Riportiamo di seguito l’articolo di Pierpaolo Loi, del 2 Maggio 2025 su S’Atobiu. L’evento che il Circolo di Cagliari del Movimento per la Decrescita Felice contribuisce ad organizzzare omai da qualche anno.
Si è chiusa ieri sera a Tertenia (Ogliastra) la prima sessione di S’Atobiu, festival dell’editoria indipendente. Due giorni di tessiture di relazioni tra persone, di intrecci di saperi e di saper fare delle donne, relativi alla cura – dalla nascita alla morte -, al lavoro e all’arte, in un clima di sorellanza, in primo luogo, e di fratellanza, anche intergenerazionale, che ha coinvolto donne e uomini, bambine e bambini. «I saperi e i saper fare delle donne – come scritto nel comunicato di presentazione del Festival – sminuiti, temuti e criminalizzati nel corso della storia».
Laboratori nei quali il saper fare delle donne sarde, ma anche del Cilento, si è potuto sperimentare utilizzando le proprie mani, con la tessitura, la tintura con le erbe, la cestineria, l’utilizzo delle piante officinali.
Gli incontri con relatrici e relatori, sempre partecipati con un ascolto simpatetico, hanno scandito altri momenti dei quali è arduo riassumere le conoscenze comunicate e le emozioni provate.
Prima giornata
La prima giornata (30 aprile) è iniziata con la presentazione della ricerca “Un tuffo nel passato fra natura e magia” delle classi 4^B, 3^B e 3^A della Scuola primaria d Tertenia con la lettura di testi e l’esposizione di elaborati. È terminata con un’immersione nella sonorità della musica delle launeddas dei sonadores Andrea Contu e Angelo Murgia che hanno accompagnato alcuni balli sardi magistralmente eseguiti da alcune coppie del gruppo folk di Tertenia, che ha coinvolto le persone convenute.
La giornata è stata scandita da incontri interessanti e coinvolgenti, a partire dall’intervento di Cristina Muntoni, docente di Storia della sacralità Femminile, su “La Dea Madre e il cerchio della vita”, relazione programmata per un pubblico adulto, che si è trasformata in un incontro formidabile con le scolaresche presenti.
Cartellone sulla Dea Madre – foto di Pierpaolo Loi
La mattinata si è conclusa col giornalista e scrittore Giacomo Mameli, ideatore del festival letterario di Perdasdefogu, SetteSere SettePiazze SetteLibri, con il suo intervento dal titolo “E Poi scoprimmo l’acqua. Hotel Nordamerica”. Racconto avvincente sulla vicenda delle ostetriche inviate in Sardegna nell’estate del 1939, tra le quali sua madre Ida Naldini. La mortalità infantile, all’epoca era molto diffusa in Italia, soprattutto a causa della mancanza di igiene. Con le ostetriche condotte, il governo fascista cercò di arginare questa piaga che colpiva anche la Sardegna. L’acqua e il lavarsi diventa il fattore determinante per creare un ambiente salubre, almeno nel luogo del parto, che spesso era la cucina riscaldata dal focolare, ma tutta annerita dal fumo. “E poi scoprimmo l’acqua”, dunque.
Il pomeriggio
Veronica Comida, esponente del collettivo transfemminista Bruxias Ogliastrinas, nel suo intervento “Dalla levatrice alla sala parto” ha messo il focus sullo smantellamento progressivo della sanità pubblica in Sardegna, in particolare in Ogliastra, con la chiusura del Punto Nascita dell’Ospedale di Lanusei. Questo taglio dei servizi sanitari in loco costringe le persone a disagi enormi e a recarsi a Nuoro o a Cagliari, col rischio, talvolta, di partorire per strada. Il pericolo è quello di assuefarsi a questo arretramento sui diritti, mentre è necessario mobilitarsi e unirsi nei territori per la tutela dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Costituzione repubblicana.
A seguire, il laboratorio “Tingere in blu” a cura di Tiziana Melis e Alessandro Nonnoi. Laboratorio che ha coinvolto adulti e bambini nel processo e nell’esecuzione della tintura di batufoli di lana con l’Isatid tintoria.
Tintura con le erbe – foto di Pierpaolo Loi
L’incontro successivo con Rosaria Murru e Mirella Loddo di Casa Elicriso si è rivelato un viaggio affascinante alla scoperta delle cure tradizionali, attraverso le erbe officinali, ma anche dei saperi delle donne detentrici di un potere di cura, che potremmo definire sciamanico, osteggiato spesso dalle istituzioni.
Infine, Maria De Biase, dirigente dell’Istituto Omnicomprensivo di Torre Orsaia (SA), ha raccontato, attraverso un video e il suo commento, il lavoro di ricerca che ha coinvolto il suo Istituto su “Cilento, Donne e Tessiture”. In particolare, l’utilizzo della ginestra per la costruzione di corde per la marineria, per l’allevamento delle cozze o come legamenti nel lavoro agricolo. Lavoro, un tempo molto importante, fatto collettivamente dalle donne, spesso ragazze di 15/17 anni nel periodo della raccolta degli steli delle ginestre.
Il racconto di Maria De Biase è terminato con un finale che ha commosso le persone presenti: la tragedia che ha sconvolto una comunità del Cilento per l’annegamento di un gruppo di ragazze che rientravano a casa su una barca dopo la raccolta delle ginestre. Il video è terminato con la canzone composta in ricordo di questo tragico evento, durante l’attività interdisciplinare inerente al progetto dell’Istituto scolastico.
Seconda giornata
La seconda giornata di incontri (1° maggio) è stata aperta dal laboratorio Su tessingiu de prama e de iscraria (L’intreccio delle palme e dell’asfodelo) condotto magistralmente da Luca Meloni e Giuseppina Putzu, entrambi di Tertenia. Con l’intreccio dell’asfodelo le donne terteniesi creavano diversi tipi di cestini dedicati alla lavorazione della farina e del pistoccu, un tipo di pane utilizzato soprattutto nell’ambiente del lavoro agropastorale, per la sua durata temporale. I cestini creati non erano utilizzati solo nell’ambito domestico, ma anche come merce di scambio per contribuire al fabbisogno familiare. L’intreccio delle palme è una tradizione più recente, legata all’ambito religioso, in particolare ai riti della Domenica delle palme e della Settimana Santa.
Lavorazione dell’asfodelo e della palma – foto di Pierpaolo Loi
Nel secondo incontro della mattinata, Francesco Sardu, attento conoscitore della storia e della cultura sarda, con la sua relazione su Mexinas de is feminas e resistentzia (La medicina delle donne e la resistenza), ha proposto il racconto di un passato lontano in cui la contrapposizione tra cultura ufficiale e cultura popolare ha avuto l’apice con la repressione, in particolare nei confronti delle donne, messa in atto dall’Inquisizione ecclesiastica e statale. Di fronte ad essa, le comunità sarde, in particolar modo nei villaggi – ha affermato il relatore – hanno messo in atto modalità di autodifesa e di determinazione per salvaguardare la vita delle donne portatrici di saperi a causa dei quali talvolta sono state portate in giudizio e condannate.
Pomeriggio
Dopo la pausa pranzo, nel primo pomeriggio, il laboratorio “Tessere relazioni”, a cura dell’Associazione Rete donna aps di Villaputzu, che coinvolge donne di tutti i paesi del Sarrabus. Una breve presentazione sulla nascita dell’associazione come progetto per le donne in condizione di fragilità psicologica economica e sociale: «uno spazio protetto per il lavoro di gruppo in laboratorio e la tessitura come strumento di conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni interpersonali sia in quello della vita politica e sociale». A seguire il laboratorio che ha presentato gli elementi base della tessitura tradizionale con il coinvolgimento delle persone presenti, tutte intente a tessere con piccoli telai, districandosi fra trama e ordito, tra licci e fessure del pettine, per ottenere un piccolo tessuto.
Il pomeriggio si è arricchito di tre incontri di un’intensità a dir poco straordinaria con Damiano Rossi della “Stazione dell’Arte” di Ulassai che ha presentato la figura dell’artista Maria Lai; con Adelina Talamonti col suo libro «La carne convulsiva. Etnografia dell’esorcismo»; con Enedina Sanna con i suoi contos (racconti) attinti dalle narrazioni orali registrate e conservate negli archivi etnografici della Sardegna.
Damiano Rossi nella sua relazione su “L’ Eredità di Maria Lai” ha parlato dell’universo poetico dell’insigne artista di Ulassai, all’interno del quale «la tessitura dà forma a una molteplicità di riflessioni e racconta storie declinate dal ritmo delle trame: tele e libri cuciti, sorprendenti geografie su stoffa, installazioni visionarie come “Legarsi alla montagna” (1981), primo esempio in Italia di arte relazionale».
Adelina Talamonti, nella sua relazione, “La costruzione della strega”, ha evidenziato «come la figura della strega sia stata costruita in determinati periodi storici da saperi (demonologico, giudiziario) e pratiche (inquisitoriali) che ne definiscono le caratteristiche e giustificano la repressione». Ha sottolineato, inoltre che la stregoneria non è una credenza o una superstizione, ma un modo di rappresentare il mondo e le forze invisibili che lo animano. La fissazione dell’immagine della strega è determinata dalla rilettura in termini diabolici di saperi e pratiche popolari appartenenti alle donne. Un accenno anche ad alcune interpretazioni femministe della stregoneria che privilegiano l’appartenenza di genere, restituendo voce alle innumerevoli donne processate e bruciate come streghe.
Enedina Sanna, esperta di storitellyng, fondatrice dell’Associazione culturale “Archivi del Sud”, nel suo incontro su “Contos e Crochet. Intrecciare storie e fili in tempo di guerra”, ha incantato il pubblico col suo narrare fiabe e racconti della Sardegna. «Ho preso in mano su cruché come lo chiamava mia nonna, maestra di uncinetto, ho ascoltato lo scorrere della lana tra le dita, ho ritrovato gesti di bambina per curare il dolore di questo tempo di genocidio, tempo di riarmo. A noi di questo tempo tocca il testimone di riprendere a intrecciare i fili per rammendare la trama del mondo». Affascinante la fiaba del pastorello attratto da una luce lontana e da una voce dolce di ragazza, in realtà una jana (fata); o il racconto della bambina accorta che solo osservando i gesti della maestra dei saperi riesce a portare alla mamma e a tutte le donne il segreto della lievitazione. Certamente il raccontare di Enedina ha immerso le persone in ascolto in sensazioni profonde di sollievo, di cura del dolore e di desiderio di impegno per un altro mondo possibile.
Su ballu tundu – foto di Pierpaolo Loi
Queste due splendide giornate, anche per il sole che ha brillato durante il giorno e per le notti stellate, sono state rese possibili dall’encomiabile lavoro di volontari e volontarie delle associazioni che hanno organizzato l’edizione 2025 di S’Atobiu, in particolare il gruppo di Tertenia per l’accoglienza calorosa, la presentazione delle relatrici e dei relatori, per i pasti e i sorrisi condivisi; grazie anche alla collaborazione del parroco Don Joilson Macedo Oliveira che ha messo a disposizione i locali. Essenziale è stata la presenza del banchetto dei libri delle case editrici che hanno aderito a questo festival. In conclusione: «Dictis non armis – Con le parole non con le armi» (motto del festival “SetteSere SettePiazze SetteLibri” di Perdasdefogu) e con i balli e le danze – aggiungo io.