Ha senso essere animalisti?

da | 27 Giu 2016

Le ultime affermazione del Papa sul rapporto con gli animali e le reazioni che sono seguite mi hanno fatto riflettere su alcuni aspetti che riguardano la nostra società dell’abbondanza.

Cosa significa essere un vero animalista? E chi è il vero animalista?

Spesso si sentono affermazioni e si vedono comportamenti definiti “animalisti” ma che a mio avviso di animalista non hanno nulla. Persone che mettono gli animali (alcuni animali, mica tutti) davanti agli esseri umani, che trattano i propri animali come fossero esseri umani, che ritengono gli animali perfetti esseri viventi a confronto degli uomini che invece sono corrotti e cattivi.

A mio modo di vedere, parlare di animalismo e animalisti, come di ambientalismo e ambientalisti ha poco senso, in quanto non si può catalogare la vita in delle scatole e considerare solo alcune componenti della vita come privilegiate: l’ecosistema terrestre, e se vogliamo, l’intero cosmo, è un’unica entità in continua evoluzione dinamica. Chi riconosce questa entità in sé stesso, e la sente pulsare di vita, la riconosce in ogni altra cosa, dentro e fuori di sé: la vede in un fiore di campo, la vede in un insetto, in un verme, in una goccia d’acqua, nello sguardo di un cane. Chi riconosce questa entità e ne percepisce la profondità la venera, la protegge, la rispetta, la considera sacra. Tutto è interconnesso: sarà una banalità dirlo, e forse anche pensarlo, ma altrettanto banale non è sentirlo, percepirlo, e ancora meno sperimentarlo.

Essere animalista perché si amano i cani, o un cane, o i gatti, o un gatto, o perché ci fanno tenerezza i cuccioli ha poco senso se poi nella nostra vita quotidiana, in ogni nostro gesto, in ogni nostra scelta è insita una minaccia diretta o indiretta al nostro ecosistema terrestre. Diciamo di amare i cani e i gatti, perché ci piacciono, ci fanno compagnia , ci danno affetto, ma poi usiamo l’automobile per fare cento metri, beviamo l’acqua in bottiglie di plastica che proviene da migliaia di chilometri di distanza, utilizziamo oggetti usa e getta con non curanza, usiamo prodotti chimici altamente tossici e nocivi e li disperdiamo nell’ambiente come se fossero acqua fresca: siamo complici direttamente e indirettamente, più o meno consapevolmente di un sistema economico-sociale che sta letteralmente devastando ogni forma di vita su questo pianeta, a cominciare da quelle invisibili. Molti si preoccupano della salute e del trattamento degli animali da compagnia, o degli animali negli zoo e nei circhi, ma delle innumerevoli varietà di animali selvaggi estinti o in pericolo di estinzione, o ancora dell’infinità di esseri viventi microscopici che stiamo sterminando chi si preoccupa? Chi si è mai posto il problema?

Nelle nostre vite sregolate e nelle nostre scelte quotidiane che comportano livelli di impatto ambientale devastanti, chi si sente un vero animalista?

Quello che oggi molto spesso si definisce come comportamento animalista è spesso il frutto di una deriva culturale nella quale il contatto umano e le relazioni umane autentiche sono ostacolate perché in un’economia di mercato tutto può essere messo in vendita, a tutto si può dare un valore, e più c’è scarsità di tale bene e più il suo valore cresce. Perciò è economicamente conveniente sviluppare una società in cui le relazioni umane siano sempre più impossibilitate, per fare in modo che le relazioni stesse diventino una merce venduta a caro prezzo. Conviene limitare gli spazi di socializzazione spontanea e gratuita; conviene non costruire più piazze nelle città ed erigere centri commerciali progettati ad hoc dove il numero delle panchine è rigidamente studiato; conviene stimolare un uso massiccio e personalizzato della tecnologia per dare l’illusione della facilità di comunicazione, anche a distanza, allontanando di fatto le persone tra di loro; conviene che la gente passi le sue sere davanti alla tv senza conversare, senza uscire ad incontrare i propri simili; conviene che ognuno abbia un proprio veicolo per gli spostamenti, bello comodo e pieno di tecnologia “utilissima” che rende più piacevole e privo di contatti umani il proprio viaggio, sempre più lungo a causa del traffico; conviene usare l’aria climatizzata in auto, in ufficio e in casa, anche quando fuori c’è una bella giornata, perché così siamo costretti a sigillare bene porte e finestre; conviene prendere l’ascensore piuttosto che fare le scale rischiando di incrociare qualcuno; conviene persino sostituire i commessi del supermercato con macchine automatiche che non sbagliano mai il resto; conviene poi fare la spesa online in modo da non dover uscire proprio da casa; conviene aprire locali notturni con musica assordante e con scarsa luminosità in modo che neanche a gesti sia possibile comunicare con gli altri; conviene anche che per appagare il proprio bisogno d’affetto, che storicamente è sempre stata una forma gratuita di scambio tra esseri umani, sempre più persone preferiscano dotarsi di animali e animaletti con cui non litigano mai, non hanno mai discussioni accese, e a cui dedicano cure straordinarie e dispendiose.

È ben noto tra l’altro che la persona infelice e sola tende a consumare di più e ad essere d’aiuto perciò all’economia di mercato. Perché la persona sola e infelice deve acquistare la sua felicità e la sua compagnia: o meglio deve acquistare dei surrogati appositamente creati. Deve acquistare la felicità sottoforma di superfluo, di eccesso, di abbondanza. Deve acquistare la compagnia sottoforma di rinunce della propria spontaneità per aderire a convenzioni sociali affermate, a codici comportamentali riconosciuti.

Occorre perciò fare un passo oltre l’ambientalismo e l’animalismo, concepire e sviluppare una nuova visione del mondo, fondata sulla sacralità di tutto ciò che esiste e sullo stabilire un equilibrio dinamico e armonioso tra tutte le componenti che si riesce a distinguere: che non sono altro che piccole onde dello stesso immenso oceano di vita.

fonte foto: pixabay