Il mostro potrebbe chiudere. L’Ilva, il colosso dell’acciaieria che da mezzo secolo appesta l’aria di Taranto, non ha superato il controllo a sorpresa effettuato dall’Arpa Puglia sulle emissioni ed ora è in attesa di un responso sul suo futuro.
I dati riscontrati in seguito ai campionamenti del maggio scorso sono superiori a quanto consentito dalla legge regionale pugliese. Preoccupa in particolar modo il livello della diossina di 0,70 nanogrammi al metro cubo contro un limite consentito di 0,40. Si tratta della seconda analisi dell’anno. La prima presentava risultati persino peggiori. Se anche nella terza i dati non saranno conformi alla legge, la fabbrica rischia una multa salatissima e persino la chiusura.
D’altronde, che Taranto soffra di inquinamento non è una novità. Da anni si porta dietro il bollino nero di città più inquinata d’Italia e figura anche fra i primi centri dell’Europa occidentale in questa disonorevole classifica.
E proprio l’acciaieria sembra esserne la causa principale. Basti pensare che fino a poco tempo fa produceva “il 90 per cento delle emissioni nazionali di diossina e pcb di natura industriale”, come afferma Alessandro Marescotti, dell’associazione Peacelink, fra i promotori del referendum per chiudere l’Ilva arenatosi al Tar lo scorso ottobre.
I fumi rossi pestilenziali che a sera si levano dalle ciminiere non hanno mancato di mietere vittime. Sebbene non esistano ad oggi dati ufficiali che ricolleghino le emissioni di diossina a Taranto con i decessi, è pur vero che il capoluogo di provincia pugliese ha medie di tumori decisamente più alte rispetto al resto della regione.
Sebastiano Romeo, assessore all’ambiente della città, ha definito “drammatico e consistente” l’aumento dei tumori e delle malattie respiratorie riscontrato nel suo studio di medico. La responsabile del circolo Legambiente di Taranto, Lunetta Franco, ha invece sostenuto che “a Tamburi si calcola che un bambino fumi più di due sigarette al giorno dal momento in cui nasce”. Proprio recentemente 30 dirigenti dell’azienda sono stati indagati per la morte di 15 operai deceduti in seguito ad altrettanti casi di cancro: mesotelioma pleurico e peritoneale e cancro ai polmoni.
Negli anni le rivendicazioni portate avanti dalle varie associazioni ambientaliste hanno contribuito a migliorare la situazione, costringendo l’Ilva a ridurre notevolmente le proprie emissioni, e a fare ingenti investimenti, ma ancora il livello raggiunto non è sufficiente.
Nei giorni scorsi, poi, la squadra dei i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) di Lecce ha chiesto il sequestro di alcuni impianti dell’Ilva in seguito ad un rapporto spedito alla procura di Taranto. Sul rapporto, nato dall’inchiesta sulle emissioni nocive dai camini dello stabilimento siderurgico, si evincevano una serie di anomalie come l’accensione delle torce di acciaieria.
Insomma, alla luce di tutti questi fatti, è possibile che il Ministero dell’ambiente decida di non rinnovare la licenza Aia (Autorizzazione integrata ambientale) al colosso pugliese. Possibile, appunto, niente più. Perché la decisione presa dalla Prestigiacomo di incontrare il gruppo Riva (proprietario dell’Ilva), proprio il giorno prima della conferenza dei servizi per il rilascio dell’Aia, prevista per il 5 luglio, getta una serie di ombre sulla reale volontà del ministro di far rispettare le normative vigenti in fatto di emissioni.
Fonte: Il Cambiamento