In questo sonetto esprimo il mio pensiero riguardo al tema del lavoro. La società industriale ha generato un grande equivoco: il lavoro storicamente era sempre stato considerato un dovere, come logica vorrebbe; ma nel mondo contemporaneo, il concetto di lavoro è stato distorto e oggi viene presentato come un “diritto”.
Penso che questa perversa idea di lavoro sia stata concepita da coloro che Pasolini chiamava “i nuovi padroni”: non potendo più costringere con la forza la gente alla schiavitù, i nuovi padroni si sono dovuti inventare uno stratagemma per far sì che fossero gli stessi schiavi a desiderare le proprie catene. Hanno cominciato a dire che il lavoro “nobilita l’uomo”, che lavorare è un diritto, che “il lavoro rende liberi”(arbeit macht frei…), che stare sul divano a godere il riposo è una vergogna. E’ nato così il mito del lavoro, e oggi addirittura sono i giovani stessi che vanno alla ricerca di un’occupazione. “Si iscrivono alle liste di collocamento, i depravati”, ebbe a dire Carmelo Bene…
L’assurdità di questo sistema è stata narrata anche dalla cinematografia fin dagli albori. Pensiamo all’immagine di Charlie Chaplin incastrato fra gli ingranaggi, ad esempio. O alla saga di Fantozzi, intrappolato nella sua mega-ditta a sbrigare montagne di pratiche burocratiche inutili. Ma il film che ha ispirato questo sonetto in particolare è “La classe operaia va in paradiso”: l’ossessiva ripetizione delle parole “lavorare” e “macchinina”, alla fine di ogni verso delle quartine, richiama la ripetitività dei gesti della catena di montaggio, quella ripetitività che un magistrale Gian Maria Volontè esprimeva con il mantra “un pezzo, un culo, un pezzo, un culo…”. Sopportare l’alienazione pensando al premio finale, questa è la ruota del criceto nella quale i lavoratori di oggi sono fieri di correre. Anzi, sgomitano persino per entrarci…
La macchinetta
T’han detto “Vieni pure a lavorare
così potrai comprar la macchinina”.
T’han detto “Dai, compra la macchinina
così potrai andare a lavorare”.
Siccome devon farti lavorare
ti danno a rate la tua macchinina,
così per comperar la macchinina
sarai costretto sempre a lavorare.
Il gran riscatto di noi proletari
sarebbe di non lavorare più.
Invece t’han convinto i miliardari
a farti sottomettere anche tu.
Perché i capi del mondo sono loro
che hanno inventato i “posti di lavoro”.