Mentre continua ad imperversare a reti unificate l’isteria confindustriale per l’analisi costi e i benefici della nuova linea Torino-Lione, prendiamo questo spazio per dire due o tre cose che ci stanno a cuore.
Il movimento No Tav è stato innanzitutto un grande percorso di crescita politica che ha investito una valle alpina, irradiandosi fino a luoghi lontanissimi, oltre i valichi e giù in pianura fino alla Sicilia. Partito da una manciata di persone con la voglia di informarsi sulla Torino-Lione è diventato una marea durata venticinque anni che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone lasciando un segno indelebile nel nostro paese. Niente è stato scontato nella costruzione di questo movimento. Ci sono stati errori, piccole sconfitte, ma soprattutto grandi vittorie e la creazione di una comunità consapevole ed in lotta. Il binario su cui viaggiamo l’abbiamo costruito insieme. Ad oggi del progetto originale – che senza il movimento sarebbe già stato completato – resta praticamente nulla. Si erano sbagliati, hanno detto. Resta da provare a salvare il salvabile. Un grande buco che spunterà non si sa dove.
Per noi, una conquista collettiva, faticosamente raggiunta, è stata quella di capire che questa non era una battaglia su quale cortile dovesse subire una catastrofe ecologica ed economica. Né qui né altrove era lo slogan, inusitato, che accompagnava i primi manifesti notav. Perché spulciando le carte, vedendo come si muovevano gli organi di informazione, provando ad opporci con la nostra firma o il nostro corpo ai primi sondaggi per l’opera, maturava la presa di coscienza che non c’era una linea Tav ma un sistema Tav.Un sistema fatto di grandi contractor con connessioni mafiose poi parzialmente verificate persino dalla magistratura, di drenaggio delle risorse pubbliche per far accumulare utili alle aziende private invece di essere utili alla collettività, di sistematica devastazione dei territori attraverso la manipolazione dei dati ambientali, dell’uso delle istituzioni democratiche come manganello contro chi osa mettersi in mezzo.
Come ogni sistema, il sistema TAV era replicabile. E girando per l’Italia, invitati dai mille comitati a cui la nostra ha lotta ha fatto eco, ci siamo accorti che poteva prendere tanti nomi. Là quello di una discarica gestita da una famiglia mafiosa della zona, qui un’autostrada ad otto corsie per far favori alle aziende in quota Lega, lì un gasdotto che avrebbe garantito i profitti di una multinazionale, qua una mega-azienda siderurgica che stava facendo ammalare di cancro i bambini. Nelle facce di quei comitati rivedevamo le nostre. Non dei politici, non degli attivisti, non dei “consapevoli”. Le facce di chi poco si è interessato di politica fino a che la politica non ha iniziato ad interessarsi a loro. Stampata sopra c’era la violenza di una presa di coscienza su cosa fosse il Sistema, quello che ti annienta, che ti mette in bocca parole non tue, che ti denuncia, che ti bastona se provi anche solo a chiedere.
Gli anni passavano, la lotta in Val di Susa continuava, si faceva più forte. Saltava il cantiere a Venaus, dopo che la polizia veniva cacciata via dal movimento. Iniziavano a scricchiolare le giunture del progetto. Questo si può rivedere, questo non è più così importante. Ma il sistema non poteva cedere. A farsene portavoce fu Pier Luigi Bersani. Ormai, disse, era una questione di democrazia. Ed eravamo d’accordo. Diventò chiara un’altra cosa. Non solo che questa progetto era sbagliato qui come altrove ma anche che la Val Susa non poteva vincere se non vinceva il resto d’Italia. Furono i tempi delle grandi manifestazioni a Roma, dell’assedio ai palazzi del potere. Ma soprattutto dei legami tessuti con i terremotati, prima dell’Aquila poi delle Marche, con i movimenti di lotta per la casa, con i comitati per l’acqua pubblica. Con tutti quelli che subivano il sistema TAV non per la presenza che imponeva ma per le mancanze che generava. Realizzare il folle progetto della Torino-Lione significa levare risorse alla manutenzione, alla messa in sicurezza del territorio, alle scuole, agli ospedali, alle case popolari. Lo vedevamo nel nostro territorio, dove chiudeva un punto nascite mentre venivano spesi milioni per proteggere un cantiere con veicoli militari e polizia. Lo vedevamo nelle catastrofi che ci sembravano sempre meno naturali e sempre più frutto di scelte politiche precise.
Per noi, insomma, non è mai stato solo un treno. E neanche per chi ci governa. È per questo che la parola notav fa paura, mette insieme in un moto d’orrore dal Partito democratico a Forza Italia, dai sindacati confederali a confindustria. Perché mettere in dubbio quel tunnel signif24ica inevitabilmente risalire la gerarchia degli interessi, dalle reti clientelari fino alla sistematica collusione tra sistema dell’informazione, imprenditoria, mafia e politica, fino al significato dell’uso della forza pubblica contro i cittadini, fino alla verità radicale su cui regge il sistema in cui viviamo: i profitti contano più delle persone.
8 dicembre, Manifestazione No Tav a Torino
Oggi lo stop alla Torino-Lione sembra possibile. Sappiamo che tutto quello che abbiamo ottenuto e tutto quello che otterremo lo dobbiamo alla lotta. È solo informandosi, incalzando il potere, assumendosi la responsabilità delle proprie scelte che si potrà vivere in un mondo migliore di quello in cui viviamo.
A tutti i comitati territoriali che lottano nel nostro paese e che domani incontreremo a Venaus possiamo solo dire che la strada è ancora lunga, ma che la percorreremo insieme. Ci vediamo a Venaus!