Un contributo a cura di Francesco Lombardi del Circolo di Brescia e Membro del Direttivo MDF.
Sono ormai mesi che assistiamo alla crisi dell’industria italiana. Prima si è trattato di qualche segno meno letto sui giornali; poi si è cominciato a sentirne parlare da amici impiegati nelle aziende: “le cose non vanno tanto bene” … “si resiste ma ci sono pochi ordini” … “si prospetta la cassa integrazione” …
Ora veniamo a sapere che questo è stato il ventesimo mese consecutivo di calo della produzione in Italia[1], causato in primis dal declino dell’industria dell’auto[2] [3]. Le conseguenze peggiori ricadono ovviamente sui lavoratori. Le fabbriche iniziano a licenziare e gli occupati diminuiscono[4].
Sembra già di sentire i presunti esperti: “i consumi calano e la gente perde il lavoro: ecco cos’è la vostra decrescita infelice!”. No, questa non è decrescita: è recessione. È recessione perché lo Stato, invece di governare la transizione dell’industria dell’auto verso l’elettrico, imponendo vincoli stringenti, ha preferito delegare l’adattamento alle normative europee direttamente alle imprese, salvo poi rendersi conto che queste, inseguendo prospettive di facile profitto a breve termine, hanno continuato a ritardare l’adattamento degli impianti produttivi all’elettrico. E ora, visto che vige la libera competizione che ci piace tanto, subiamo l’espansione del mercato cinese[5].
È recessione perché lo Stato continua a rinunciare a una seria politica energetica di lungo respiro, limitandosi a cambiare il Paese fornitore di gas[6]. Rimaniamo quindi fortemente dipendenti dalle fonti fossili e questo rende le imprese italiane sensibili alle fluttuazioni dei prezzi.
È recessione perché costruiamo le fortune della manifattura su consumi spesso superflui e mutevoli, drogati dalla pubblicità e dalle mode; quando poi il vento cambia non si sa più per chi produrre e dobbiamo assistere allo spettacolo paradossale in cui gli operai devono sperare che la gente comune, di cui loro stessi fanno parte, torni a consumare di più per sostenere il loro lavoro, secondo un meccanismo
perverso senza senso.
La decrescita è un’altra cosa.
Decrescita vuol dire produrre ciò che serve alla persona, non all’economia.
Decrescita vuol dire che lo Stato anticipa e accompagna la riduzione di consumi superflui e programma una ricollocazione della manodopera operaia verso settori produttivi più virtuosi, primo fra tutti il trasporto pubblico: non serve alta velocità; piuttosto capillarità, puntualità, accessibilità economica.
Decrescita vuol dire che lo Stato adotta tutti i possibili interventi per ridurre la domanda energetica, così da essere meno dipendente da forniture straniere e dai capricci del mercato.
Decrescita, in sostanza, vuol dire che lo Stato interviene nell’economia: ma non con sussidi pubblici alle
imprese, bensì con la pianificazione democratica. Per dare senso e futuro al lavoro dei suoi cittadini.
[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/11/08/a-settembre-ventesimo-calo-della-produzione-industriale-italiana-istat-nel-terzo-trimestre-pil-fermo-risultato-peggiore-della-media-ue/7759957/
[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/11/08/crisi-auto-diventa-globale-soffrono-filiere/7758564/
[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/16/stellantis-vendite-a-picco-e-altre-chiusure-in-arrivo-il-presidente-elkann-con-le-polemiche-e-i-rancori-non-si-costruisce-nulla/7733285/
[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/31/dati-istat-mercato-lavoro-settembre-calo-occupati-aumento-inattivi-inversione-tendenza/7750150/
[5] https://lavoce.info/archives/106249/una-mobilita-sostenibile-e-possibile/
[6] https://www.ilsole24ore.com/art/gas-2022-forniture-russia-scese-61percento-AElqjZYC