Agli inizi del novecento, Camillo Olivetti attraversando in lungo e in largo gli splendidi paesaggi, dei territori degli Stati Uniti, racconta in “Lettere Americane”, come le prime forme moderne di scienza applicata, comincino a modificare in modo sistematico e indifferenziato il mondo circostante , ” La ferrovia passa per miglia e miglia in una strada praticata nella viva foresta e gli alberi sono così’ fitti che non ci si può vedere attraverso.”
Penso allora, al secolo che ci ha preceduto, dove si e’ verificato un sorprendente incontro tra l’ambiente ancora perlopiù incontaminato e gli uomini che hanno perseguito il dominio e l’uso della natura, con l’ausilio delle scoperte scientifiche, in modo sempre più veloce, fabbricando strumenti di ogni genere per assemblare o suddividere qualsiasi elemento, finanche l’atomo.

Euforicamente e stoicamente i nostri predecessori , con il coinvolgimento di migliaia di persone ignare delle conseguenze catastrofiche che avrebbero provocato, finite in questo maestoso e epico ingranaggio, hanno disboscato, estratto minerali e fossili,  svuotato mari e boschi. Tagliando in orizzontale e in verticale più cicli vitali possibili come in una gara a premi,  restituendo senza memoria solidi e liquidi che niente hanno a che fare con le risorse che hanno acquisito, dov’è l’albero nella tavola di laminato buttata in discarica piena di colla.. e cosi’ tutto il resto. E ora che tutto e’ stato analizzato e consumato, non ci resta che ripulire i luoghi della trasformazione, dalle miniere alle fabbriche dismesse, musealizzare e diventare degli spettatori di qualcosa che forse non avremmo mai voluto in questa misura. I musei della natura che non c’è più  e piuttosto,  allora meticolosamente, dovremmo cercare di rimarginare spazi e divisioni, riunendo persone e senso delle cose, tornando con il passo,  laddove l’uomo era un ospite.

Cinthya Costa

Mdf Roma