Mi sono chiesto: come è possibile che pochissima gente, per loro natura dotati di particolare sensibilità, percepisca a pieno il momento di profonda “sofferenza “ che sta vivendo il pianeta dovuta ad un super sfruttamento di risorse date in pasto, poi, ad una popolazione che non sa apprezzare il loro “apporto”e il loro “valore”.
Un contributo di Walter Andreato del Circolo del Movimento per la Decrescita Felice di Venezia
E si che il disastro è sotto gli occhi di tutti in quanto viene estrinsecato attraverso tutti i mezzi di comunicazione di cui è dotata l’attuale società. Pensandoci bene mi sono reso conto che lo strumento individuale che dovrebbe imporre un grosso punto di domanda a se stessi , riguardo al “chi siamo cosa stiamo facendo”, è la propria “capacità di giudizio” perché è proprio questa che influisce/determina il modo di condurre la propria esistenza nel proprio tempo.
La capacità di giudizio non è altro che una riflessione sulle cose/esperienze che, durante il tempo, abbiamo immagazzinato nella nostra mente e che, attraverso un processo di deduzione/induzione, ci fa dire: questo è buono ora, quindi da seguire, questo è cattivo ora da lasciar perdere. Viene naturale dire che più sono le cose “immagazzinate” più ho la possibilità di scegliere/seguire modalità di esistenza giusta al momento giusto. Viene spontaneo , dopo tali riflessioni, esprimere: ma è naturale, normale che accada, ora, tutto quanto di brutto sta accadendo.
Infatti la capacità di giudizio, in possesso a persone cinquantenni, quarantenni, trentenni ecc…, è molto povera in quanto, per tali componenti la società, l’esperienza immagazzinata proviene da una “mono conduzione” dell’esistenza, imposta chiaramente da altre entità (?!), che prevede il solo ” lavoro, scambio e consumo” tutto il resto è stato precluso. Non esiste, nella mente, alcuna rappresentazione riguardante la solidarietà per diritto, il lavoro con obiettivi diversi dal solo profitto, il recupero e l’aggiustamento delle cose che già possediamo ecc. e il peggio è che NESSUNO sa di possedere una povertà disarmante di esperienze di vita.
Tanto per essere chiari: se una persona non ha mai visto un’altra che zoppica e nessuno gli ha mai parlato che esistono persone che zoppicano, lui NON sa di camminare eretto in quanto, per lui, situazione unica senza bisogno di un nome. A questo punto, cari amici, la considerazione che mi viene da veicolare dice: se noi vogliamo fare realmente qualcosa per il recupero, la inversione degli atteggiamenti che condannano alla distruzione il nostro pianeta, dobbiamo agire, per il possibile, sulle coscienze della gente non c’è alcun altro che “ha capito” che questa è l’unica via per la salvezza e nessun altro farà qualcosa in tal senso siamo solo NOI e per questo dobbiamo gioire!
Non dobbiamo fare affidamento sulle istituzioni perché esse sono l’esatta “rappresentazione” della società, come sempre del resto, la quale, nelle condizioni in cui si trova, non potrà che esprimere rappresentanti che vedono l’attuale organizzazione sociale, basata sul lavoro/scambio/consumo, come unica possibile anche se, per raggiunte saturazioni di merci e automazioni
dei processi produttivi, non può che fallire.
Cosa fare (?!) ad un ragazzo/ragazza, adolescente e più, con calma andrei a spiegare quanto lontano è il suo bagaglio culturale, dal necessario, per vivere/affrontare lo straordinario momento attuale. La modalità con cui parlare ritengo possa essere incisiva se viene fatta leva su ciò che di importantissimo passa accanto ad una persona senza che, la persona stessa, manco se ne accorga. Voglio soffermarmi, di seguito, su alcuni di questi aspetti in modo da rendere concrete le mie riflessioni.
1) Percezione del benessere
Noi consideriamo, senza saperlo, il benessere fisico attuale goduto come minima condizione di vita. E’ normale avere una casa riscaldata d’inverno rinfrescata d’estate, vestiti, scarpe, cappotti, una o due automobili, momenti ricreativi e di svago. Non sappiamo nulla di modalità di vita, assai più modeste, vissute dai nostri padri/nonni. Ogni volta che possiedi un nuovo bene, nell’intento inconscio di migliorare la tua esistenza, se fai caso ti accorgi che dopo un po’; consideri ancora “minima condizione” possederlo. Questo fenomeno comporta uno sfruttamento impressionante delle risorse terrestri a tuo, e di tutti, “disinteresse”. Ma questo disinteresse non è perché siamo tutti ingrati o, peggio, cattivi semplicemente non “sappiamo” di stare distruggendo “inutilmente” il pianeta per un “iper benessere” (se si può chiamare tale) che tra poco non sapremo di possedere. In questo caso il “sapere” non è inteso come “ l’acqua sul fuoco bolle a 100 gradi” bensì come “so che sto male mi devo curare!”.
2) Percorso logico causa/effetto
Prendiamo le decisioni in modo “immediato” senza cioè una riflessione che ponga la scelta sul giusto binario di causa/effetto. Per meglio esprimermi su questo tema uso un esempio: supponiamo di prendere due foglietti, uguali, e porli in modo siano visibili e, successivamente, chiedere agli astanti, “per quale motivo tali foglietti sono uguali”? Verranno date risposte del tipo: hanno tutti e due le stesse dimensioni, hanno tutti e due lo stesso colore, hanno tutti e due lo stesso spessore ecc. E’ pensabile/auspicabile che a qualcuno venga in mente che tutte le citate caratteristiche sono, in realtà, “effetti” della causa principale che è la “diversità”. Se non ci fosse il “diverso”, il quale si ottiene semplicemente prendendo uno dei foglietti e strappandolo a metà, a nessuno verrebbe in mente di inventare i centimetri, i millimetri oppure dare differenti nomi a colori diversi perché ci sarebbe un colore unico ecc. La risposta giusta è “sono uguali perché non sono diversi”. La perdita, parziale o totale, della capacità di percorrere il filo causa/effetto ci rende meno abili a pensare in modo deduttivo/induttivo condizione, questa, essenziale per essere “padroni” di se stessi. Il ”padroni di se stessi” inteso nel senso che “devo essere io”, attraverso un processo di elaborazione mentale, a rendere “mia” una qualsiasi cosa, nella consapevolezza che, questo rendere “mia” una cosa, non è per sempre ma sicuramente giusto, date le circostanze, in questo momento ed in questo luogo.
3) Perdita della capacità di cambiare percorso
Siamo in grado di percepire che stiamo vivendo un percorso che non può essere sostenuto ma non possediamo quelle caratteristiche che permetterebbero il cambiamento. Questo fatto, sempre calcando il tema precedente, sussiste perché pensiamo, in modo immediato, che sia possibile “il cambiamento” semplicemente passando da un comportamento cattivo ad un comportamento buono lasciando inalterata la causa, la quale continua ad esistere, che determina il comportamento cattivo. No non è possibile cambiare, fatto salvo per le persone particolarmente sensibili, se non viene rimossa la causa. Tale causa
può essere l’educazione acquisita sin da piccoli oppure la vita vissuta in un ambiente dove le sensibilità non trovavano posto ecc. Cambiare la causa comporta, minimo, la consapevolezza che questa esiste e io la conosco. Solo allora, considerando essa in questo momento “fuori luogo”, posso attivare la “volontà” e pretendere da me un nuovo progetto per la mia esistenza.
4) Perdita consapevolezza del limite
Il paradigma citato in precedenza ovvero “lavorare scambiare consumare”, come abbiamo accennato, è una modalità di organizzazione sociale. Ma, come tutte le cose poste in essere dall’uomo, anche questa organizzazione ha avuto un inizio, una evoluzione e avrà per forza una fine. La fine è decretata da essa stessa in quanto col passare del tempo, sotto la spinta del “produci produci”, si determina la saturazione del mercato con conseguente decremento dei consumi, chiusura dei luoghi di produzione ecc. ecc. tutte cose facilmente deducibili. L’evolversi della tecnologia determina una elevata automazione dei processi produttivi (dove una volta occorrevano mille minatori per turno per scavare una galleria ora basta una macchina gigantesca e venti trenta tecnici per turno ….) di conseguenza i posti di lavoro scemano in modo impressionante ecc. ecc. Ma tutto questo non dice assolutamente nulla a nessuno perché nessuno detiene il concetto di “limite” poiché non posso immaginare soluzioni se, nella mia testa, non c’è ALTRO che il paradigma citato.
Cara ragazza caro ragazzo la situazione è in mano tua io ho cercato con qualche considerazione, ve ne sono altre mille da fare, di stimolare il tuo pensiero per renderti palese l’assoluta necessità che tu prenda piena padronanza di te stesso; padronanza non eludibile se vuoi renderti “responsabile” del tuo vivere all’interno di questo scrigno. Il nostro pianeta deve essere preservato e questo pensiero, assieme alla “fatica” che richiede “l’esistere”, deve produrre gioia al tuo interno per il fatto di essere “protagonista” e non condotto nella corrente come una cosa.