Possiamo ribellarci al decreto sicurezza approvato alla Camera in tanti modi. Abbiamo bisogno di rifiutare prima di tutto il dominio dei tempi bui nei nostri immaginari e nelle nostre relazioni, inseguendo gioia, bellezza, speranza
di Bruno Tognolini* pubblicato su comune-info.net
Da mercoledì 28 novembre vige nel nostro paese una legge che riempirà le sue strade di disperati senza diritti, condannandoli a mendicare, puzzare, delinquere, e che i suoi estensori hanno battezzato, ironicamente, Decreto Sicurezza (leggi anche Cosa prevede il decreto sicurezza)
Mia figlia Angela, da quattro anni operatrice legale per i richiedenti asilo, in queste mattine ha una voce cupissima: non ce la fa a dire a chi le viene davanti ogni giorno che non avrà un documento e che finirà in strada. Dice che non era questo il suo lavoro. Che è come passare dall’ostetricia ai pazienti terminali (leggi anche Cosa significa niente più protezione umanitaria? di Angela Tognolini). Il mio lavoro, mercoledì 28, era invece andare di fronte a tanti bambini delle scuole di una paesello umbro, Castel Giorgio, e poiché sono un poeta narratore raccontare loro il mondo. Mestieri difficili.
In un post di due anni fa, dopo l’elezione di Donald Trump, mi chiedevo se “nei tempi bui” dovessimo cantare “dei tempi bui”, come indicava Bertolt Brecht. Mi rispondevo che no, stavolta no. E continuavo: “Faremo ciò che dice la sapienza popolare, quella sarda per esempio, che prescrive nelle pene ‘attu contrariu”‘Contromossa, omeopatia, scaramanzia dell’operare. Se ti opprime l’angoscia“deppis fai attu contrariu”, canta Rossella Faa: tu canta e ridi. Noi tutti dobbiamo fare Atto Contrario. Non cantare dei tempi bui, ma della luce. Della gioia e della bellezza, della speranza, dell’allegria della battaglia, che sono sempre disciolte in tutti i tempi. Perché non restino in-cantate, senza canti, non languiscano e svaniscano nel buio”.
Alle dieci, a Castel Giorgio, Orvieto, davanti a una platea difficilissima, d’eccezione assoluta rispetto alla mia regola, composta di bambini e bambine dalla prima primaria alla prima media (era un paese troppo piccolo, la prima primaria era di sei alunni, la seconda di dodici: e chi ha cuore di lasciarle in classe); dunque davanti a un’ottantina di bambini così sparsi nelle età e nell’attenzione, ho raccontato un mio vecchio poemetto in ottave: La sera che la sera non viene (Fatatrac).
Non c’entra niente con Matteo Salvini. Appunto. È solo che lo stavo studiando a memoria da mesi. Ed è così bello dire a memoria le ottave. Ne ho dette cinquantaquattro. Solo sulle ultime tre ho incespicato. Non avevo mai rischiato una cosa così. Ma dovevo fare una cosa diversa, speciale. Una qualunque, ma speciale. L’ho detto bene, con tutta la mia forza. Non hanno aperto bocca per venticinque minuti.
Non mi trascineranno i Dissennatori nella loro tristezza, non davanti ai bambini. Attu contrariu. Ho anche belle rime sui migranti: le dirò in altre occasioni. Parlare d’altro meravigliosamente. Infilare nel sistema incarognito minute stringhe virali di bellezza. Qualcosa faranno.
Alla fine eravamo tutti così contenti, loro e io. E m’è tornata l’Allegria della Battaglia.
Queste sono le prime quindici ottave di 154 del poemetto, “dedicato a quegli adulti che leggono libri ai bambini a voce alta”. Qui la copertina e una illustrazione.
Angeli strabici, uomini sparsi,
cani del mondo e pesci del mare,
bimbi che corrono senza stancarsi,
bimbe che guardano senza fiatare,
fate scorbutiche, maghi scomparsi,
oche e somari, foche e zanzare,
tutti vicini, sedetevi intorno:
vi dirò ciò che accadde quel giorno.
1. Quel bel giorno di sabato d’estate
tutto sembrava andare proprio bene:
nelle strade mille auto incolonnate,
nei giardini mille voli di altalene;
dai cortili spuntavano risate,
dalle case gli odori delle cene,
dai tetti mille fumi e mille antenne,
la sera che la sera poi non venne.
2. Proprio così. Alle otto meno venti
il sole in cielo era ancora bello grasso.
Alle otto se la rideva a pieni denti,
e ogni tanto guardava verso il basso.
Alle otto e un quarto scherzava con i venti,
ma non aveva ancora fatto un passo.
O bel melone, allora, cosa fai?
è tardi: te ne vai o non te ne vai?
3. Non se ne va. Gli uomini distratti
ancora non si accorgono di niente.
I bambini giocano a stormi, soddisfatti
di quelle ore azzurre così lente.
Ma agli angoli delle strade tutti i gatti
guardano stupefatti il sole ardente,
rizzano il pelo e via, scappano in tondo
da quel gran cielo che minaccia il mondo.
4. Le nove meno dieci. Che succede?
Si è levato di colpo un vento rosa,
e soffia così forte che si vede,
e brilla quella luce su ogni cosa.
E il sole ride trionfante e siede
al centro della scena luminosa.
E ora tutti sollevano gli sguardi:
mai vista tanta luce così tardi.
5. Chissà cosa sarà: sarà l’estate?
Avranno aggiunto al giorno un’altra ora?
Si allungheranno ancora le giornate?
E sposteremo gli orologi ancora?
Gli uomini nelle auto incolonnate
guardano quel tramonto, o quell’aurora,
e ognuno pensa qualche congettura,
per non pensare che fa un po’ paura.
6. Dopo un’ora, alle dieci, il sole è là,
fisso come un bottone ben cucito.
Dalla finestra di una casa di città
un bambino lo segna con il dito.
Un passante guarda l’ora e se ne va,
scuotendo il capo, triste e sbigottito.
Il mondo intero ormai trattiene il fiato:
siamo perduti, il sole si è fermato!
7. Ma se non passa più quel lungo giorno,
allora non passa più mese né anno…
E se non gira il tempo tutto intorno,
allora non torna più il mio compleanno…
E io non cresco più? Senza ritorno
le stagioni sorelle se ne vanno?
Mai più inverno, mai più la primavera?
Per sempre estate, sì, per sempre sera.
8. Queste cose pensavano più o meno
uomini e donne, tristi e spaventati,
mentre in aereo, in automobile ed in treno
già accorrevano decine di scienziati.
Da tutto il mondo nel giro d’un baleno
i governi li avevano chiamati
a radunarsi in una conferenza,
per studiare la gravissima emergenza.
9. “Il sole è fermo perché si è ammalato”
– fa un medico cinese con l’inchino.
“è fermo perché il mare lo ha inzuppato”
– lo corregge un biologo marino.
Ma un astrofisico sei volte laureato
va alla lavagna con gesso e cancellino:
“Epsilon dieci! – strilla – Emme con zero!
Si è fermato per tappare un buco nero!”
10. E mentre gli scienziati fanno a botte
per scoprire le cause del malanno,
in ogni parte di quella bianca notte
si sparge il panico, ormai, s’aggrava il danno.
Si scatenano furti, grida e lotte:
chi perde tutto, chi acquista con l’inganno,
chi piange e canta, chi bestemmia e prega.
E chi chiude le imposte e se ne frega.
11. La storia andava avanti ormai da ore:
era l’alba, le cinque del mattino,
ma il cielo era incantato nel chiarore
di un tardo pomeriggio settembrino.
Quand’ecco che, scrollandosi il torpore,
un cagnotto randagio bastardino mugolò,
sbadigliò, si guardò intorno,
e corse zampettando incontro al giorno.
12. Gioele, dove vai? Cosa zampetti?
Non lo vedi che questo è il finimondo?
Guarda un po’ il cielo, sciocco: cosa aspetti
a rifugiarti nel buco più profondo!
Il cane guardò in su con gli occhi stretti,
vide il sole pompelmo giallo e tondo,
girò la schiena, fiutò l’aria profumata
e andò a cercare la sua fidanzata.
13. La fidanzata era questa Natalia,
una bella cagnetta color grano
che abitava poco distante in quella via,
ospite e amica di un signore anziano.
Lui chiamò con la solita allegria,
quattro abbaiate forti ed una piano:
ma a coda bassa arrivò la fidanzata,
negli occhi un’aria triste e spaventata.
14. Cosa c’è, chiede Gioele, e lei racconta:
del sole fermo, del mondo che ammattisce,
della paura degli uomini che monta,
e della sera, che invece non finisce.
“è quel sole lassù, che non tramonta…”
– fa lei chinando il capo, e ammutolisce.
Ammutolisce anche il piccolo bastardo,
carezzandola tutta in uno sguardo.
15. “Ma dài, non preoccuparti, Natalia!
– esclama poi però, di buonumore –
Il sole fermo, tutto qui? Che vuoi che sia?
Sistemeremo tutto in poche ore”
Fuggi paura, va’ via malinconia!
Negli occhi aria di sfida, vento in cuore,
nelle zampe orizzonti più lontani:
e nelle strade corrono due cani.
[…]