Dobbiamo piantare semi di pace

da | 25 Feb 2015

Viviamo in tempi segnati dalla violenza. Dall’uccisione di 134 bambini innocenti a Peshawar alle 2000 persone massacrate da Boko Haram in Nigeria fino alle 17 vittime di Parigi, solo nell’ultimo mese.

Dobbiamo condannare questa violenza. Ma dobbiamo fare di più e capire le sue radici. Le esplosioni di violenza in luoghi imprevedibili contro innocenti stanno crescendo e quando qualsiasi processo cresce nella società, l’umanità ha bisogno di riflettere su ciò che lo sta alimentando, da dove arriva il suo nutrimento, e che cosa possiamo fare evitare che un futuro scoppio di violenza sconvolga la serenità e la stabilità della vita di tutti i giorni, in ogni parte del mondo.

La maggior parte delle analisi riduce e rende intrinseca la violenza a particolari culture. L’analisi dominante basata su frammentazione e riduzionismo, separa le azioni dalle loro conseguenze. Questo consente la deresponsabilizzazione della violenza strutturale fatta dalle società attraverso le guerre e un’economia globalizzata, che di fatto che ha tutte le caratteristiche di una guerra.

Ma la violenza non è essenziale per gli esseri umani o per una particolare cultura. Proprio come la pace, va coltivata – i suoi semi devono essere piantati. Come esseri umani, con tutte le diversità culturali e le nostre storie abbiamo in noi il potenziale per essere sia violenti che pacifici.

Il nutrimento per l’epidemia di violenza nei nostri tempi viene dalla violenza strutturale della guerra, dell’espropriazione, dello sradicamento e dell’esclusione. Proviene dal derubare la gente di senso, dignità, rispetto di sé, sicurezza. Questo furto di significato, ha svuotato i diritti e la dignità radicati nella diversità delle culture dell’umanità, crea un vuoto interiore che è riempito di identità posticce di tipo fondamentalista. Invece di identità coltivate in modo olistico e positivo da un senso di appartenenza e di cultura, queste identità vengono progettate in identità negative, definite solo come la negazione dell’altro.

La diffusione di guerre distruttive sia del punto di vista sociale che ecologico sta sradicando le persone in tutto il mondo. L’ultima espressione di questa logica basata sull’identità negativa è lo sterminio dell’altro. Attori potenti che hanno scatenato guerre in Afghanistan e in Siria non si assumono la responsabilità per lo sradicamento e la brutalizzazione delle comunità. In un solo anno, da metà 2013 a metà 2014, 3 milioni di rifugiati sono stati costretti ad abbandonare la Siria, 2,6 milioni l’Afghanistan, 1 milione la Somalia e 5 milioni il Sudan. E anche quelli che non hanno potuto lasciare le loro case come rifugiati sono stati trasformati in rifugiati culturali ed economici sottraendo loro sicurezza e stabilità. Gli esseri umani brutalizzati diffondono brutalità.

Samuel Huntington, famoso per il suo Clash of Civilizations (Scontro di civiltà), ha sbagliato quando ha detto “possiamo solo sapere che siamo, quando sappiamo che odiamo’. In India, la pratica del controllo del respiro il pranayama’, recita così “sei, quindi sono”. Seminiamo i semi della pace ogni volta che ricordiamo e celebriamo la nostra dipendenza dagli “altri”. Essere aperti alla “diversità” degli altri crea le condizioni di compassione, pace e benessere di tutti.

Fonte: Huffingtonpost.it