in Italia vengono buttati via 13000 quintali (tredicimilaquintali) di pane. I dati sono relativi ai soli supermercati dove – a fine giornata l’invenduto – è considerato  ufficialmente, rifiuto. Perché questo pane non può essere riutilizzato in altro modo? destinato ad altro? Ufficialmente lo vieta una circolare del ministero della Salute  che impone a chi lo ha prodotto di smaltire l’invenduto. Così, ogni giorno, circa il 25 per cento del pane prodotto viene buttato.

Numeri, dicevo, che impongono alcune riflessioni. La prima. Saranno felici i simpatizzanti della crescita scriteriata del PIL; più butti, più sprechi, più sale il PIL per i costi di smaltimento e per la richiesta di nuovo pane fresco. Ma questi costi di gestione del rifiuto non sono nè intelligenti, ne sapienti. Non sono intelligenti perché i costi di smaltimento rifiuti sono pagati sempre dai cittadini in termini di tasse e sempre di più anche in termini di salute. ove non vi è un corretto smaltimento rifiuti. Non ci vuole, poi, certamente l’ingegnere di turno per sapere che il pane del giorno dopo (ma anche dei giorni dopo) può essere utilizzato in tantissimi modi senza nuocere alla salute di nessuno. Servirebbe la sapienza di una qualsiasi casalinga (sempre troppo bistrattate e ridicolizzate) per capire che quel pane potrebbe sfamare tanti che non hanno cosa mettere sotto i denti. E stando ai drammatici ultimi dati ISTAT sarebbero qualche milioncino, sparso per il nostro “Bel Paese”.

Ma ancora di più questi dati assurdi mi spingono e dovrebbero spingere tutti a farci una domanda di una semplicità disarmante: Non sarebbe più semplice produrne molto di meno? visto che è sistematico lo spreco quotidiano? E se proprio non si riesce (chissà per quale motivo oscuro) a produrne di meno, questo invenduto non potrebbe essere riutilizzato in maniera diversa? Non è quantomeno strana questa norma del ministero della salute?

Anche in questo è lungimirante quello che il movimento per la decrescita felice porta avanti da anni come sua peculiarità: l’autoproduzione dei beni di cui si ha realmente bisogno. Trovando in questo il triplice vantaggio di un prodotto di alta qualità di cui si conoscono realmente gli ingredienti; il piacere di saper fare qualcosa e di non dipendere solo e sempre dal denaro e da enti esterni; non ultimo un piccolo ma significativo risparmio economico. E aggiungo un quarto: il piacere di condividere le eventuali eccedenze!

Buttare il cibo (circa il 3% del pil) è una cosa gravissima, una stupidata che l’homo sapiens sapiens non dovrebbe commettere mai. Ancora più grave e assurdo se ad autorizzarlo è lo Stato.

Pensiamoci.

Alessandro Lauro