Delfina e Totò. Le cose possono cambiare

da | 1 Set 2014

Canosio, 28 giugno 2014

Caro Totò,

un articolo pubblicato oggi sui giornali on line mi ha fatto tornare alla mente una conferenza a cui ho partecipato quasi un anno fa. Il Circolo della decrescita felice di Cuneo aveva organizzato un incontro con Maurizio Pallante e, siccome nei suoi libri ho ritrovato la descrizione delle mie scelte di vita, sono scesa in città dalla mia valle alpina per andare a sentirlo. So che anche tu hai letto i suoi libri e saresti contento se a Napoli ci fosse un circolo di questo movimento perché non te la senti di andare fino a Salerno o a Sorrento per trovarne uno. Comunque, commentando la decisione del governo, allora presieduto da Letta junior, di esonerare per 18 mesi le aziende dal versamento dei contributi fiscali sui nuovi assunti con l’obiettivo di favorire l’assunzione di 100 mila giovani tra i 18 e i 29 anni, Pallante ha sostenuto che quella misura era una sciocchezza del tutto inefficace.  Ci vuole un’intelligenza stratosferica – ha detto – per capire che un’azienda senza ordini in portafoglio non assume soltanto perché le riducono il carico fiscale? «Abbiamo i macchinari fermi, però, visto che per un anno e mezzo non dobbiamo pagare le tasse sui nuovi assunti, apriamo le porte ai giovani». Le aziende assumono solo se hanno una quantità di ordini che non riescono a smaltire con i dipendenti in organico. Possibile che solo gli economisti non riescano a capire banalità di questa portata? Come si può dare credito a una persona che si vanta di aver adottato una misura legislativa di questo genere? Eppure tutti i giornali si sono sperticati a scrivere: com’è bravo! È il più giovane presidente del consiglio che il nostro paese abbia mai avuto. Parla bene l’inglese. Ha proprio la stoffa del leader: ogni anno organizza un convegno in una ex centrale idroelettrica del Trentino a cui partecipano giovani industriali, giovani economisti, giovani politici, giovani professionisti,  giovani professori universitari, tutti con master conseguiti all’estero, tutti che parlano l’inglese, tutti di buona famiglia, tutti che scrutano il futuro – non a caso l’associazione che  organizza il convegno si chiama Vedrò – tutti che nelle pause si divertono a giocare a subbuteo per la gioia di fotografi e  giornalisti.

Questo straordinario profluvio d’intelligenza m’è tornato in mente stamattina leggendo sui giornali on line questo articolo: Flop del bonus giovani voluto dal governo Letta. Solo 22 mila domande da ottobre dell’anno scorso a oggi, con un progressivo rallentamento: sono state 11 mila nel primo mese, 7 mila tra novembre e dicembre, 4 mila nei primi sei mesi del 2014. Non me ne sono stupita, come non se ne stupirebbe ogni persona normodotata, per le ragioni che ti ho detto. E pensare che ho solo un diploma da maestra, i miei si sono fermati alla quinta elementare, non conosco l’inglese, ho passato tutta la vita tra queste montagne insegnando a leggere e scrivere ai ragazzi della valle. Per quello che ne capisco, fino a quando gli economisti continueranno a pensare che i problemi del lavoro si possano risolvere spostando un po’ di soldi da una parte all’altra, aumentando le tasse (sarà un caso, ma sempre alla gente che guadagna appena il sufficiente per vivere) per dare contributi di denaro pubblico a chi è pieno di soldi (sarà un caso anche questo), con la motivazione che così può fare investimenti per creare posti di lavoro, aumentando il debito pubblico per fare investimenti in grandi opere e tagliando i servizi sociali per ridurre il debito pubblico, preoccupandosi più dello spread che del potere d’acquisto della povera gente, da questa crisi non usciremo mai. Quelli del movimento della decrescita felice dicono che solo ragionando in termini di bioeconomia si può rimettere in moto la produzione. Cosa sia la bioeconomia, io non l’ho capito del tutto, ma mi sembra che corrisponda abbastanza a quello che mi hanno insegnato i miei: per vivere i soldi servono, ma serve di più la capacità di lavorare, perché i soldi li spendi e prima o poi finiscono, mentre se sai lavorare riesci sempre a ricavare quello che ti serve per vivere. A un artigiano che faccia bene cose utili non mancherà mai una clientela. Una famiglia contadina con un pezzo di terra non patirà mai la fame e vendendo le eccedenze ricaverà i soldi necessari a comprare quello che non produce. Credo che la bioeconomia consista nell’applicazione di queste regole di vita individuali al complesso delle attività produttive. Ti riporto gli esempi che ho sentito fare perché mi hanno aperto gli occhi. Se, invece di dare soldi alle aziende con la speranza di creare posti di lavoro senza domandarsi dove, come, quando e quanti (hanno anche la faccia tosta di dire che l’economia è una scienza), i governi e gli economisti si proponessero l’obbiettivo di promuovere la diffusione di tecnologie più avanzate di quelle attualmente in uso, finalizzate a ridurre gli sprechi di materie prime e di energia, ci sarebbe da lavorare per i prossimi cinquant’anni in attività utili, si risparmierebbero tanti soldi e con i soldi risparmiati si pagherebbero le retribuzioni di chi lavora per ridurre gli sprechi, senza aumentare né le tasse, né i debiti pubblici. Se si riducono i consumi energetici degli edifici, dove se ne sprecano i due terzi (non pensavo tanto), se si riutilizzano i materiali contenuti negli oggetti che si buttano via invece di spendere soldi per renderli definitivamente inutilizzabili con processi dannosi per la salute umana come la combustione e l’interramento, se si trasportano le informazioni via internet invece di trasportare gli oggetti con i tir e le persone con le automobili, se invece di consumare quantità crescenti di medicine per curare malattie causate dai pesticidi utilizzati nell’agricoltura chimica e dall’inquinamento dell’aria, si potenziasse l’occupazione nell’agricoltura biologica e nelle tecnologie che riducono l’inquinamento, se si accorciassero le distanze tra i produttori e i consumatori di merci, quanti posti di lavoro utili servirebbero, quanti soldi si risparmierebbero, di quanto si ridurrebbero l’impronta ecologica e l’inquinamento?

Con queste domande retoriche, ti saluto, caro Totò, perché si sta facendo buio e devo ancora andare nell’orto a prendere qualcosa per preparare la cena. È sempre lo stesso riquadro di terra dove mia madre coltivava le verdure che mettevamo a tavola quando venivi a trovarci nel periodo in cui hai fatto il militare a Cuneo. Mi ricordo ancora la tua faccia perplessa la prima volta che ti abbiamo invitato a intingerle nella bagna cauda.

tua Delfina

P.S. Ma cosa abbiamo fatto di male per meritarci questa classe politica, questi economisti e questi giornalisti?