Un contributo di Maurizio Nai, di MDF Cuneo
Quando, in cucina, mi capita di utilizzare il sale, la mia mano sa già che, dopo la presa, ne verserà meno di quanto prelevato, rimettendo il resto nel barattolo. Più salute, ma anche altro.
Chiunque abbia, anche occasionalmente, incrociato in un libro o su una rivista una ricetta di cucina ha sicuramente incrociato questa sigla: “q.b.” , che significa “quanto basta”. Indica, per un componente da immettere nella realizzazione del piatto, una (a differenza del resto) quantità indeterminata, lasciata, nella sua determinazione, all’istinto, alla sensibilità personale di chi opera.
La prima considerazione che ne consegue è: quanto abbiamo dimenticato, nella nostra prassi (interiore non meno che esteriore) l’abitudine ad esercitare quel sapere, spontaneo ed innato, che permette all’intreccio tra il nostro corpo e la nostra mente di agire fuori dalla standardizzazione, come i vecchi artigiani e contadini?
La seconda sta nel rendersi conto di come riflessioni e idee profonde e fondanti si nascondano spesso nella apparentemente banale quotidianità materiale dei nostri gesti.
Di fronte all’ormai evidente manifestarsi della crisi del nostro modello di vita individuale e sociopolitica, come in ogni crisi è necessario porsi le domande fondamentali: “Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto?” , “perché è accaduto?”.
Una, se non “la”, risposta a questa ricerca di un senso è legata proprio al sale nell’acqua della pasta, anche se viene da lontano.
Abbiamo smarrito il senso del limite. Senso che il mondo classico conosceva bene e che ci siamo persi lungo la strada della storia del pensiero. Ciò dimostra (tra le altre cose) come la spiritualità, la filosofia e la cultura umanistica, che oggi si stanno volutamente riducendo al lumicino, siano fondanti nell’agire umano. In bene e in male, ma imprescindibili.
Con un salto balzano e un poco “hot” ora chiedo:
“Perché i Greci antichi, che pur avevano un’idea di sesso e pudore ben diversa dalla nostra, tuttora permeata dalla morale borghese, rappresentavano, nelle statue il nudo maschile con il membro piccolo?”
Lo facevano perché nella loro cultura era presente l’idea che l’esagerazione, cioè il varcare il limite (con una digressione ricordo il mito di Romolo e Remo, dove Remo viene ucciso proprio per aver varcato il limite, il confine. Ma questa è un’altra storia) fosse, oltre che brutto, inelegante e disarmonico. Costituisse un tradimento rispetto all’idea che bello e buono dovessero coincidere. Soprattutto il varcare il limite costituiva una “ybris”, una violazione dell’ordine delle cose che, prima o poi, avrebbe attirato l’ira e la punizione degli dei. Dei forse inesistenti, ma che incarnavano l’idea di ordine naturale, concetto che oggi noi iniziamo nuovamente a riconoscere.
Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi sono presentile parole “medèn agàn”, “ciò che è sufficiente”. Invito meno conosciuto ma che, in simbiosi col più noto “conosci te stesso”, dovrebbe costituire la base di fondo di una vita degna. Questi concetti, variamente declinati, sono stati presenti nella storia umana e, fino a un certo momento, sono stati un punto di riferimento. Ma quando il pensiero ha perso questo punto di partenza, in breve tempo (storicamente) è stato effettuato il passaggio dalla Scienza allo scientismo. All’idea dell’uomo come solitario e onnipotente centro dell’Universo. Smettendo di porsi il problema delle conseguenze a lungo termine delle scelte scientifiche. Il principio è diventato: “se è possibile farlo, perché rinunciare”? E la cultura ha lentamente e metodicamente rimosso il senso del limite. Non a caso la Morte, ora riportata alla ribalta dalla pandemia, essendo l’unico limite invalicabile rimasto, viene anestetizzata e nascosta (ma questo è un discorso più ampio).
Ora i risultati li abbiamo sotto gli occhi. E quando ci si accorge di aver sbagliato strada vedendo che il viaggio ci conduce alla fine di un ponte crollato da cui rischiamo di precipitare, cosa si fa? Ci si gira e si abbandona quella strada. Si effettua una “conversione” di marcia (quanto sono importanti le parole…) e si ricerca una strada diversa. La salvaguardia della cultura umanistica, quella del “perché” come premessa al “come”, e la frequentazione del pensiero spirituale in senso più ampio possibile forse sono due passi fondamentali nel percorso verso il necessario cambiamento di rotta.
Se, tra i decrescenti, iscritti MDF e non, che leggono questo articolo ci fosse qualcuna/o con l’interesse a sviluppare questi temi può contattarmi sulla mail del circolo MDF di Cuneo : mdf.circolocuneo@gmail.com.