Harvard Business Review parla di decrescita! Ma solo per continuare a fare profitto

da | 13 Apr 2020

recessione Coronavirus

 

A cura del Gruppo Tematico Decrescita & Economia MDF (*)

 

Il 14 febbraio la prestigiosa Harvard Business Review (HBR), una delle Bibbie del “Big Business”, il giornale on line dell’università di Harvard, ha pubblicato un articolo nel cui titolo il termine DECRESCITA fa bella mostra di sé.

Ovviamente il taglio dell’articolo è pro-business, posiziona la decrescita (anche) come un’opportunità per le aziende; inoltre l’articolo è molto parziale e non considera tutti gli aspetti sociali, macroeconomici o sistemici della decrescita (d’altronde è solo un articolo), ma i due autori dimostrano di sapere di cosa stanno parlando.

Ciò ci ha incuriosito e, sicuri che i visitatori del nostro sito potessero essere interessati alla sua lettura, abbiamo deciso di tradurlo. Lo trovate più in basso assieme al link alla versione originale. Prima di lasciarvi a questa lettura vorremmo proporvi alcune riflessioni che, come Gruppo Tematico Economia&Decrescita, abbiamo sviluppato attorno al suo contenuto.

L’articolo si apre con la constatazione che “Un recente sondaggio di YouGov in Francia evidenzia che il 27% degli intervistati sta cercando di consumare meno, il doppio della percentuale rispetto a due anni prima.”, ma poi si lancia in una serie di riflessioni circa i modificati stili di consumo, ad esempio evidenziando che “la riduzione del consumo di carne è stata accompagnata da un’esplosione di sostituti della carne che producono un decimo dei gas serra rispetto a quella vera. Di conseguenza, la decrescita rimescola le dinamiche competitive all’interno e tra i vari settori e, nonostante ciò che molti leader aziendali sostengono, offre nuove basi per un vantaggio competitivo”.

Ciò premesso gli autori, docenti e consulenti di management, propongono tutta una serie di strategie per “semplicemente” attirare su altri prodotti l’interesse dei cittadini consumatori, sviluppando processi produttivi più ecologicamente sostenibili. Insomma proposte di green economy quando non di semplice green washing.

Non meraviglia ovviamente il fatto che agli autori non sia chiaro quali sarebbero le conseguenze per le imprese che volessero sperare di sopravvivere con queste tecniche ove si realizzasse ciò che, in materia economica, la decrescita propone, e cioè una sostanziale riduzione del ruolo dell’attività mercantile all’interno della società (tutt’altra cosa dall’attuale recessione, come ben sta evidenziando l’emergenza coronavirus) ma il fatto che addirittura si illudano che per le imprese quelle tecniche sarebbero quelle da adottare per prosperare.

Non è possibile dire se la posizione degli autori dell’articolo rispecchi il punto di vista dell’illustre università di Harvard o sia tutto isolata all’interno della stessa HBR ma è comunque notevole che siano stati pubblicati, ad ulteriore conferma del pragmatismo delle persone e del business anglosassoni.

Speriamo che queste poche righe, unitamente alla lettura dell’articolo, possano suscitare riflessioni e commenti che sicuramente saranno molto gradite ed utili a noi membri del Gruppo Tematico E&D nel prosieguo dei nostri studi.

 

Di seguito, come annunciato in apertura la traduzione dell’articolo (a cura di Maria ZINUTTI e Kristel KLEIN, socie MDF  membri del Gruppo Tematico Economia&Decrescita) (*)

L’articolo originale è disponibile a questo link.

 

Perché la “decrescita” non dovrebbe spaventare le aziende (di Thomas Roulet(^) e Joel Bothello(°) )

Il concetto di decrescita risale agli anni ’70, quando un gruppo di intellettuali francesi guidati dal filosofo Andre Gorz propose un’idea semplice: in risposta ai crescenti problemi ambientali e sociali, suggerirono che l’unica vera soluzione era produrre e consumare meno, cioè ridurre le nostre economie per far fronte alla “capacità di carico” del nostro pianeta. La proposta era considerata da molti all’epoca troppo radicale, ma con l’attuale crisi climatica i dibattiti sulla decrescita sono rinati e molte figure importanti come Noam Chomsky, Yanis Varoufakis e Anthony Giddens hanno espresso, a vari livelli, il loro sostegno all’idea.

Per altri però – specialmente per i dirigenti d’azienda – la decrescita è completamente impensabile, non da ultimo a causa delle radici anticapitaliste e anti-consumistiche del termine. L’opinione prevalente è che la crescita sia una necessità economica e che qualsiasi minaccia a ciò danneggia non solo le imprese, ma il funzionamento di base della società. Ad esempio, il CEO di H&M Karl-Johann Persson ha recentemente messo in guardia dalle preoccupanti conseguenze sociali di quello che percepisce come un movimento che “influenza il comportamento dei consumatori”. Inquadrata in questi termini, la resistenza degli amministratori delegati e degli imprenditori delle multinazionali è prevedibile, così come la riluttanza dei politici a promuovere politiche di decrescita che potrebbero rivelarsi impopolari con gli elettori chiave. L’economista Tim Jackson fornisce una valutazione concisa: “Mettere in discussione la crescita è considerato l’atto di pazzi, idealisti e rivoluzionari”.

I critici della decrescita hanno avanzato anche altri argomenti che, a prima vista, sembrano validi: l’economista Joseph Stiglitz sostiene, ad esempio, che poiché la crescita è indiscutibilmente positiva per lo sviluppo umano, abbiamo semplicemente bisogno di un diverso tipo di crescita che sia migliore per l’ambiente, non minore. Altri sostengono che la filosofia della decrescita non tenga in seria considerazione l’innovazione tecnologica, in particolare l’idea che possiamo continuare gli attuali modelli di crescita grazie all’innovazione, con prodotti che richiedono meno risorse e generano meno sottoprodotti di scarto.

Vi sono, tuttavia, problemi con queste prospettive. Innanzitutto, data la natura limitata del nostro pianeta, una crescita economica infinita (anche di diverso tipo) è un’impossibilità logica. In secondo luogo, l’innovazione e i miglioramenti producono, in molti casi, conseguenze indesiderate, come il paradosso di Jevons: gli individui compensano la maggiore efficienza aumentando i consumi (ad esempio, frigoriferi più efficienti dal punto di vista energetico portano a più frigoriferi in una casa).

La terza e più fondamentale questione è che il movimento della decrescita è già cominciato: nella società civile, la domanda dei consumatori si sta attivamente trasformando, nonostante la reticenza della politica e delle aziende. Un recente sondaggio di YouGov in Francia evidenzia che il 27% degli intervistati sta cercando di consumare meno, il doppio della percentuale rispetto a due anni prima. Anche il numero di persone che mangiano meno carne o che vi rinunciano del tutto è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni. Allo stesso modo, il movimento di Flygskam (letteralmente “vergogna di volare” in svedese) ha avuto i primi successi nella riduzione dell’inquinamento: 10 aeroporti svedesi hanno registrato un notevole calo del traffico dei passeggeri nell’ultimo anno, attribuendolo direttamente al Flygskam. Nel settore dell’abbigliamento, la moda usa-e-getta (fast-fashion) è ancora popolare, ma i produttori di vestiario come H&M si stanno preparando per un contraccolpo mentre i consumatori esprimono critiche crescenti sull’impatto ecologico degli indumenti. Dati come questi indicano come i consumatori in molti contesti siano sempre più consapevoli delle conseguenze negative del consumismo e stiano cercando di cambiare le loro abitudini. Stiamo assistendo alla nascita della decrescita guidata dal consumatore.

Queste storie indicano anche come la decrescita apra nuove opportunità: alcune aziende e industrie ne risulteranno certamente stroncate, ma altre sufficientemente preparate per tali transizioni supereranno facilmente i loro concorrenti. Ad esempio, il Flygskam è stato una manna per i viaggi in treno, sostenuto da un movimento di social media chiamato Tågskryt (“vanto del treno”). Nel frattempo la riduzione del consumo di carne è stata accompagnata da un’esplosione di sostituti della carne che producono un decimo dei gas serra rispetto a quella vera. Di conseguenza, la decrescita rimescola le dinamiche competitive all’interno e tra i vari settori e, nonostante ciò che molti leader aziendali sostengono, offre nuove basi per un vantaggio competitivo.

Sulla base del nostro esame delle aziende all’avanguardia nel movimento della decrescita, abbiamo identificato tre strategie che possono essere applicate anche dalle grandi imprese.

In primo luogo, le aziende possono perseguire una progettazione del prodotto adattata alla decrescita, che prevede la creazione di prodotti che hanno una durata più lunga, sono modulari o prodotti localmente. Fairphone, un’impresa sociale, evita l’obsolescenza integrata dei più grandi produttori di dispositivi mobili e produce telefoni riparabili che prolungano notevolmente la loro longevità. Allo stesso modo, la start-up The 30 Year Sweatshirt vende prodotti durevoli di alta qualità in contrasto con i principi della moda veloce. Sebbene gli operatori storici debbano ancora seguire l’esempio, tali trasformazioni non sono senza precedenti: ad esempio, l’industria automobilistica americana è stata costretta ad abbandonare l’obsolescenza programmata, che era una pratica comune risalente agli anni 1920, quando i concorrenti giapponesi hanno conquistato il mercato negli anni ’70-’80 con veicoli più affidabili ed efficienti dal punto di vista dei consumi, costruiti per durare.

In secondo luogo, le imprese possono impegnarsi nel riposizionamento della catena del valore (value-chain), uscendo da alcune fasi della value-chain e delegando alcuni compiti ad altri stakeholders (parti interessate). Ad esempio, il produttore di veicoli Local Motors ha creato un veicolo riciclabile realizzato con 50 parti singole stampate in loco, invece che le circa 25.000 parti richieste per un veicolo tradizionale. La società ha utilizzato il crowdsourcing per il disegno e il progetto, facendosi finanziare dai loro potenziali consumatori. Anche aziende più grandi come Lego hanno approfittato di questo modello, lanciando un mercato sia per la creazione di nuovi design che per la commercializzazione di prodotti usati. In questo modo, l’azienda crea modi diversi di consumo nonostante i limiti di produzione. Le aziende che incorporano il coinvolgimento delle parti interessate nelle loro operazioni saranno quindi più veloci ad adattarsi alla decrescita qualora dovesse diventare un fenomeno più comune.

In terzo luogo, le aziende possono definire degli standard orientati alla decrescita, che anche i concorrenti saranno poi costretti a seguire. La società di abbigliamento Patagonia (che segue esplicitamente una strategia di “anti-crescita”) è il capostipite di questa filosofia, offrendo un negozio di abbigliamento usato e fornendo riparazioni gratuite non solo per i propri prodotti, ma anche per quelli di altri produttori di vestiario. Walmart e Nike hanno richiesto a Patagonia la consulenza su queste pratiche e, più recentemente, H&M ha imitato il servizio con un atelier pilota di riparazione in negozio. Allo stesso modo, la società automobilistica Tesla ha rilasciato tutti i suoi brevetti nel 2014, cercando di facilitare la diffusione dei veicoli elettrici. Tali iniziative non costituiscono semplicemente stratagemmi di marketing, ma anche strategie per standardizzare una pratica o una piattaforma tecnologica in un settore – uno in cui aziende come la Patagonia o Tesla avrebbero già esperienza e quindi un vantaggio competitivo.

Queste strategie illustrano alcuni modi potenziali in cui le aziende possono adattarsi alla decrescita guidata dai consumatori. Le imprese possono perseguire più di una strategia (o tutte e tre) contemporaneamente: nel 2016, ad esempio, Google ha tentato di creare un telefono più duraturo con componenti modulari, chiedendo dei feedback agli altri attori della filiera per creare parti standardizzate per i loro telefoni. Sebbene il “Progetto Ara” sia stato alla fine cancellato, ha rivelato un filo conduttore tra le strategie. Una comunicazione efficace e inclusiva con le parti interessate lungo la catena di approvvigionamento è fondamentale, ma inquadrare il progetto in maniera tale che tutte le parti interessate possano accettarlo richiede notevoli sforzi ed adattamento, attraverso diverse prove ed errori.

Mentre continuiamo ad affrontare i cambiamenti climatici, possiamo aspettarci che i consumatori, piuttosto che i politici, spingano sempre più per la decrescita, modificando i loro modelli di consumo. Le imprese dovrebbero guardare in modo innovativo alla decrescita guidata dai consumatori e considerarla un’opportunità, invece di resistere o respingere le richieste di questo piccolo ma crescente movimento. Le aziende che riusciranno in questo ne usciranno più resilienti e adattabili: invece di necessariamente vendere di più, venderanno meglio e prospereranno in modo da soddisfare i consumatori nel rispetto dell’ambiente.

(^) Thomas Roulet è professore ordinario di Teoria dell’organizzazione presso la Judge Business School e membro del Girton College, entrambi presso l’Università di Cambridge. Ha scritto analisi sociologiche su diversi aspetti della Brexit in vari media (the Telegraph, l’Humanité, Die Zeit). Seguilo @thomroulet.

(°) Joel Bothello è Assistant Professor in Management presso la John Molson School of Business, Concordia University. Lavora all’intersezione tra teoria dell’organizzazione e resilienza. Può essere seguito su Twitter e ulteriori informazioni sono disponibili sul suo sito Web.

 

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(*) Gruppo Tematico Decrescita ed Economia MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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