Un contributo di Paolo FUSCO socio del circolo di Lucca e membro del gruppo Economia (*)
Dobbiamo ringraziare Paolo Cacciari perché con il suo scritto “Uscire dall’economia?” espone in modo magistrale la questione che sta alla base dell’idea di decrescita.
Scrive Cacciari: “La decrescita, invece, individua «il cuore dei problemi […] nella logica stessa di crescita, percepita come essenza dell’economico». Quindi l’economia ha una sola sostanza: quella della crescita”.
Nereo Villa ipotizza però che l’identità tra economia e crescita si fondi in realtà su un vizio etimologico (che non è di Cacciari, ma dell’intera cultura occidentale moderna).
Economia: un etimo controverso
Scrive Villa: “Oggi si crede che economia derivi da ‘oikos’ e ‘nòmos’. Ma è un errore. ‘Nòmos’, che in greco significa ‘legge’, non c’entra nulla con ‘economia’. La questione riguarda ‘solo’ l’accento ma si tratta di un errore che, in fin dei conti, sta alla base della degenerazione stessa dell’economia’, e che stando all’errore, dovrebbe allora pronunciarsi ‘econòmia’ (con l’accento sulla seconda ‘o’).
L’errore etimologico fu di Rousseau, che riferendo l’economia ai termini ‘oikos’ ‘nòmos’, la spiegò come governo della casa ‘saggio e legittimo’ (Rousseau, ‘Grande Encyclopédie’, 5° vol.). La legittimità e la legalità però non c’entrano nulla, dato che si tratta di ‘nomòs’, non di ‘nòmos’. Intendo spiegarlo.
L’antica età dell’oro, nella quale la miseria e le guerre erano assenti perché era l’armonia della natura a predominare nell’organismo della società, era fondata sulla pastorizia e sulla raccolta dei frutti della terra.
La parola ‘economia’ proviene da questa situazione aurea formata da due precisi concetti della lingua greca: ‘oìkos’ e ‘nomòs’, che significano rispettivamente ‘casa’ e ‘pascolo’.
Infatti ‘nomòs’ non ha solo il significato di ‘pascolo’ ma soprattutto di luogo del pascolare: la regione in cui la pastorizia è possibile e che pertanto determina il pascolo (‘nomòs’) rende possibile ‘fare economia’ nel senso più equilibrato del termine, cioè secondo una naturale sobrietà di accumulo di ‘pecunia’ (dal latino ‘pecus’, pecora) adatta allo scambio mercatorio anche in tempi di scarsità di raccolto.
In altre parole, la tendenza egoistica di qualcuno all’accumulazione all’infinito di ‘capitale’, anche a danno di altri ‘soci’ dell’’organismo sociale’, era scongiurata, perché l’economia della casa (cioè di ‘oìkos’, che significa non solo ‘casa’ ma anche ‘territorio’), fondata sul pascolo (‘nomòs’), era caratterizzata dall’avere quantità di capi di bestiame proporzionali alla qualità del territorio ospitante: greggi e mandrie non potevano crescere in modo esponenziale (come avviene oggi nell’economia non reale fondata su strumenti monetari illusori e su giochi di potere borsistici). […]
Il primigenio strumento monetario per lo scambio di mercanzie (di beni e servizi) nelle prime forme di mercato fu dunque la ‘pecunia’. Il concetto di ‘capitale’ proviene sia dal ‘capo’ nel senso di testa umana o di capo di bestiame, sia dal ‘foraggio’: in latino ‘caput’, plurale ‘capita’, significa sia ‘testa’ che ‘capitale’. E ‘capitum’, che significa ‘foraggio’, ‘razione’, ha il medesimo plurale ‘capita’! Anche da ciò si evince che il capitale ed il foraggio dovevano andare di pari passo. L’aumento insensato di ‘capitale’ sarebbe stato infatti controproducente per tutti. […]
Ecco dunque il senso del consumo rituale, offerto alla fine di ogni annata alle divinità locali. Era la necessità di consumare il sovrappiù di ‘capitale’, evitando così che deperisse inutilmente, cosa che avrebbe irritato gli dei, che generosamente avevano favorito il sobrio ‘accumulo’, cioè il mantenimento sano dei capi di bestiame durante la stagione”.1
Mi pare evidente che, se si assume per valida l’analisi di Villa, la diatriba sollevata da Cacciari, uscire dall’economia o reinventarla, si auto-risolve. Restituendo l’economia all’ambito del nomòs i principi della decrescita sono salvi: si tratta quindi di riappropriarsi del corretto etimo restituendo all’economia il suo significato originario, a cui era estraneo il dogma della crescita indeterminata.
Economia e progresso
Doveroso notare allora, non senza una qualche ironia, come tutti i pensatori dell’area della decrescita e noi con loro, nel nostro costante impegno di “decolonizzare l’immaginario” (per dirla con Latouche) non riusciamo però a emanciparci da questo lessico che – se è vero quel che dice Villa – appoggia inconsciamente ciò che crede di contestare. Per risolvere il dilemma che Cacciari acutamente solleva, è quindi fondamentale riconquistare il senso etimologico iniziale.
Intesa così l’economia (non più sinonimo di crescita), viene meno anche la preoccupazione di Latouche: “Latouche mette in discussione l’intero campo semantico dell’economia. Non è quindi più la sola economia della crescita (e i suoi sinonimi: sviluppo e progresso) ad essere indicata come la causa della catastrofe ecologica e sociale in corso, ma l’economia in sé stessa”.
Si deve però notare – a margine – che anche il considerare sviluppo e progresso quali sinonimi di crescita, può dare adito a fraintendimenti. Amo citare Pasolini che affermava negli anni ‘70: «Non è affatto vero che io non credo al progresso, io credo nel progresso. Non credo nello sviluppo, e nella fattispecie in questo sviluppo. Lo sviluppo – almeno qui in Italia – questo sviluppo vuole la creazione, la produzione intensa, disperata, ansiosa, smaniosa di beni superflui, mentre in realtà coloro che vogliono il progresso vorrebbero invece la creazione, la produzione di beni necessari.»2
Difficile non cogliere la suggestione di questa piccola, ma significativa differenza, che a mio avviso rimanda direttamente all’art. 4 della Costituzione laddove si dice che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Recuperare la dimensione spirituale del progresso così inteso – svincolato dal concetto di crescita – significa allora, a mio avviso, recuperare anche la dimensione spirituale della decrescita. Lo stesso Cacciari fa notare: “Mi pare di capire che la ricerca di una buona vita dipenda, banalmente, da una accettabile integrazione tra le varie esigenze umane: materiali e spirituali, individuali e relazionali, produttive e contemplative…”.
Economia e spiritualità
Sulla stessa lunghezza d’onda di Cacciari pare essere Christopher Houghton Budd, che già nel 2012 notava spregiudicatamente i sostrati spirituali dell’economia:
“Comprenderemo il processo economico solo quando ci saremo resi conto che l’essere umano, nella sua vera essenza, appartiene a due mondi: il mondo della natura e il mondo dello spirito. L’economia, di conseguenza, ha due scopi: trarre dalla natura le cose necessarie alla vita umana materiale (beni) e trarre dallo spirito le capacità necessarie allo sviluppo individuale (capitale). Acquisiti questi due concetti, è impossibile parlare di lavoro umano come categoria economica, perché non lo è. Naturalmente, un uomo deve sviluppare le sue capacità lavorando. Non potrà mai nascere un falegname da qualcuno che non lavora mai con il legno. Va da sé che l’uomo debba lavorare, ma il lavoro non è la cosa primaria. La cosa primaria è la formazione e lo sviluppo dell’individuo. […] Il lavoro non fa parte dell’economia. Quando noi trattiamo il lavoro come una categoria economica falsifichiamo la nostra immagine della reale relazione fra capitale e individuo. Invece di comprare lavoro sarebbe meglio capitalizzare l’individuo. Per capire il processo economico non è necessario usare la parola ‘lavoro’, anzi, è fondamentale non farlo.
L’economia moderna parla di terra, lavoro e capitale, ma questo è fuorviante perché il lavoro non è una categoria economica. La categoria economica è l’uomo in quanto tale, un individuo in sviluppo con capacità e bisogni, cui occorrono capitale e beni. Inoltre, dato che con ‘terra’ si intende ‘natura’, la triade Terra-Lavoro-Capitale può essere sostituita con Natura-Uomo-Spirito. (‘spirito’ perché abbiamo già detto che è a questo regno che il capitale appartiene). Con l’uso del triplice concetto di Terra-Lavoro-Capitale l’economia moderna risulta erroneamente messa a fuoco: è a fuoco solo sul mondo della natura, mentre compito dell’economia è anche di relazionarsi col mondo dello spirito”.3
Quando Houghton Budd parla di sviluppo dell’individuo, evidentemente si riferisce al contesto spirituale e – di nuovo – non si può non cogliere la suggestione del rimando alla Costituzione, questa volta all’art. 3 dove si nomina “il pieno sviluppo della persona umana” quale compito fondamentale della Repubblica.
Steiner e la triarticolazione sociale
Tutto questo porta inevitabilmente a quanto ho già detto nel breve scritto pubblicato sul sito di MDF “Una lettura decrescente della Triarticolazione Sociale di Steiner”.4
La via d’uscita indicata da Steiner risolve di fatto anche il dilemma sollevato da Cacciari. La società triarticolata, in cui l’ambito economico, quello politico-amministrativo e quello culturale-spirituale fanno capo a tre strutture organizzative indipendenti anziché ad uno stato unico, consente appunto di realizzare “il pieno sviluppo della persona umana”, essendo le tre parti ad immagine sia della fisiologia umana, sia della sua costituzione animica (nei modi che si trovano descritti nel suddetto scritto).
Ben venga quindi l’invito di Cacciari: “Ogni forma di civiltà sviluppa un corrispondente sistema economico. Se per economia intendiamo sistemi di cooperazione sociale volti a soddisfare la produzione di beni e servizi utili al buon vivere delle popolazioni, allora un’altra economia risulta necessaria alla costruzione di un’altra civiltà”.
Cacciari intuisce bene, per chiudere il cerchio serve però anche un’altra politica. Quando Cacciari scrive: “Se è vero che l’economia è inseparabile dalla società (non c’è alcun automatismo spontaneo nelle prassi economiche, se non quello che la politica gli concede), in un’altra auspicabile forma di civilizzazione le funzioni ora così malamente svolte dall’economia (“malsviluppo”, lo definisce Vandana Shiva) dovranno essere completamente riconsiderate” coglie il punto essenziale della questione (indicando guarda caso proprio i tre ambiti in cui si articola la triarticolazione). I tre ambiti economico, politico e sociale vanno totalmente ripensati. L’auspicabile forma di civilizzazione suggerita da Cacciari allora potrà realizzare quanto intuito da Steiner: una vita economica che si fonda sul principio della fraternità, una vita politica che si fonda sul principio dell’uguaglianza, e una vita culturale-spirituale che si fonda sul principio della libertà. Alcune misure che vanno in tal senso sono state pensate da Steiner stesso (p. es. moneta deperibile), altre dovranno essere ideate in base alla situazione attuale, certo assai diversa dal contesto in cui Steiner viveva.
Credo fermamente che proprio la visione della decrescita sia l’attualizzazione più efficace della concezione di Steiner. In tal senso sposo a pieno le parole di Cacciari: “Non smetto di pensare che la decrescita sia un processo di liberazione e di riappropriazione (beni comuni)” aggiungendo: la decrescita può risanare non solo la vita economica, ma anche quella politica e quella culturale-spirituale, che necessariamente dovranno essere rinnovate di pari passo perché, come diceva Steiner: “Quando si pensa qualcosa con serietà, in modo così reale e pratico come questa triarticolazione, il successo unilaterale di una parte è il massimo insuccesso del tutto. Perché nulla mette in pericolo la triarticolazione più della riuscita in un unico settore…”.5
Nel ringraziarlo ancora per la sua riflessione, vorrei lanciare una amichevole provocazione a Cacciari. Egli conclude il suo scritto dicendo:“In attesa di trovare un nome diverso a questo modo di agire e di pensare, proporrei di chiamarlo “economia della cura”. Pur concordando con il termine da lui individuato, che non solo descrive saggiamente quando andiamo definendo, ma è pure bello, poiché non c’è niente di più bello del prendersi cura di chi si ama, devo far notare che il nome diverso che egli attende, in realtà gli precede di un secolo, avendolo coniato Rudolf Steiner negli anni ‘20, ed è triarticolazione sociale.
Ritengo però che, alla fine, sia giusto mantenere il nome proposto da Cacciari, anche perché come diceva Shakespeare: “Cos’è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo”.6
1 Nereo Villa: Etimologia di Economia – su digilander.libero.it/VNereo
2 Pier Paolo Pasolini, intervista, 1975
3 Christopher Houghton Budd: Prelude in Economics. A new approach to economics, West Hoathly, England, 1979 – tr. it. di Bruno Paoletti Preludio in Economia. Un nuovo approccio all’economia, su www.tripartizione.it, 2012
4 Paolo Fusco: “Una lettura decrescente della Triarticolazione Sociale di Steiner” su www.decrescitafelice.it/2022/01/una-lettura-decrescente-della-triarticolazione-sociale-di-steiner/
5 Rudolf Steiner: Neugestaltung des sozialen Organismus (Opera Omnia n. 330) – tr. it Nuova struttura dell0Organismo sociale, Quattordici conferenze, da uno stenogramma non rivisto dell’autore, 1919 – a cura di Laura Vannelli (www.tripartizione.it)
6William Shakespeare, Romeo e Giulietta, atto II, scena II.
(*) Gruppo Economia & Decrescita MDF
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