C’è una strategia per distruggere il grano siciliano e svendere le aree interne della nostra Isola?

da | 18 Lug 2018

Carenza di strutture sanitarie. Dissesto idrogeologico. Crisi del grano duro. Set-Aside. Spopolamento e invecchiamento della popolazione. Viabilità in progressivo dissesto. La ‘Banda ultra-larga’ solo nelle aree costiere. La farsa delle tre Città metropolitane e il fallimento delle Province. Sono tutti elementi – quasi tutti voluti – che lasciano pensare a una strategia per consentire a gruppi del Centro Nord ed esteri di scippare alla Sicilia il grande affare dei grani antichi.

L’ultima notizia di questi giorni sono gli incendi che hanno mandato in fumo balle di fieno in provincia di Enna e nel Trapanese. Danni per gli agricoltori.  E costi maggiori per i titolari degli allevamenti zootecnici. In pratica, ulteriore impoverimento dei territori coinvolti, che ricadono quasi tutti nella aree interne della Sicilia.

L’incendio delle balle di fieno è solo uno dei tanti segnali – che ora proveremo, per grandi linee, a descrivere – di quella che somiglia tanto a una strategia per rendere sempre più difficile la vita agli agricoltori che operano ancora oggi, tra mille difficoltà, nelle aree interne della Sicilia, magari per fare scappare i più giovani (operazione che è in corso già da tempo, come illustreremo).

Obiettivo: deprezzare i terreni e fare in modo che vengano acquisiti, a prezzi irrisori, da chi ha intenzione di accaparrarsi, per i prossimi anni, il controllo della aree interne della nostra Isola.   

Perché? Forse la chiave di volta di questa storia sta nelle grandi potenzialità economiche di queste aree agricole, oggi in crisi e, in parte, abbandonate.

Sulle difficoltà degli agricoltori (e, in generale, degli abitanti) delle aree interne della Sicilia non ci sono dubbi. Nei giorni scorsi, a Palermo, è stato anche celebrato un convegno su questa zone disagiate della Sicilia. Si parla poco, invece, delle grandi potenzialità di queste aree: potenzialità legate, soprattutto, all’agricoltura di qualità imperniata sui grani antichi della nostra Isola.

Non è un tema nuovo. L’argomento l’abbiamo affrontato già due anni fa, segnalando gli interessi del Nord Italia – e anche di alcune multinazionali – verso i grani antichi della Sicilia che – lo ricordiamo – danno ottimi risultati nella nostra Isola e, in generale, nel Sud (QUI L’ARTICOLO DI DUE ANNI FA). E risultati scadenti nelle aree del Centro Nord Italia.

I Nuovi Vespri segue con costanza i problemi dell’agricoltura e, in modo particolare, del grano duro, coltura d’elezione della Sicilia.

E’ noto che il prezzo del grano duro tradizionale del Sud Italia – e quindi anche del grano duro siciliano – è basso: 18-20 euro al quintale.

A fronte del prezzo basso del grano duro tradizionale, il prezzo dei grani antichi siciliani, se alle spalle c’è un progetto e un’organizzazione per la coltivazione e la vendita, oscilla tra 70 e 80 euro al quintale (con un prezzo ancora superiore per il prodotto ‘Bio’).

Insomma, i grani antichi siciliani, se gli agricoltori lavorano insieme e si presentano uniti nell’offrire il prodotto, sono un grande affare: in parole semplici, possono diventare la chiave di volta per lo sviluppo delle aree interne della Sicilia (Giuseppe Li Rosi, tra i protagonisti di ‘Simenza’, lo ha raccontato IN QUESTO ARTICOLO e anche IN QUESTO ARTICOLO).

Un centro Sicilia che torna a scommettere sul grano – valorizzando i grani antichi, da vendere nei mercati locali, nazionali e internazionali – interromperebbe l’abbandono dei terreni e la fuga della popolazione, con riferimento soprattutto ai più giovani.

Non solo. Creerebbe anche le condizioni per la nascita di piccole aziende artigianali per la produzione di farine, pasta, pane e altri derivati del grano duro.

Si darebbe il via al ripopolamento delle stesse aree interne, con la contestuale crescita di attività turistiche legate alla valorizzazione delle stesse zone dell’entroterra ricche di testimonianze architettoniche e, in generale, culturali. A conti fatti, un circolo virtuoso che metterebbe in moto l’economia di questi territori.

Queste sono le potenzialità delle aree interne. Alle quali si contrappone la realtà.

Per illustrare la realtà odierna partiamo da alcuni dati pubblicati dal ‘Rapporto di istruttoria per la selezione delle aree interne – Regione Sicilia’.

Questo studio punta a sostenere il rilancio di queste zone della Sicilia con i fondi europei. Le aree interne della nostra Isola vengono distinte in cinque zone: Terre Sicane, Madonie, Nebrodi, Calatino, Valle del Simeto.

In calce trovate lo studio sulle aree interne per esteso. Di seguito segnaliano alcuni elementi comuni:

Terre Sicane. Parliamo della zona dei monti Sicani, 12 Comuni della provincia di Agrigento tutti classificati come aree interne. La popolazione di tale area è di 52 mila e 233 abitanti.

“Dal 1971 l’area subisce un processo di spopolamento (-17,5% tra il 1971 e il 2011, -9,0% tra il 2001 e il 2011). La popolazione si caratterizza per una presenza elevata di anziani: il 23,3% degli abitanti residenti supera i 65 anni di età”.

E a proposito dell’agricoltura si legge:

“La Superficie Agricola Utilizzata (SAU) dell’area presenta un valore (43,6%), superiore a quello della media nazionale della aree interne e l’indice di importanza del settore agricolo e agroindustriale aumenta nel
tempo. È comunque rilevante tra il 2000 e il 2010 la percentuale di diminuzione della SAU (-13,4%), così come si è abbassata la percentuale dei conduttori di età inferiore a 39 anni (-27,9%)”.

Madonie. “È un’area composta da 21 Comuni della provincia di Palermo, tutti compresi nella definizione di Aree Interne, con una popolazione complessiva di 66.389 abitanti (2011), diminuita del 25,6% tra il 1971 e il
2011. La maggior parte delle amministrazioni dell’area (85,7%) non supera la soglia dei 5000 abitanti, rientrando così nella categoria di “piccolo Comune”.

E ancora:

“Rispetto alle altre aree interne siciliane visitate, questa è quella più ‘anziana’: la percentuale di anziani residenti con età superiore ai 65 anni (26,2%) risulta superiore alla media regionale e nazionale delle aree
interne. A questo dato si accompagna anche la percentuale più bassa, tra le aree visitate, di residenti giovani con età compresa tra i 17 e i 35 anni (solo 19,8%)”.

Nebrodi. “È un’area composta da 21 Comuni della provincia di Messina, tutti compresi nella definizione di Aree Interne, con una popolazione complessiva di 64.423 (2011), diminuita del 7,8% tra il 2001 e il 2011. La
percentuale di popolazione anziana di età superiore ai 65 anni è superiore alla media regionale e nazionale per le aree interne. La maggior parte delle amministrazioni dell’area (90,5%) non supera la soglia dei 5000 abitanti, rientrando così nella categoria di ‘piccolo comune’”.

E ancora a proposito dell’agricoltura:

“La percentuale di SAU è alta (79,7%) e mantiene un trend positivo di crescita nel tempo, diminuisce invece del 34,1% tra il 2000 e il 2010 la percentuale di conduttori di età inferiore ai 39 anni, che ad oggi rappresentano solo il 9% sul totale dei conduttori”.

Qui i terreni agricoli utilizzati non sono diminuiti, ma sui Nebrodi, a condurre le aziende agricole, sono i maturi e gli anziani: anche da qui i giovani vanno via.

Calatino. “È un’area composta da 8 Comuni della provincia di Catania, tutti classificati come Aree Interne, con una popolazione complessiva di 77.303 abitanti al 2011, diminuita dell’11,9% tra il 1971 e il 2011. La percentuale
di popolazione anziana con più di 65 anni è superiore alla media regionale e nazionale per le aree interne, come in tutte le aree visitate”.

E a proposito dell’agricoltura si legge:

“La percentuale di Superficie Agricola Utilizzata è elevata (62,8%) e mantiene un trend positivo di crescita nel tempo, ma diminuisce del 14,4% tra il 2001 e il 2011 la percentuale di conduttori di età inferiore ai 39
anni. Nonostante ciò, essi rappresentano il 12,9% del totale dei conduttori, la percentuale più alta delle aree interne visitate”.

Qui l’agricoltura non manca, ma diminuisce il numero di giovani che rimangono a condurre le aziende.

Valle del Simeto. È un’area composta da 3 Comuni: Adrano e Biancavilla in provincia di Catania e Centuripe in provincia di Enna. Tutti i Comuni sono classificati come Aree Interne: 2 intermedi e uno periferico. La popolazione conta 64.851 abitanti (2011) con una percentuale di ultra sessantacinquenni del 16,5% che è inferiore alla media regionale e nazionale per le aree interne, oltre che la più bassa tra quella delle aree visitate. Un territorio
giovane dunque, come dimostra anche la percentuale di popolazione tra i 17 e i 34 anni: 24,5%”.

E sull’agricoltura:

“La percentuale di Superficie Agricola Utilizzata al 2010 è del 39,1%. Dal 1982 al 2010 si riduce, ma tra il 2000 e il 2010 si inverte il trend (+ 31,3%). La percentuale di conduttori con età sino a 39 anni è del 11,9%, dato superiore alla media regionale. La percentuale è diminuita del 8,8% tra il 2000 e il 2010, ma nonostante questo trend negativo, il dato risulta inferiore alla diminuzione riportata dalla media nazionale e regionale per le aree interne (rispettivamente -33,6% e – 26,8%). Il settore agricolo si conferma come il settore produttivo trainante: tra il 2001 e il 2011 è cresciuto  l’indice di importanza passando da 0,8 a 1,1, superando così la media regionale”.

In queste cinque aree ci sono elementi comuni e alcune diversità.

Gli elementi comuni sono lo spopolamento (nel complesso, si contano circa 330 mila abitanti in una Sicilia di oltre 5 milioni di abitanti), l’invecchiamento della stessa popolazione, i giovani che vanno via e, in buona parte di tali aree, il rischio legato al dissesto idrogeologico. Quindi una viabilità che definire disastrosa è poco e carenza di servizi, a cominciare dai servizi sanitari. Tranne poche eccezioni, l’agricoltura, in quasi tutte queste zone, è in crisi.

Le diversità sono legate alle peculiarità di ogni zona e a un diverso grado di spopolamento e di difficoltà economiche.

E dentro questo scenario che si collocano alcuni fatti oggettivi, che sono sotto gli occhi di tutti.

Niente innovazione nella rete. Proprio qualche giorno fa abbiamo commentato l’ennesima penalizzazione per le popolazioni che vivono nell’entroterra siciliano: l’Unione Europea ha dato il via libera definitivo alla cosiddetta ‘Banda ultra-larga’ (collegamento veloce della rete). Ma, guarda caso, la ‘Banda ultra-larga’ interesserà le aree costiere della Sicilia, escludendo le aree interne! (QUI L’ARTICOLO). Questo, ovviamente, non aiuta i siciliani a vivere nelle aree interne.

Fondi europei. Abbiamo citato il caso della ‘Banda ultra-larga’, ma il discorso riguarda tutti i fondi europei: quelli destinati all’agricoltura (Psr, sigla che sta per Piano di sviluppo rurale) e quelli destinati alle infrastrutture che, se investiti nelle aree interne, avrebbero un impatto positivo sulla popolazione e, quindi, anche su quella parte della popolazione che opera in agricoltura. Sul Psr non possiamo non segnalare la prevalenza, nell’assegnazione dei fondi, nelle aziende medio grandi in una realtà dove sono prevalenti le aziende agricole piccole e medie. A questo si aggiunge la crisi delle ex Province che…

La crisi delle Province. La gestione della viabilità secondaria è di competenza delle ex Province. Poiché le ex Province sono state lasciate senza soldi, le strade provinciali sono state abbandonate. E poiché nelle aree interne, in molti casi, le strade provinciali sono le uniche vie di comunicazione, ecco che l’abbandono delle ex Province crea ulteriori disagi  chi vive nelle aree interne e ai titolari delle aziende agricole. A questo si aggiunge il pasticcio sulle tre Città metropolitane di palermo, Catania e Messina.

Le Città metropolitane e i fondi europei. Già l’istituzione di queste tre Città metropolitane è grottesca: non c’è nulla di ‘metropolitano’: sono solo le tre ex Province di Palermo, Catania e Messina ‘ribattezzate’ Città metropolitane! Chi le governa? Non certo chi è stato eletto dal popolo. Le governano i sindaci di Palermo, Catania e Messina. Così prevede la fallimentare legge Delrio (un nome, una garanzia…). Così l’ex Provincia di Palermo ha deciso che una barca di fondi europei dovranno essere utilizzati per realizzare sei o sette linea di Tram a Palermo: non investimenti diffusi in tutto il territorio della provincia di Palermo, comprese le aree interne, ma solo a Palermo dove c’è giù un Tram fallimentare!

Crisi del grano duro. E’ un argomento che questo blog affronta spesso. In molte delle aree interne della Sicilia la coltura del grano duro non ha alternative. Colpire il grano duro, come si fa ormai da anni, imponendo un prezzo irrisorio di questo prodotto, significa scoraggiare gli agricoltori, spingendoli a vendere i propri terreni.

Set-Aside. Letteralmente significa (mettere da parte). Regolamento introdotto dall’allora CEE 8Comunità Economica Europea) nel 1988 con la scusa di limitare le sovrapproduzioni, questo strumento serve, in realtà, per bloccare gli agricoltori, che, in cambio di un sussidio, non possono coltivare i propri terreni anche per venti anni. Il Set-Aside è servito per inondare l’Italia di grano duro canadese. Va da sé che anche questo strumento serve a convincere gli agricoltori ad abbandonare i terreni.

Ambientalisti e agricoltura. In Sicilia gli ambientalisti – cosa che non avviene nel resto d’Italia – gestiscono molte delle aree protette. A parte il conflitto di interessi (gli ambientalisti dovrebbero controllare la Regione non prendere soldi dalla Regione per gestire le aree protette!), i rapporti tra i gestori di queste aree e gli agricoltori, in molti casi, sono pessimi. Lo stesso discorso vale per i Parchi naturali, che, nella maggioranza dei casi, non hanno incentivato l’agricoltura, ma l’hanno penalizzata.

Gli incendi. Ci sono gli incendi che colpiscono, in generale, le aree verdi della Sicilia. ma ci sono altri incendi di cui non parla quasi mai nessuno: gli incendi dei campi di grano poco prima del raccolto. A cui, da qualche tempo, si aggiungono i già citati incendi del fieno.

La crisi della Zootecnia. Gli incendi del fieno ci conducono alla crisi dell zootecnia siciliana. Nulla è casuale. nella passata legislatura è stata fatta fallire l’Associazione Regione Allevatori della Sicilia. Come spesso accade nella nostra Isola, i soldi – tanti soldi – sono spariti, ma non ci sono responsabili. Per chi punta ad assicurarsi per un piatto di lenticchie i  terreni cerealicoli delle aree interne della Sicilia, mandare in malora gli allevamenti è un passaggio fondamentale.

Tutti questi elementi, uniti alla carenza di presidi sanitari e al dissesto idrogeologico predispongono o no gli agricoltori che vivono ancora in queste aree interne ad abbandonarle?

Foto tratta da afni.org