Mi è capitato spesso di avere accese discussioni con sedicenti economisti, anche e soprattutto impiegati da importanti redazioni di giornali. Il punto, con questi, era bene o male sempre lo stesso: siccome non sono laureato in economia (magari alla Bocconi), ma in sociologia, non ho praticamente diritto di parlare di economia. La mia risposta, generalmente, era invece che proprio perché non ho studiato la “loro” economia (a parte i quattro esami, noiosissimi, sostenuti appunto per laurearmi), che ha creato la situazione socio-economica e ambientale in cui siamo, ho diritto di parlare di economia. Generalmente, e nel migliore dei casi, venivo liquidato con sufficienza. Un cervellone – enfant prodige di una redazione romana, aveva addirittura concluso la discussione dicendo che “parlare di economia con me era come parlare di medicina con un santone indiano” (e questo la dice lunga anche sull’arroganza e in generale sull’approccio col mondo di questi personaggi).
Perché parlo al passato? Perché oggi come oggi con certi soggetti non sto più a perdere tempo. Ci sono per fortuna numerosi economisti con cui si può avere un dialogo, o che addirittura hanno rivisto il loro percorso formativo fino a rimetterlo completamente in discussione (Serge Latouche è il caso estremo, essendo lui un economista), ma la maggior parte fa ancora discorsi che trovo a dir poco assurdi. E pretendono di essere presi sul serio, quello è il bello. Ad esempio, la questione di droga, armi e prostituzione incluse nel calcolo del PIL per fare sembrare maggiore la “ricchezza” prodotta da un Paese, mi chiedo io, è una cosa da prendere davvero sul serio?
La Stampa di un alcuni giorni fa riportava:
Già da tempo l’Europa ha deciso di introdurre nel calcolo del Pil la cosiddetta «economia non osservata», in particolare quella illegale: contrabbando, prostituzione e traffico di droga. A queste voci va aggiunta poi un altra novità: d’ora in poi le spese per armamenti e quelle destinate alla ricerca saranno conteggiate fra gli investimenti. Sembrerà assurdo, ma la decisione ha a che vedere con il tentativo di valutare in maniera il più possibile omogenea la ricchezza prodotta da ciascun Paese europeo. Poiché in alcuni Paesi nordici la prostituzione è legale e regolarmente tassata, che senso aveva tenerla fuori dal calcolo del Pil di quelle nazioni in cui invece è ancora vietata?
Insomma, piaccia o no, la questione per noi assume una particolare rilevanza. La Banca d’Italia stima che l’intera economia illegale varrebbe fino all’11 per cento della ricchezza. Nello specifico, il fatturato delle droghe è stimato in 20-24 miliardi, quello della prostituzione in 7-8, il resto sarebbe quello del contrabbando di alcool e sigarette: in tutto 30-35 miliardi, circa due punti di Pil.
[…] Piaccia o no, quanto più sarà ampia la stima, tanto meglio sarà per i conti pubblici. Mai come stavolta, pecunia non olet.
Premesso che io, anche per motivi legati alla tassazione, sono completamente d’accordo con la legalizzazione di prostituzione e droghe leggere (delle armi invece no), mi auguro che un giorno qualche decisore politico si riprenda dal torpore e si faccia una semplice domanda: ha davvero senso tutto ciò? Ha senso considerare il commercio di droga e armi come ricchezza prodotta e lasciare che ambiente e società marciscano nel quasi totale abbandono? Io continuo a sperarci. Ma alla maggior parte delle persone, per ora, continua a sembrare più da pazzi parlare di “decrescita”, che di economia ormai letteralmente “drogata” e “a puttane”.
@AndreaBertaglio – www.presiperilpil.org
Fonte: greenMe.it