Il Senso del Limite: Le chiavi del Regno

da | 22 Ago 2025

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«Nè la rivoluzione nè la riforma possono, in ultima istanza,
cambiare una società, senza che ci sia da raccontare una storia nuova e potente,
tanto persuasiva da bloccare i vecchi miti e trasformarsi nella storia preferita…
Se si vuole cambiare una società si deve narrare una storia alternativa».
IVAN ILLICH

Le chiavi del Regno

I

Le sue mani erano forti, la pelle ruvida, le unghie sporche. Erano mani segnate dal duro lavoro dei campi, che non risparmiava nessuno a Limite. Lo sporco della terra non era qualcosa di cui vergognarsi, era anzi un segno di dignità. L’igiene personale era tenuta di buon conto, ma senza mai dimenticare che tutto a Limite era un dono della terra. Le tracce di terra sulle mani erano la firma sul biglietto che accompagnava i doni che la terra faceva. E chi non rispetterebbe le parole che accompagnano un dono ricevuto da un amico?

Quando erano arrivati a Limite, Vanni era un uomo forte come una quercia. Suo nipote, Buonaventura, allora era solo un ragazzo. La sua decisione di seguire lo zio fu causa di grandi dolori. I genitori di Buonaventura non capirono quell’avventatezza. Il padre vide sommarsi al dolore di perdere un fratello il dolore di perdere un figlio. Per Vanni e Buonaventura non fu facile separarsi da loro, che pur esortandoli in ogni modo a rimanere in pianura, non arrivarono mai ad opporsi, riconoscendo – pur soffrendone – che era una loro decisione e come tale andasse rispettata. Vanni da quel momento fu un punto di riferimento importante per il ragazzo: molto più di uno zio, poco meno di un padre, Vanni era amato da Buonaventura come la sua stessa vita.

Adesso che aveva una certa età e che vedeva ogni giorno diminuire le proprie forze, vedere Buonaventura accanto a sè che era diventato ogni giorno più forte, lo riempiva di soddifazione e di orgoglio. Ora, mentre sedevano tutti insieme al tavolo, nell’aia del paese, dopo la domanda di uno dei nuovi arrivati, Vanni già pregustava ciò che suo nipote avrebbe risposto.

Rodolfo aveva infatti chiesto: «Ma qui a Limite siete davvero tutti vegetariani?».

La domanda non era rivolta a lui in particolare, ma Bonaventura era seduto proprio davanti a Rodolfo e parve quasi che tutti (limitesi e non) si aspettassero che fosse lui a rispondere. Vanni non solo se lo aspettava, al pari degli altri, ma stava già ridacchiando sotto i baffi. Buonaventura doveva essersene accorto, dopotutto il profondo legame che i due avevano produceva sovente questi piccoli miracoli quotidiani.

«Dipende da cosa intendi, Rodolfo – aveva subito replicato l’uomo – Si può scegliere di mangiare carne, o di non mangiarla, per mille motivi».

«Per mia esperienza – aggiunse Vanni sommessamente – in pianura spesso ci si concentra troppo sul cosa e non si riflette sulcome… o sul perché».

«Mio zio intende dire – proseguì Buonaventura, notando lo sguardo interrogativo dell’altro – Che non è sempre vero che le intenzioni non sono importanti. Lo sono! Ricordo che in pianura spesso si diceva “non si deve fare il processo alle intenzioni”. Bé… non è sempre così. A volte sono proprio le intenzioni a fare la differenza. Cosa decidi di fare è una decisione che sta ad un livello. Come decidi di farlo è un’altra cosa, e sta a un livello superiore. Perché farlo… sta a un livello ancora superiore».

II

Il rito del pasto in comune si ripeteva una volta alla settimana. Ufficialmente a Limite non c’erano calendari, ma era consuetudine che l’ingrediente principale del pasto pomeridiano fosse scelto tra sette cereali, a rotazione. Così anche chi non era avvezzo a misurare e contare i giorni non aveva di che temere. Nemmeno i nostri amici fuggitivi impiegarono più di tanto per memorizzare quelle abitudini. Il primo giorno – che alcuni continuavano a chiamare lunedì – era il giorno in cui si mangiava il riso. Seguivano poi l’orzo, il miglio, la segale, l’avena, il mais e per finire, il settimo giorno, il grano (a volte sostituito dal farro). I forni a legna venivano accesi con parsimonia, cercando di ottimizzare le risorse e non sprecare neanche un po’ di quel calore che spesso costava ai Limitesi non pochi sacrifici. Benché si panificasse usando anche altre materie (soprattutto la segale, ma anche il mais), il giorno dedicato alla cottura del pane era appunto il giorno del grano (che in pianura si chiama domenica). Solitamente si faceva il pane di patate, che si poteva conservare più a lungo, anche una settimana intera.

Il pasto del giorno del grano era anche quello che i limitesi consumavano tutti insieme, o quasi. Non era un obbligo, non c’era una vera regola, piuttosto una consuetudine. Chi non ne aveva voglia e preferiva pranzare per conto proprio era rispettato, e non doveva fornire alcuna giustificazione. Quando, dopo un’assenza, ritornava a presenziare assieme agli altri, era per tutti motivo di rallegramento e di festa. Insomma, come avveniva anche per gli incontri presso il lavatoio, quella del pranzo settimanale era una abitudine consolidata, non codificata, che però tutti i limitesi amavano e che anche i nuovi arrivati impararono presto ad apprezzare.

«Il ritmo è una cosa molto importante – aveva sentito dire Eri una volta dal padre di Sura – tutto in natura è ritmo. Dalle orbite astronomiche e dai cicli stagionali, fino alle fasi lunari, e i cicli di giorno e notte, tutto si svolge ritmicamente. Il nostro organismo è pure inserito nel cosmo, di cui condivide le leggi e la magia. È dunque buona norma avere dei ritmi regolari nelle faccende che riguardano l’alimentazione del corpo»

«Ma anche quella dell’anima…» aveva aggiunto Sura sottovoce. Maso non si era interrotto, ma le aveva sorriso strizzandole l’occhio: «Una delle prime cose che abbiamo imparato quando siamo arrivati a Limite è stata quella di alimentarci rispettando la stagionalità dei prodotti. Senza frigoriferi o congelatori è stata dapprima una scelta obbligata dalla necessità, è chiaro. Ma ci siamo accorti ben presto che questo… limite (sorrise di nuovo) aveva anche i suoi vantaggi in termini di funzioni metaboliche.

Se poi guardiamo al mantenimento della salute in senso più ampio, di nuovo i ritmi giocano un ruolo molto importante. Qui a Limite ovviamente stiamo molto attenti alla nostra salute, non avendo ospedali. Tra i primi che vennero quassù c’erano ovviamente anche alcuni con competenze mediche, competenze che hanno cercato di condividere e tramandare. Ma la principale cura per noi resta la prevenzione e l’uso di sostanze naturali. Le piante possono offrirci una sorta di “farmacia” assai ben fornita, ma l’efficacia dei rimedi naturali è più blanda rispetto ai prodotti chimici che usate voi in pianura. Perciò, di nuovo, serve ritmo! Bisogna abituarsi a seguire con regolarità certi comportamenti e certe prescrizioni. La carenza in termini di potenza può essere compensata con la ripetizione regolare delle buone pratiche. Servono pazienza e costanza, ma questo sicuramente avete già iniziato a comprenderlo…»

A Limite insomma non c’erano veri e propri rituali, nel senso che viene comunemente attribuito al termine giù in pianura. Erano più delle semplici abitudini che sempre mostravano un profondo accordo con i ritmi della natura. Così era anche per il pasto del giorno del grano: dopo aver trascorso la mattina a panificare insieme (i forni a legna erano condivisi) appariva spontaneo rimanere insieme a consumare il pranzo.

III

«Ricordo che quando vivevo in pianura, allora ero solo un ragazzino, c’era un gran parlare riguardo all’alimentazione – aveva proseguito Buonaventura – La prima volta che sentii nominare la parola “vegetariano” mi pare fosse in occasione di una manifestazione. C’erano persone che sfilavano lungo le strade, con bandiere e striscioni, dicevano che chi mangiava carne provocava la sofferenza di altri esseri viventi. Ne fui molto colpito: possibile che mio padre, mia madre, mio zio, fossero tutti degli assassini? Ero sconvolto. Fu mio zio – disse ammiccando a Vanni che sedeva lì vicino – che pochi giorni dopo mi disse: anche una melanzana ed uno zucchino sono esseri viventi, o no? Effettivamente…

Questo mi sconvolse forse ancora di più! Allora eravamo tutti assassini! Non solo i miei genitori carnivori, ma anche i manifestanti che erano scesi in piazza con gli striscioni. Possibile che non lo sapessero? D’altro canto non si poteva sopravvivere mangiando sassi, no? I miei dubbi mi tennero compagnia a lungo. Non fu sempre una compagnia serena, ma fu comunque compagnia. Imparai ad accettare questi dubbi, a conviverci, in attesa di pervenire ad una soluzione, forse più avanti, quando fossi cresciuto».

«E? – incalzò Rodolfo – L’hai poi trovata la soluzione?»

«In realtà no. O meglio, è stato mio zio Vanni che, avendo notato il mio smarrimento, iniziò pian piano a dirmi alcune cose… Non c’è stato un momento particolare, una sorta di “illuminazione” se è questo che intendi. Piuttosto un rendermi conto, lentamente, di come stavano le cose. Così ho scoperto progressivamente, come dicevo, che il cosa fai, come lo fai e perché lo fai, stanno a livelli di coscienza assai diversi. Mettiamola così: cosa fanno tutti i vegetali per vivere?»

«Assorbono sostanze minerali dal terreno, e ricevono la luce del sole e…»

«Bene! – lo interruppe Vanni – Quindi è corretto dire che trasformano le sostanze minerali in sostanze vegetali?»

«Suppongo di sì… – balbettò Rodolfo che non capiva ancora dove stavano andando a parare.

«E gli animali non fanno forse qualcosa di analogo? – incalzò Bonaventura – Si nutrono di vegetali ed edificano il proprio tessuto muscolare trasformando le proteine vegetali in proteine animali (non parlo ora degli animali carnivori ovviamente). Di fatto anche noi, come gli animali, facciamo questo. Insomma ognuno nel suo regno contribuisce a far “evolvere” le sostanze: dal regno minerale a quello vegetale, e poi dal regno vegetale a quello animale…»

«D’accordo… e poi?»

«Questo processo di trasformazione, questo “metabolismo” è qualcosa di miracoloso in un certo senso. È la catena della vita! Ma se per qualche motivo il nostro metabolismo è affaticato, se abbiamo difficoltà a compiere questo lavoro all’interno del nostro organismo, allora possiamo chiedere agli animali di fare una parte del lavoro che toccherebbe a noi (un po’ come quando per arare un campo ci facciamo aiutare dai buoi o dai cavalli). Quando mangiamo prodotti animali in realtà stiamo chiedendo al regno animale di aiutarci nella trasformazione delle proteine vegetali. Una volta compreso questo, grazie a Vanni, il problema per me non esisteva più. Finché tutto funziona bene è giusto cibarsi prevalentemente di vegetali, ma questo non deve essere mai inteso come una prescrizione assoluta. Quando ne abbiamo necessità, un modesto apporto di proteine animali ci può essere d’aiuto. In buona sostanza è una questione di equilibrio».

Vanni osservò a lungo Rodolfo e gli altri che erano seduti vicino a lui. Dalle loro espressioni intuì che si stavano sforzando di capire, ma che quel ragionamento non era ancora completamente nelle loro corde. Gli venne allora in mente un’immagine su cui aveva riflettuto a lungo in passato e volle provare a condividerla con gli altri commensali.

«Immaginate di guardare un uomo, in piedi, con le braccia alzate. Fermo, stabile sulle sue gambe, dritto contro il cielo… lo vedete? – disse, e quando gli altri annuirono proseguì – E accanto a lui immaginate di vedere un grande albero… diciamo una quercia. Ben saldo grazie alle sue radici, e con i rami che oscillano leggermente al vento. Per caso notate qualche similitudine tra queste due immagini?»

Buonaventura già sorrideva, immaginando cosa sarebbe accaduto di lì a poco.

«Bè, la similitudine mi pare evidente – esordì Ruggero subito dopo – Così come l’albero è stabile grazie alle sue radici, l’uomo lo è grazie alle sue gambe ed i suoi piedi. I piedi dell’uomo sono le sue radici, le braccia alzate sono come i rami dell’albero, mi pare ovvio…»

«Ovvio… e sbagliato!» sorrise Vanni, producendo un chiaro segno di sconforto da parte degli altri.

«Avete osservato in superficie, senza scavare in profondità. L’essenza della vita, come abbiamo appena detto, in cosa consiste?»

«Stai pensando all’alimentazione?» azzardò Bruno timido.

«Anche a quella certo. Per vivere bisogna alimentarsi. Questa è senza dubbio la funzione vitale principale (assieme alla respirazione è ovvio!). Allora, osserviamo gli organi attraverso cui ci alimentiamo…»

«La… bocca?» balbettò Ruggero ormai certo che qualsiasi cosa dicesse potesse essere sbagliata.

«La bocca! – ripetè Vanni – Non è forse corretto dire che il nostro organo di assunzione degli alimenti sta nella parte alta del nostro organismo? Che è orientato verso l’alto?»

Gli altri annuirono, e già Bruno parve intuire qualcosa. «Ma nell’albero il nutrimento arriva tramite le radici….» disse.

Vanni sorrise, felice di questa piccola illuminazione. «Infatti! Bruno hai ragione: sono le radici! Che si trovano in basso, sono orientate verso il basso..»

«D’accordo, ma ancora non capisco…»

«Un attimo di pazienza. Abbiamo parlato ora dell’alimentazione. Ma qual’è l’altra funzione essenziale alla vita? Anzi… al mantenimento della vita sulla Terra?»

«Bè… la riproduzione!» disse nuovamente Bruno.

«Ottimo! – incalzò Vanni – Allora guardiamo ora gli organi di riproduzione. Non è forse corretto dire che nell’uomo gli organi di riproduzione sono in basso? Sono orientati verso il basso?»

Ruggero arrossì lievemente mentre annuiva. Ma non ci fu modo perchè il suo imbarazzo emergesse, perché subito Bruno tuonò: «Ho capito! Nell’albero invece gli organi di riproduzione, i fiori cioè, sono in alto, orientati verso l’alto! Esattamente il contrario di quello che abbiamo detto per gli organi della nutrizione!»

«Bravissimo Bruno – si complimentò Vanni – In buona sostanza, se voi guardate l’uomo e l’albero dal punto di vista delle funzioni vitali, potete vedere che l’uomo è un albero rovesciato. Così la rappresentazione che avete immaginato inizialmente, dovrebbe essere esattamente il contrario: un albero con le radici in alto e le fronde in basso. Questo è l’uomo in realtà, se guardiamo alle leggi cosmiche più profonde. Per questo… come dire, uomo e vegetali si completano a vicenda»

«Se pensate anche al ciclo di ossigeno e anidride carbonica ne avrete una ulteriore conferma…» disse Buonaventura sottovoce.

«L’alimentazione vegetariana è quindi quella più consona all’uomo. Uomo e albero possono essere rappresentati entrambi da un’asse verticale che unisce i due punti degli organi di nutrizione e riproduzione, ruotati di 180°. L’animale invece è qualcosa che sta “a metà strada”. La sua asse è orizzontale. Ad esclusione di pochi esemplari, la colonna vertebrale di un animale si trova in posizione orizzontale… è tutto ruotato di 90° rispetto all’albero o all’uomo. Come qualcuno che avesse compiuto metà del cammino…»

Passarono alcuni istanti di silenzio, evidentemente i commensali stavano riflettendo su quella immagine. Buonaventura volle aggiungere ancora qualcosa, temendo che la comprensione di quello che Vanni aveva detto fosse ancora difficoltosa.

«Se ricordate la similitudine che avete notato all’inizio, le gambe dell’uomo paragonate alle radici e le braccia ai rami, capirete che in quel caso l’osservazione era superficiale, riguardava solo la forma esteriore, poco aveva a che fare con la vita organica dell’albero e dell’uomo. Quello che Vanni intende dire è che non bisogna fermarsi alle apparenze, mai. Spesso tendiamo a semplificare troppo i nostri ragionamenti, ci fermiamo al primo concetto che sembra soddisfare il nostro pensiero, che ci appaga. Questo ci blocca e ci impedisce di osservare più in profondità. Possiamo vedere due persone di fronte a noi che si alimentano con prodotti di origine animale. Il nostro giudizio potrebbe essere però assai diverso se comprendessimo quali sono le ragioni per cui lo fanno. Ma a prima vista non possiamo capire che uno di loro lo sta facendo solo per piacere personale e l’altro per un bisogno reale…»

L’espressione sul volto di Rodolfo indusse Vanni ad intervenire di nuovo: «Tu non ruberesti mai qualcosa ad un tuo amico solo perché ti fa piacere possederla, giusto?»

«Certo che no! – proruppe Rodolfo con impeto.

«Bene! Non essere risentito, non volevo darti del ladro! – si scusò Vanni – La tua reazione emotiva è comprensibile, significa che consideri il piacere personale in secondo piano, e il rispetto per il tuo amico come un valore che sta ad un livello superiore, giusto?»

«È così!»

«Bene, mangiare carne, o pesce, solo perché sono buoni, è come rubare ai nostri amici animali che ci offrono il loro aiuto quando siamo in difficoltà. Mangiarne quando effettivamente ne abbiamo bisogno è onorare l’equilibrio della catena della vita. Tutto qui»

Inaspettatamente Rodolfo scoppiò a piangere udendo quelle parole. Un pianto nervoso e angosciante che lasciò di stucco tutti quanti. Quando si alzò e si allontanò dalla tavola, i suoi vicini fecero cenno di volerlo seguire, ma Vanni lanciò loro uno sguardo che non ammetteva repliche.

«No! – disse con fermezza, eppure senza astio – lasciatelo andare. Dobbiamo rispettare il suo dolore e i suoi tempi. Diamogli qualche minuto, vedrete che se non mi sbaglio sarà lui a tornare da noi, tra poco».

Così fecero, ma chiaramente i commensali non riuscirono a proseguire come se niente fosse. Chi era più vicino prese a rivolgere occhiate interrogative a Buonaventura e a Vanni, chi era più lontano domandava a bassa voce al proprio vicino cosa fosse successo. Tra tutti serpeggiava un certo fastidio ed un po’ di apprensione. Bruno, che sedeva proprio accanto a Rodolfo, ed era stato il primo a cercare di alzarsi per seguirlo, fu il primo a rompere il ghiaccio ed affrontare direttamente la questione.

«Posso sbagliarmi… – disse sottovoce – Ma ho la sensazione di sapere cosa è successo a Rodolfo…»

Seguirono attimi di silenzio, tesi, finchè Costanza, simulando non perfettamente una certa naturalezza lo incitò: «Allora? Parla Bruno… ti ascoltiamo».

«È solo una supposizione sia chiaro… ma tempo fa accadde un episodio che avevo quasi rimosso e che ora le parole di Vanni mi hanno fatto tornare in mente. Perché hai fatto l’esempio del rubare qualcosa ad un amico? – disse rivolto al vecchio – Sì insomma… mi è sembrato un po’ forte come analogia ecco….»

«Però? Perché c’è un “però” non è vero?» intervenne Buonaventura.

A dire il vero non avrebbe voluto metter bocca nella discussione, ma aveva notato, per quella profonda sintonia che aveva con lo zio, che dall’espressione che Vanni aveva sul volto si capiva – o almeno lui capiva – che lo zio non aveva minimamente intenzione di rispondere alla domanda postagli da Bruno. Il motivo ancora Buonaventura non lo intuiva, ma conoscendo lo zio presagiva qualcosa di grave, e non voleva che Vanni si trovasse in difficoltà.

«Però, appunto, se la mia sensazione è giusta, e non è detto che lo sia – mise le mani avanti Bruno come a scusarsi di quello che stava per dire – Se la mia sensazione è giusta Vanni, potresti non esser troppo distante dal vero…»

«Cosa intendi?» chiese Costanza, ora visibilmente preoccupata.

«Quando arrivammo qui a Limite – riprese Bruno – dovete capire che per noi era tutto nuovo. Le nostre abitudini in pianura erano ben diverse. È vero, siamo fuggiti proprio perchè convinti che non avremmo avuto un futuro laggiù, quindi eravamo ben consci che in pianura molte cose non andavano. Ma una cosa è la consapevolezza teorica ed astratta di un modello che percepivamo come sbagliato, un’altra cosa è trovarsi di punto in bianco in un ambiente completamente diverso che ci ha costretti a cambiare dall’oggi al domani praticamente tutte le nostre abitudini. Con tutta la buona volontà… insomma, non è stato facile»

«Questo lo comprendiamo bene, credici» disse di nuovo Costanza con sincerità.

«Lo so, ci avete aiutati molto e vi dobbiamo tanto Costanza. Puoi starne certa, la nostra gratitudine è sicera. Quello che sto cercando di dire è che, tuttavia, senza una gradualità, che oggettivamente non era possibile, per qualcuno può essere stato più difficile che per altri. Ecco, sulla questione alimentare Rodolfo, come dire…»

«Ha fatto più fatica ad abituarsi? – suggerì Buonaventura.

«Esatto. All’inizio tutto era nuovo e accoglievamo tutti le nuove abitudini come qualcosa da imparare, e ci piaceva! Poi col passar del tempo ho notato che al momento dei pasti Rodolfo si incupiva. Quando poco fa ha chiesto quella cosa, lì per lì non ci ho fatto caso, ma poi mentre parlavate sono riandato col pensiero a quei giorni e… sì, mi son detto che forse era proprio questo il suo cruccio»

«Il fatto di dover mangiare vegetariano intendi?»

«Esatto Buonaventura… esatto»

«Quindi lui era un carnivoro? Giù in pianura intendo»

«Non ti so rispondere per certo. Ci conoscevamo appena, l’avrò visto si e no tre o quattro volte prima della nostra decisione di fuggire alla ricerca di Limite. Tu però Ruggero dovresti saperlo! – aggiunse Bruno rivolto all’amico che sedeva di fronte a lui. L’uomo tergiversò leggermente, ma quanto bastò perché Vanni aggrottasse la fronte, e se ne uscì con un lapidario: «Forse, ma non ne sono sicuro».

«Comunque sia, la mia sensazione era che fosse insofferente, ecco. E ricordo un giorno… una sera anzi che lo aspettavamo come sempre, dopo cena, per fare quattro chiacchere, ma lui non arrivava»

Va detto a questo punto che, quando i fuggitivi vennero accolti e sistemati a Limite, a Rodolfo toccò un piccolo fabbricato un po’ in disparte rispetto al gruppo principale delle abitazioni di Limite. Era un vecchio metato, un fabbricato usato per essiccare le castagne, che non veniva usato da tempo. Ce ne erano due a Limite, risalenti all’epoca dei nonni dei nonni, ma allora probabilmente la popolazione era più numerosa, o più semplicemente consumava più castagne. Adesso i limitesi si erano presto accorti che un metato era più che sufficiente, non fu quindi un gran problema destinare l’altro ad abitazione. Era piccolo, ma a Rodolfo non dispiaceva star da solo, e con una sistemata alla travatura interna, ne ricavarono facilmente due stanzette che egli accettò di buon grado.

Bruno proseguì: «Andai io a chiamarlo. Quando socchiusi la porta dopo aver bussato vidi che mi si era parato davanti con un balzo come a nascondere qualcosa, a volermi impedire di vedere un non so che all’interno. Il suo fare era stranamente circospetto. Non ci detti peso più di tanto, ci raggiunse e passammo insieme la serata come al solito. Ma la mattina dopo, appena alzato per andare al lavoro nei campi… vidi qualcosa che mi stupì…»

«Sarebbe? – incalzò Buonaventura sempre più curioso.

«Rodolfo era già in piedi e la cosa, credete, non è normale! Non so se mi spiego… I vostri orari… insomma sono un’altra delle cose che sono state più dure da digerire. Ebbene, quella mattina lo vedo già al lavoro. Ma non nei campi! Era poco distante dall’ingresso di casa, e decisamente stava vangando…»

«Vangando? – propruppe Costanza allibita – Ma lì cosa c’è da vangare?»

«Appunto… – fece Bruno per continuare. Ma a quel punto fu Vanni, che fino ad allora era restato in silenzio, a dire qualcosa che ghiacciò tutti.

«Pensi forse che stesse sotterrando qualcosa?»

Tutti tacquero per alcuni istanti. La cosa stava prendendo una piega inaspettata, sia i limitesi che i fuggitivi erano basiti. Poi Buonaventura mutò espressione, fu subito chiaro che stava ricordando qualcosa.

«Zio… – disse – Quanti polli abbiamo nel pollaio?»

«Che domande Buonaventura… non lo so! – si affrettò a rispondere il vecchio – Che bisogno c’è di contarli? Saranno… che so… una trentina, trentacinque forse»

«Mmmm…. – bofonchiò il giovane. Sapeva che suo zio Vanni era uomo di una precisione assoluta. Che non sapesse il numero esatto di polli, era quasi impossibile. La sua teoria cominciava a prendere corpo… ed era indeciso se la conferma al suo sospetto gli venisse più dall’espressione sul volto di Bruno, o dal fatto che Ruggero istantaneamente avesse abbassato lo sguardo riprendendo a mangiare in silenzio. Buonaventura non volle metterlo in difficoltà, ma l’occhiata che scambiò di sfuggita con Vanni, e che lo zio contraccambiò, fu più eloquente di mille parole.

«Come diceva poc’anzi Buonaventura – riprese Vanni – Nessuno di noi è obbligato ad una dieta rigorosamente vegetariana. Qui a Limite di fatto non abbiamo “divieti”, per così dire. È piuttosto una questione di buon senso. Quelli che tra di voi hanno studiato la storia degli antichi popoli sapranno che molti secoli fa si usava offrire dei sacrifici agli dèi, e spesso si uccidevano capi di bestiame offrendone il sangue sugli altari. No, Costanza, so cosa stai pensando – disse vedendo l’espressione di disgusto sul volto della donna – non era solo violenza gratuita verso gli animali. Questo forse piacerebbe a qualche vegetariano di pianura – proseguì non senza una vena di sarcasmo, che Buonaventura ormai aveva imparato ad accettare.

Vanni spesso si divertiva a porre le cose in tono polemico, o in modo da spiazzare l’interlocutore. Era il suo modo per comunicare che dobbiamo tutti fare continuamente uno sforzo di attenzione e di precisione.

«I sacrifici rituali – disse – erano soprattutto un modo di sopprimere i capi di bestiame di troppo. Se i pascoli non consentivano di alimentare correttamente gli animali, tutti ne avrebbero risentito. Un certo equilibrio tra estensione delle terre e capi di bestiame era necessario. Quando il numero di animali aumentava troppo, a fine stagione si offriva un sacrificio agli dèi. Era insomma la necessità di consumare il sovrappiù, evitando che i capi di bestiame deperissero inutilmente per penuria di cibo, cosa che avrebbe fatto irritare gli dèi, che con la loro benevolenza avevano favorito il mantenimento del bestiame durante la stagione.

Non era solo una cruenta abitudine pagana, non siate troppo veloci nel giudicare! I nostri avi erano molto più saggi di noi. Qui a Limite cerchiamo, come possiamo, di mantenere un equilibrio simile. Anche noi ogni tanto mangiamo un pollo!»

Nel dire questo Vanni aveva fissato alternativamente Bruno e Ruggero; quest’ultimo, di nuovo, aveva subito chinato lo sguardo. Bruno invece raccolse la provocazione e sorrise: «Capisco ciò che dici Vanni. Il piacere personale deve essere messo da parte. Non si deve mangiare carne quando ne abbiamo voglia, ma solo quando è utile per mantenere l’equilibrio, o quando il nostro metabolismo è carente… è chiaro»

Solo allora si avvidero che Rodolfo era tornato. Si era avvicinato in silenzio, restando in piedi, quasi ritenesse indegno occupare ancora quel posto al tavolo.

«Vanni, devo confessarvi una cosa… – aveva detto sottovoce.

Il vecchio gli sorrise, facendogli cenno di sedersi: «Certo figliolo, ti ascolterò volentieri, tra poco. Ora però mangiamo insieme, vuoi?»

***

Ci vediamo a Limite, tra due mesi, con il prossimo racconto.

Non mancare!