Europa, è il momento di porre fine alla dipendenza dalla crescita – L’appello

da | 17 Set 2018

Il 18 e 19 settembre si terrà al Parlamento Europeo di Bruxelles la prima Post-Growth Conference, organizzata da sei gruppi parlamentari, dall’Università Libera di Bruxelles e da vari tra enti europei, sindacati e ONG, in risposta a una prima chiamata all’interno delle conferenze biennali su descrescita, sostenibilità ecologica ed equità sociale, che quest’anno festeggiano i 10 anni. In vista di tale evento, riceviamo e pubblichiamo la lettera sottoscritta da più di 250 accademici e intellettuali europei e tradotta in 20 lingue

Questa settimana, scienziati, attivisti e politici si stanno riunendo a Bruxelles per una conferenza storica. L’obiettivo di questo evento, organizzato dai membri di cinque diversi gruppi politici del Parlamento europeo, insieme a sindacati e ONG, è esplorare le possibilità di un’economia post-crescita in Europa.

Negli ultimi sette decenni, la crescita del PIL si è rivelata l’obiettivo economico primario delle nazioni europee. Ma, con la crescita delle nostre economie, è aumentato anche il nostro impatto negativo sull’ambiente. Ora stiamo superando lo spazio operativo sicuro per l’umanità su questo pianeta, e non vi è alcun segnale che l’attività economica sia sufficientemente disaccoppiata dall’uso delle risorse o dall’inquinamento. Oggi risolvere i problemi sociali all’interno delle nazioni europee non richiede più crescita. Richiede una più equa distribuzione del reddito e della ricchezza che già abbiamo.

La crescita sta diventando sempre più difficile da raggiungere a causa del calo degli incrementi di produttività, della saturazione del mercato e del degrado ecologico. Se le tendenze attuali continueranno, l’Europa smetterà di crescere entro un decennio. In questo momento la risposta è cercare di alimentare la crescita emettendo più debito, sminuzzando le normative ambientali, prolungando l’orario di lavoro e riducendo le protezioni sociali. Questa ricerca aggressiva della crescita a tutti i costi divide la società, crea instabilità economica e mina la democrazia.

Chi governa l’Europa non è stato disposto ad impegnarsi con questi problemi, almeno non fino ad ora. Il progetto Beyond GDP (Oltre il PIL, NdT) della Commissione europea è diventato GDP & Beyond (PIL ed Oltre, NdT). Il mantra ufficiale rimane la crescita – declinata come “sostenibile”, “verde” o “inclusiva” – ma, prima di tutto, crescita. Persino i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite includono la ricerca della crescita economica come obiettivo politico per tutti i Paesi, nonostante la contraddizione fondamentale tra crescita e sostenibilità.

La buona notizia è che all’interno della società civile e del mondo accademico sia emerso un movimento post-crescita. Assume nomi diversi in diversi luoghi: décroissance, Postwachstum, economia dello stato stazionario o della ciambella, prosperità senza crescita, solo per citarne alcuni. Dal 2008, periodiche conferenze sulla decrescita hanno riunito migliaia di partecipanti. Una nuova iniziativa globale, la Wellbeing Economies Alliance (WE-All) (Alleanza delle Economie del Benessere), sta costruendo collegamenti tra questi movimenti, mentre una rete di ricerca europea ha sviluppato nuovi “modelli macroeconomici ecologici “. Tale lavoro suggerisce che è possibile migliorare la qualità della vita, ripristinare il mondo vivente, ridurre le disuguaglianze e fornire posti di lavoro dignitosi – il tutto senza la necessità di crescita economica, a condizione che adottiamo politiche per superare la nostra attuale dipendenza dalla crescita.

Alcuni dei cambiamenti proposti includono limiti all’uso delle risorse, tassazione progressiva per arginare l’ondata di crescente disuguaglianza e una graduale riduzione dell’orario di lavoro. L’utilizzo delle risorse potrebbe essere frenato introducendo una carbon tax e le entrate potrebbero essere distribuite come dividendo per tutti o utilizzate per finanziare i programmi sociali. Introdurre un reddito sia minimo che massimo ridurrebbe ulteriormente la disuguaglianza, contribuendo nel contempo a ridistribuire il lavoro di cura e ridurre gli squilibri di potere che minano la democrazia. Le nuove tecnologie potrebbero essere utilizzate per ridurre il tempo di lavoro e migliorare la qualità della vita, invece di essere utilizzate per licenziare masse di lavoratori e aumentare i profitti dei pochi privilegiati.

Dati i rischi in gioco, sarebbe irresponsabile per i politici e i decisori non esplorare le possibilità di un futuro post-crescita. La conferenza che si sta svolgendo a Bruxelles è un inizio promettente, ma sono necessari impegni molto più forti. Come gruppo di scienziati sociali e naturali interessati, che rappresentano tutte le 28 nazioni dell’UE, chiediamo all’Unione europea, alle sue istituzioni e agli Stati membri di:

1. Costituire una commissione speciale sui Futuri post-crescita nel Parlamento dell’UE.

Questa commissione dovrebbe discutere attivamente il futuro della crescita, ideare alternative politiche per i futuri successivi alla crescita e riconsiderare il perseguimento della crescita come obiettivo politico generale.

2. Incorporare indicatori alternativi nel quadro macroeconomico dell’UE e dei suoi Stati membri

Le politiche economiche dovrebbero essere valutate in termini del loro impatto sul benessere umano, l’uso delle risorse, la disuguaglianza e la disponibilità di lavoro dignitoso. Questi indicatori dovrebbero avere una priorità più alta del PIL nel processo decisionale.

3. Trasformare il patto di stabilità e crescita (PSC) in un patto di stabilità e benessere.

Il PSC è un insieme di regole volte a limitare i disavanzi pubblici e il debito pubblico. Dovrebbe essere rivisto per garantire che gli Stati membri soddisfino i bisogni fondamentali dei loro cittadini, riducendo al contempo l’uso delle risorse e le emissioni di rifiuti a un livello sostenibile.

4. Istituire un Ministero per la transizione economica in ogni stato membro.

Una nuova economia che si concentri direttamente sul benessere umano ed ecologico potrebbe offrire un futuro molto migliore di quello che è strutturalmente dipendente dalla crescita economica.

PER FIRMARE L’APPELLO CLICCA QUI

 

Altri firmatari:

Dr Dan O’Neill, Associate Professor, University of Leeds, UK

Dr Federico Demaria, Researcher, Universitat Autònoma de Barcelona, Spain

Dr Giorgos Kallis, Professor, Universitat Autònoma de Barcelona, Spain

Dr Kate Raworth, Lecturer, Oxford University, UK

Dr Tim Jackson, Professor, University of Surrey, UK

Dr Jason Hickel, Lecturer, Goldsmiths, University of London, UK

Dr Marta Conde, President of Research & Degrowth, Spain

Dr Lorenzo Fioramonti, Professor, University of Pretoria, South Africa

Dr Kevin Anderson, Deputy Director, Tyndall Centre for Climate Change Research, UK

Dr Saskia Sassen, Professor of Sociology, Columbia University, USA

Dr David Graeber, Professor, London School of Economics, UK

Dr Ann Pettifor, Director, Policy Research in Macroeconomics (PRIME), UK

Dr Serge Latouche, Université Paris Sud, France

Dr Kate Pickett, Professor, University of York, UK

Dr Susan George, President of the Transnational Institute-TNI, Netherlands

Dr Joan Martinez Alier, Professor, Universitat Autònoma de Barcelona, Catalonia

Dr Juan Carlos Monedero Fernández, Universidad Complutense de Madrid, Spain

Dr Dominique Méda, Professor, University Paris Dauphine, France

Dr Ian Gough, Visiting Professor, London School of Economics, UK

Dr Lourdes Beneria, Professor Emerita, Cornell University, USA

Dr Inge Røpke, Professor, Aalborg University, Denmark

Dr Niko Paech, Professor, University of Siegen, Germany

Dr Jean Gadrey, Professor, University of Lille, France

Dr Nadia Johanisova, Lecturer, Masaryk University, Brno, Czech Republic

Dr Wolfgang Sachs, Research Director Emeritus, Wuppertal Institut, Germany

Dr Stefania Barca, Senior Researcher, Centre for Social Studies, University of Coimbra, Portugal

Dr Gilbert Rist, Emeritus Professor, Graduate Institute of International and Development Studies, Switzerland

Dr György Pataki, Professor, Corvinus University of Budapest, Hungary

Dr Simone D’Alessandro, Professor, University of Pisa, Italy

Dr Iñigo Capellán-Pérez, Researcher, University of Valladolid, Spain

Dr Amaia Pérez Orozco, Researcher, Colectiva XXK, Spain

Dr Max Koch, Professor, Lund University, Sweden

Dr Fabrice Flipo, Professor, Institut Mines Télécom-BS et LCSP Paris 7 Diderot, France

Dr Matthias Schmelzer, Researcher, University of Jena and Konzeptwerk Neue Ökonomie, Germany

Dr Óscar Carpintero, Associate Professor, University of Valladolid, Spain

Dr Hubert Buch-Hansen, Associate Professor, Copenhagen Business School, Denmark

Dr Christos Zografos, Pompeu Fabra University, Spain

Dr Tereza Stöckelová, Associate Professor, Institute of Sociology of the Czech Academy of Sciences, Czech Republic

Dr Alf Hornborg, Professor, Lund University, Sweden

Dr Eric Clark, Professor, Lund University, Sweden

Dr Miklós Antal, Researcher, University of Leeds, UK.

Dr Jordi Roca Jusmet, Professor, Universitat de Barcelona, Spain

Dr Philippe Defeyt, Chairman, Institute for Sustainable Development, Belgium

Dr Erik Swyngedouw, Professor, University of Manchester, UK

Dr Christian Kerschner, Assistant Professor, ModulUniversity Vienna, Austria

Dr Agata Hummel, Assistant Professor, University of Adam Mickiewicz, Poland

Dr Frank Moulaert, Emeritus Professor, KatholiekeUniversiteit Leuven, Belgium

Dr Frank Adler, Researcher, Brandenburg-Berlin Institute for Social Scientific Research, Germany

Dr Janne I. Hukkinen, Professor, University of Helsinki, Finland

Dr Jorge Riechmann, Professor, Universidad Autónoma de Madrid, Spain

Samuel Martín-Sosa Rodríguez, Responsable de Internacional, Ecologistas en Acción, Spain

Dr John Barry, Professor, Queen’s University Belfast, Northern Ireland

Dr Linda Nierling, Senior Scientist, Karlsruhe Institute of Technology, Germany

Dr Ines Omann, Senior Researcher, Austrian Foundation for Development Research, Austria

Dr Hug March, Associate Professor, Universitat Oberta de Catalunya, Spain

Dr Jakub Kronenberg, Associate Professor, University of Lodz, Poland


Articolo apparso anche su: The Guardian e  Liberation