Copenaghen è insostenibile. Perché non basta essere una “green city”
di Karl Krahmer
Che le città siano luoghi centrali nella lotta alla crisi climatica lo sappiamo ormai da tempo. Sono centrali perché ci abita buona parte della popolazione del mondo – e sicuramente la maggior parte delle persone in Europe e nella parte ricca del mondo. E nelle città arriva la maggior parte dei benefici dovuti ai consumi di energia e materiali, le emissioni di gas serra e rifiuti.
Sentiamo anche da anni parlare di soluzioni, di città sostenibili. Progetti e politiche più o meno spettacolari che – di solito attraverso interventi sostanzialmente tecnologici che poco cambiano il modo di vivere – promettono di portarci in un nuovo mondo, in cui si vive diversamente in città e viverci sarà in armonia con la natura.
Però davvero è così facile e queste città sono così sostenibili?
In una piccola ricerca ho preso per esempio un caso famoso di “città sostenibile”, Copenaghen, European Green Capital del 2014, e l’ho analizzato con le lenti della decrescita. Il risultato è stato piuttosto deludente. In estrema sintesi: il modello di Copenaghen è tutt’altro che sostenibile – ma comunque si può imparare dalle politiche che nella capitale danese sono state messe in campo.
Prima di entrare nel merito delle ragioni di questa critica, premetto che mi sono focalizzato sulla sostenibilità ecologica in relazione alla crisi climatica. È chiaro che anche altre dimensioni sarebbero importanti da analizzare ma sulla questione climatica ci sono più dati disponibili ed è anche centrale nei documenti di pianificazione di Copenaghen. La mia ricerca si è concentrata sulla lettura dei documenti di piano (affiancata dalla lettura di altra ricerca e di dati) e quindi guarda quello che sono i migliori auspici delle politiche urbane di Copenaghen. Che comunque non risultano molto promettenti.
Le ambizioni della Città di Copenaghen sono senz’altro alte: vuole raggiungere la neutralità climatica nel 2025. Non sta qui il problema ma nel come sono definiti i termini di questa neutralità e nel come si definisce di conseguenza la strada per raggiungerla. I problemi sono fondamentalmente tre, tra di loro interconnessi: l’esternalizzazione, il focus sull’efficienza, la priorità della crescita economica. Svisceriamoli uno per uno.
Con esternalizzazione mi riferisco al fatto che i dati sulle emissioni di gas serra che i documenti di piano di Copenaghen prendono in considerazione, sono tutti dati calcolati in base al luogo dove queste emissioni vengono prodotto; la procedura standard finora, non solo a Copenaghen. Questo però oscura una parte consistente di emissioni. Come vale per praticamente ogni città ricca, molti dei beni e servizi che a Copenaghen vengono consumati sono prodotti altrove, fuori dai confini comunali e spesso nazionali. Una delle ragioni per cui le nostre città oggi sono più pulite e vivibili che negli anni ‘70 è l’esternalizzazione di molte delle attività economiche più impattante in altri paesi, per esempio la Cina (insieme, certamente, al progresso tecnologico che ha reso meno impattanti le produzioni rimaste). Secondo diversi studi e dati, solo tra il 20 e il 40% delle emissioni dovute al consumo di prodotti e servizi in Copenaghen vengono emesse dentro i propri confini comunali.
Però questo approccio alla contabilizzazione delle emissioni non porta soltanto a sottostimare l’entità del problema ma anche a una sbagliata analisi (o quantomeno un’analisi differente da quella che emerge se si conteggiano le emissioni in funzione del luogo del consumo del rispettivo prodotto e servizio) della distribuzione del problema sui settori dell’attività umana: guardando le emissioni in funzione del luogo di produzione, come principale contribuente emergono la produzione di energia; se invece le si attribuiscono in funzione del luogo di consumo, le emissioni dovute a prodotti di consumo emergono come responsabili di metà delle emissioni1. Il consumo però non è un tema che viene discusso dai piani di Copenaghen, anzi, lo shopping viene considerata l’attività fondamentale per rendere vive le strade cittadine (interazioni sociali non-economiche non vengono considerate). Altrettanto non si conteggiano gli impatti derivanti dai voli aerei e dalla costruzione di nuovi edifici.
Certo, si può obiettare che le politiche cittadine non hanno il potere di influire su tutte queste cose che spesso avvengono anche fuori dai confini comunali. Però: le questioni ambientali per forza trascendono i confini umani. E quando si tratta invece di migliorare la propria competitività internazionale, la città guarda fuori dai suoi confini. Inoltre le strategie politiche delineate attualmente, in quello che li riguarda, puntano semplicemente al contrario: Copenaghen pianifica nuove costruzioni, più shopping, più collegamenti aerei.
Forse non è un caso che lo studio della rete delle città C40 (rete di città impegnate per il clima di cui Copenaghen fa parte) che analizza le differenze tra attribuire le emissioni in base al luogo di consumo e in base al luogo di produzione e che mostra forti differenze tra una cosa e l’altra, non dettaglia i nomi delle città. E quando direttamente interpellata, la rete lo ha definito un dato riservato.
In secondo luogo c’è il problema che la città si affida, per ridurre i propri impatti ambientali, fondamentalmente al principio dell’efficienza. Efficienza però significa ridurre il rapporto tra input e output. In questo caso meno emissioni per unità di ricchezza, misurata in Pil. Se però aumenta il volume totale della ricchezza, il volume totale delle emissioni può comunque crescere. (Ed è questo che normalmente succede; è probabilmente impossibile disaccoppiare le due curve in termini assoluti e sicuramente farlo in maniera sufficientemente grande e veloce, come discusso in dettaglio qui e qui. Un esempio lampante di questa falla dell’efficienza è quando nei piani si argomenta che posizionare nuove attività economiche vicino alle stazioni della metropolitana si risparmiano migliaia di tonnellate di CO2. Però questo non è un risparmio: è solo una crescita minore di emissioni rispetto all’altro scenario in cui le attività non vengono posizionate vicino alle stazioni. Ma è pur sempre una crescita di emissioni e al sistema climatico non importa se queste emissioni vengano prodotte in modo “efficiente” o meno.
Finalmente, quello che emerge dai documenti di piano di Copenaghen, è una fondamentale priorità della crescita economica. Solo un esempio: Copenaghen aveva precedentemente introdotto restrizioni sul numero di parcheggi per le attività commerciali; nei documenti analizzati si argomenta che siccome il “business” chiede più accessibilità stradale, questi limiti andrebbero ridiscussi. Ma non è solo questo il problema. Probabilmente più importante è che i meccanismi e le politiche stesse per far diventare, presumibilmente, Copenaghen una città più sostenibile vengono sostenute con l’argomento che possono portare alla città nuova crescita economica, che possono aiutare i suoi abitanti a diventare più ricchi, facendo diventare le “soluzioni verdi” della città un prodotto di successo da esportare e la città un “centro della crescita verde”. Holgersen e Malm2 hanno definito questo un “green fix”, una soluzione (apparentemente) verde alla stagnazione della crescita economica nel capitalismo.
Però se consideriamo bene il primo punto (le emissioni in relazione al luogo di consumo) è più che plausibile che una crescita della ricchezza si traduca in un aumento dei consumi di prodotti e di servizi, in più voli aerei, case più grandi, più giocattoli elettronici e dunque a più emissioni – che probabilmente ricadono fuori dai limiti della contabilizzazione della città di Copenaghen, apparentemente così verde.
Di alternative si parla nella seconda parte dell’articolo.
Più dettagli e tutti i riferimenti alla letteratura e alle fonti dei dati si possono trovare qui (articolo a pagamento in inglese): Karl Krähmer (2020): Are green cities sustainable? A degrowth critique of sustainable urban development in Copenhagen, European Planning Studies https://doi.org/10.1080/09654313.2020.1841119
Per dubbi, questioni, commenti potete scrivere a Karl: karl.kraehmer@polito.it
NOTE
1Harris, Steve, Jan Weinzettel, Andrea Bigano, and Albin Källmén. 2020. “Low Carbon Cities in 2050? GHG Emissions of European Cities Using Production-Based and Consumption-Based Emission Accounting Methods.” Journal of Cleaner Production 248 (March): https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0959652619340764?via%3Dihub
2Holgersen, St\aale, and Andreas Malm. 2015. “‘Green Fix’ as Crisis Management. Or, in Which
World Is Malmö the World’s Greenest City?” Geografiska Annaler: Series B, Human Geography 97 (4): 275–290 https://www.researchgate.net/profile/Stale-Holgersen/publication/297673703_Green_fix_as_crisis_management_or_in_which_world_is_malmo_the_world%27s_greenest_city/links/59f715ee458515547c233aab/Green-fix-as-crisis-management-or-in-which-world-is-malmoe-the-worlds-greenest-city.pdf