5 politiche pubbliche per portare la decrescita alle prossime elezioni

da | 22 Ott 2025

Un patto di post-crescita per l’italia: 5 politiche pubbliche per portare la decrescita alle prossime elezioni

Nel 2027, votiamo decrescita

 

Secondo Serge Latouche, la decrescita comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Il consenso, nel movimento internazionale per la decrescita (IDN), è che, a livello strategico, per raggiungere tali obiettivi, ogni tattica è valida, o “tutto fa brodo”: c’è chi preferisce approcci riformisti e istituzionali (vedi Tax the Rich), c’è chi si concentra su pratiche alternative (vedi auto-produzione, low-tech, agroecologia) e c’è chi si concentra su pratiche di resistenza violenta o non-violenta (vedi la campagna Growth Kills).  

Le realtà decrescentiste italiane finora hanno puntato particolarmente sulla questione culturale, con un grande lavoro sulla costruzione di una pedagogia alternativa a quella del capitalismo industriale, sull’educazione all’autoproduzione e alla convivialità, e sul “reincantare il mondo”.

Questo lavoro è fondamentale. La decrescita deve essere certamente un cambiamento culturale. Tuttavia, crediamo di aver bisogno di un aiuto “istituzionale”, di avere delle proposte di politiche pubbliche a cui fare riferimento nel momento in cui ci relazioniamo con persone al potere, ma anche quando parliamo con sindacati, cittadini e altri gruppi attivisti. Dobbiamo avere chiaro in mente che cosa può offrire l’orizzonte della decrescita.

 

La decrescita è la via più giusta, sia a livello globale che locale, per la transizione ecologica, e dobbiamo dirlo forte e chiaro. E’ Una riduzione pianificata e democratica della produzione e del consumo nei paesi ad alto reddito, per garantire equità sociale e sostenibilità ecologica.

 

Dobbiamo porre dei limiti: per il bene del pianeta e per giustizia verso i paesi più poveri, le economie ricche devono ridurre produzione e consumo. Ma attenzione: non si tratta di impoverirci o sacrificare il nostro benessere, come viene spesso creduto dai critici della decrescita. Si tratta di scegliere cosa produrre di meno: automobili, beni di lusso, fast fashion, carne industriale, pubblicità aggressiva – settori che danneggiano ambiente e società. Ma questo non deve tradursi in più austerità o più disoccupazione. Al contrario, dobbiamo garantire sicurezza economica e benessere anche mentre trasformiamo l’economia. Perché la vera contraddizione non è tra lavoro e ambiente, ma tra crescita economica – in particolare nei paesi ricchi – e la sostenibilità ambiente. E se smettiamo di inseguire la crescita a ogni costo, avremo a disposizione abbastanza risorse e ore di lavoro per nutrire tutti; costruire infrastrutture sostenibili; lavorare meno, senza tagliare i salari.


La nostra ricerca

 

Quali politiche?

L’idea del Patto di Post-crescita per l’Italia nasce dalla necessità di contestualizzare le varie proposte politiche emerse dalla letteratura di post-crescita e decrescita negli ultimi anni. Ci siamo resi conto infatti che, per all’interno di questa letteratura tali politiche siano mostrate come la ricetta perfetta di fronte alla policrisi nella quale siamo immersi, rimangono difficili da applicare in contesti locali, regionali o nazionali, in mancanza un’approfondita analisi e discussione democratica. Le criticità principali che abbiamo identificato sono due: la prima è la mancanza di contestualizzazione, cioè di un’analisi del contesto legislativo dei singoli paesi, che consenta di delineare delle proposte chiare e specifiche. Poi, una mancanza di chiarezza sul livello di supporto per queste proposte: è infatti evidente che per implementare politiche profondamente trasformative è necessaria una forte spinta politica. Identificata questa duplice lacuna, la nostra ricerca si pone l’obiettivo, se non di rispondere a queste domande, almeno di iniziare a metterle sul tavolo e discuterne, partendo dal caso studio italiano. 

Uno dei dubbi emersi inizialmente è stato come selezionare, tra la molteplicità di proposte di politiche di post-crescita (Fitzpatrick e colleghi ne contano più di 500) quali esaminare. Da una parte non abbiamo voluto trascurare misure spesso citate nella letteratura, ma dall’altra era importante selezionarne un numero abbastanza ridotto da rendere la ricerca attuabile. Abbiamo quindi optato per la creazione di un pacchetto di politiche che contenesse quelle proposte che vengono menzionate con più frequenza, e l’abbiamo denominato “Patto di Post-crescita per l’Italia”.  

La scelta delle politiche incluse in questo pacchetto si basa sul presupposto che le misure volte a ridurre le disuguaglianze debbano essere prioritarie per creare consenso attorno all’introduzione di limiti ambientali, seguendo due fasi: il  primo passo consiste nell’attuazione di un pacchetto di politiche finalizzato a creare le condizioni sociali e materiali necessarie per una seconda fase, in cui possono essere introdotti limiti ecologici. Il quadro di post-crescita proposto si sviluppa dunque in due fasi. Le politiche di prima generazione, incluse nel pacchetto e articolate in cinque misure chiave, mirano a garantire l’accesso ai bisogni essenziali, promuovendo al contempo la sostenibilità ecologica. Le politiche di seconda generazione si concentrano invece sulla definizione di limiti ambientali, privilegiando la sufficienza rispetto all’efficienza e riducendo l’impatto materiale e i livelli di consumo. Il Patto di Post-Crescita che proponiamo è un pacchetto di politiche eco-sociali pensate per liberarci dall’imperativo della crescita, spezzare le catene della scarsità artificiale e costruire una società fondata su abbondanza collettiva e sufficienza individuale.

Come? Con politiche concrete:

    • Introdurre un Reddito di Cura universale, che riconosca tutto il lavoro riproduttivo su cui si regge il lavoro produttivo, e per lo più svolto da donne, in molti casi migranti. 
    • Ridurre l’orario di lavoro, così tutti lavorano meno ma meglio.
    • Garantire lavoro pubblico utile, per la transizione ecologica.
    • Reddito di base e servizi pubblici universali, così la dignità non dipende più solo dal posto di lavoro
    • Assemblee Cittadine, spazi per una democrazia più diretta, partecipata e localizzata

 

Indagine sulle percezioni delle politiche tra i principali gruppi target

Non si tratta solo di “meno”, ma di un grande “PIÙ”: più tempo libero, più qualità della vita, più possibilità di decidere collettivamente per cosa lavoriamo e come viviamo. Oggi, più che mai, dobbiamo costruire un progetto desiderabile. Un progetto che possa offrire alle milioni di persone che, con la Palestina nel cuore, si stanno ri-politicizzando, un orizzonte immaginativo che frammenti l’onnipotenza del realismo capitalista.

Una volta identificate le specifiche proposte su cui volevamo concentrarci, abbiamo condotto un’analisi storica, individuando i precedenti di queste politiche in Italia. Ognuna di queste misure meriterebbe una tesi a sé, con un’analisi approfondita delle sue basi teoriche, una rassegna di tutti gli esempi simili già messi in pratica, degli ostacoli e degli aspetti positivi. Realizzare un’analisi di tale portata per ciascuna proposta in una sola tesi di master non era realistico, ma abbiamo voluto realizzare un esame preliminare che possa servire da base di partenza per una ricerca più approfondita. La fase successiva è stata investigare in che modo tali proposte vengono percepite da attori chiave del panorama politico e sociale. 

Abbiamo quindi selezionato tre gruppi: 1) sindacati, 2) attivisti climatici, e 3) membri di partiti politici progressisti. Naturalmente, questa selezione non può considerarsi esaustiva, in quanto ci sono molte altre categorie che potrebbero essere incluse. Per esempio, si potrebbero coinvolgere anche esponenti di partiti politici meno affini. Si tratta quindi anche in questo caso solo di un primo passo, un inizio di una ricerca che deve essere ampliata ed approfondita.  

Abbiamo quindi pianificato tre sessioni separate di interviste di gruppo (o focus groups), con i tre gruppi separatamente ed una quarta sessione finale che riuniva alcuni membri per ciascun gruppo. Naturalmente, la selezione delle persone specifiche da coinvolgere non è stata totalmente oggettiva, in quanto basata su conoscenze e contatti personali. Abbiamo strutturato gli incontri in due fasi: una prima parte di spiegazione generale delle basi teoriche della decrescita (vedi qui un’analisi approfondita dei quattro pilastri teorici della decrescita) che abbiamo spiegato con il supporto visivo di cartelloni e post-it. Nella seconda fase abbiamo illustrato le proposte sopra menzionate, e raccolto i feedback dei partecipanti, con l’aiuto di alcune domande guida. In particolare, abbiamo chiesto ai partecipanti di esprimere le proprie opinioni rispetto alle proposte, condividendo quali aspetti considerassero più o meno convincenti. Infine abbiamo domandato loro se, in una ipotetica assemblea all’interno della loro realtà nel 2027, in vista delle prossime elezioni politiche italiane, avrebbero aderito ad una coalizione incentrata sulla promozione di tali proposte. Le discussioni sono state animate e ricche di spunti, con alcune posizioni improntate all’ottimismo sulle potenzialità trasformative di tali proposte ed altre più scettiche. Andiamo dunque a riassumere i risultati della ricerca, e a vedere quali spunti ci possono offrire per futuri lavori in questa direzione. 

 

Risultati 

Per semplificare la discussione, abbiamo suddiviso le diverse opinioni in quattro categorie: 

  1. Desiderabilità: quanto i partecipanti ritengono che le misure possano avere un impatto positivo. 
  2. Raggiungibilità: fattori ostativi e facilitanti identificati dai partecipanti in relazione all’attuazione del pacchetto di politiche e di politiche specifiche.
  3. Popolarità: quanto i partecipanti percepiscono come popolare una determinata (aspetto della) politica/dell’intero pacchetto nell’opinione pubblica.
  4. Comunicabilità: sfide e punti di forza identificati dai partecipanti in termini di comunicazione della politica/dell’intero pacchetto. 

E’ interessante notare come dalle discussioni di tutti i gruppi sia emerso un generale consenso sulla desiderabilità, in linea di principio,  delle politiche proposte e degli obiettivi da esse perseguiti. In particolare le politiche incentrate sul tema del lavoro sono emerse come desiderabili: per esempio, diversi rappresentanti sindacali hanno sottolineato come la garanzia di lavoro sia un mezzo utile per la realizzazione di una transizione ecologica giusta. Dal loro punto di vista, questa politica contrasta il rischio che l’introduzione di un reddito di cura universale scoraggi le persone dal lavorare, portando ad una “Jobless society” (o società senza lavoro, dove in sostanza nessuno ha una ragione per lavorare). Allo stesso tempo hanno sottolineato, come anche diversi attivisti, che tale proposta ha il vantaggio di contrastare il fenomeno dell’aumento di posti di lavoro privi di valore sociale, alienanti e fini a se stessi (definiti dal sociologo Graeber come “bullshit jobs”), ridando valore sociale e significato al lavoro. 

E’ da notare poi che tutti i gruppi hanno espresso un supporto entusiastico per la riduzione dell’orario di lavoro, anche motivato dal fatto che lo considerano come la proposta più facile da realizzare, in virtù dei tanti esempi pilota già esistenti. Una generale approvazione è anche emersa per la proposta di introdurre servizi di base universali, che come sottolineato dai sindacati, significa garantire dei diritti previsti dalla stessa Costituzione Italiana. Tuttavia, in nessun gruppo è avvenuta una conversazione approfondita su tale proposta: questo potrebbe essere dovuto alla vastità dell’argomento, in quanto ciascun servizio di base (casa, acqua, cibo, energia, trasporto, educazione, salute) rappresente un argomento a sé, e potrebbe risultare difficile analizzare la proposta nel complesso. Questo aspetto potrebbe rappresentare un problema nel momento di presentare proposte concrete in questo senso. Guardando invece agli aspetti considerati meno desiderabili, i sindacati hanno espresso il timore che la riduzione dell’orario di lavoro possa essere facilmente cooptata dalle aziende come mezzo di social washing,  con una  riduzione minima delle ore effettive di lavoro. Un certo scetticismo è emerso da parte dei sindacati anche rispetto al tema delle assemblee cittadine, con una discussione sul ruolo della democrazia rappresentativa.

Per quanto riguarda l’aspetto della comunicazione, sia nel gruppo dei sindacati sia in quello dei rappresentanti politici è stato menzionato il timore che la garanzia di lavoro verde possa essere vista come un’imposizione da parte dello stato di un lavoro obbligatorio, senza libertà di scelta personale. Anche gli attivisti hanno espresso preoccupazione per un’impostazione eccessivamente statalista alla base del pacchetto di politiche. Nel caso dei servizi di base universali, in quest’ultimo gruppo è emersa una discussione su come organizzarli nel modo più decentralizzato possibile, mantenendo allo stesso tempo un certo grado di coordinazione tra le diverse regione, ed evitando il rischio di generare disuguaglianze nella qualità dei servizi tra i diversi territori. Sia i sindacati che i politici hanno sottolineato la necessità di delineare più chiaramente le proposte, ed in particolare la garanzia di lavoro verde. Gli esponenti politici hanno espresso il timore che, in caso di eccessiva fumosità, tali politiche potessero essere facilmente “smontate” dalle forze di opposizione. Un membro del gruppo di attivisti ha anche fatto notare come, implementando la riduzione dell’orario di lavoro in imprese di piccole e medie dimensioni, ci fosse il forte rischio di metterle in difficoltà.

Infine, alla domanda se tali politiche possano essere popolari o meno tra le persone, è emersa in vari gruppi l’opinione che l’ostacolo principale al loro successo riguardi il campo dell’immaginario e della narrazione politica. Sia i sindacati che gli attivisti hanno sottolineato come la forte de-politicizzazione dell’attuale società rappresenti un ostacolo decisivo all’introduzione di forum deliberativi e alla possibilità che questi assumano un peso di rilievo nel processo deliberativo. Inoltre, il mito della meritocrazia hanno sottolineato tutti i gruppi, rappresenta un ostacolo al supporto del reddito di cura universale e dei servizi di base universali. La mentalità per cui “Il privato funziona sempre meglio” e l’egemonia culturale dell’ideologia capitalista per cui “non c’è alternativa” a questo sistema, non dovrebbe essere sottovalutata nel proporre tali politiche. Inoltre, vari gruppi hanno sottolineato il rischio che questo pacchetto di politiche, ed in particolare i servizi universali e il reddito di cura, venga percepito da alcune persone come comunista. Rispetto a questo tema, è emersa una divisione nel gruppo dei politici, con una fazione a sostegno dell’idea che la sinistra debba avere la forza di proporre una visione alternativa a costo di apparire utopica, e un’altra più tendente alla moderazione e al pragmatismo. Infine, una preoccupazione molto concreta relativa al contesto italiano emersa in vari gruppi è stata che il reddito di cura venga respinto dalle persone a causa della facile associazione con il reddito di cittadinanza introdotto dal Movimento 5 stelle nel 2021.  

 

Dunque, puo’ il Patto di post-crescita aiutare a creare un’alleanza tra sindacati, partiti politici e movimenti sociali? 

Quali lezioni possiamo trarre da questo esercizio?

In primo luogo bisogna riconoscere che, come anche evidenziato al principio, questa ricerca è solo il primo, piccolo contributo ad un progetto che deve essere necessariamente realizzato su scala più ampia. è fondamentale infatti coinvolgere altri soggetti, includere altre proposte (in particolare riguardo alla tassazione e come finanziare queste politiche) e svilupparle in modo più concrete. Allo stesso tempo è anche necessario approfondire l’analisi del contesto e delle esperienze esistenti, in Italia e altrove. Tuttavia, possiamo trarre alcune conclusioni dalle osservazioni sopra descritte: in primo luogo, le politiche del lavoro sono emerse, tra quelle incluse nel pacchetto, come le più desiderabili secondo i sindacati e i membri dei partiti. I forum deliberativi e il reddito di cura universale sono invece risultate quelle più supportate dagli attivisti. In generale, è emersa la consapevolezza che, per poter comunicare efficacemente queste proposte ad un pubblico ampio e frammentato, è fondamentale fare riferimento ad esempi concreti radicati nell’esperienza quotidiana delle persone. Questo include mostrare come queste politiche rispondano ai bisogni umani di base delle persone, rispondendo ad una logica di “buon senso”, e mettendo il benessere generale prima del profitto privato. è emersa anche la necessità di delineare degli slogan o dei messaggi che esprimano in modo semplice e diretto l’obiettivo e il contenuto del Patto, o delle singole proposte, al contempo evitando una eccessiva semplificazione. Per quanto riguarda poi la questione centrale delle alleanze, e in che misura queste politiche possono contribuire a formare delle alleanze tra i gruppi identificati, i risultati sembrano indicare che questo è possibile, ma richiede un grande sforzo di discussione e compromesso. Guardando al futuro, è necessario approfondire il lavoro di definizione delle politiche, rendendole il più concrete possibile e contestualizzandole ai diversi territori, paesi, regioni. Ciò richiede da una parte un’analisi teorica del contesto istituzionale, politico, legislativo e dall’altra un continuo confronto tra i vari attori coinvolti, per rendere questo processo il più possibile aperto, democratico ed inclusivo. 

 


 

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