Il Senso del Limite: Ferro e Fuoco (il racconto di Jacopo e Rodolfo)

da | 20 Giu 2025

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«Nè la rivoluzione nè la riforma possono, in ultima istanza,
cambiare una società, senza che ci sia da raccontare una storia nuova e potente,
tanto persuasiva da bloccare i vecchi miti e trasformarsi nella storia preferita…
Se si vuole cambiare una società si deve narrare una storia alternativa».
IVAN ILLICH

Ferro e fuoco

(il racconto di Jacopo e Rodolfo)

I

«Hai con te del denaro?»

La voce di Rodolfo era furtiva, anche se intorno non c’era nessuno. Jacopo annuì. L’amico sorrise: evidentemente molti di loro quando avevano deciso di lasciare la pianura alla ricerca del fantomatico villaggio sull’altopiano, avevano avuto lo stesso pensiero: meglio portarsi dietro un po’ di denaro, per ogni evenienza. Non solo, praticamente nessuno di loro aveva mai confessato agli altri questa cosa. L’unico ad utilizzare il denaro finora era stato Pier Maria, con i risultati che tutti ormai conoscevano. No, dopo quella vicenza bizzarra, meglio non rischiare. Questi furono, più o meno, i pensieri di tutti quelli che avevano portato con sè del denaro; in questo Jacopo e Rodolfo non facevano eccezione. Ora però che erano di nuovo in pianura, dove il denaro aveva un valore, non c’era ragione di nascondersi ancora. Probabilmente di lì a poco i due sarebbero tornati alle loro abitudini (almeno così pensavano), e si sarebbero lasciati alle spalle quel periodo così curioso e particolare.

Stavano allontanandosi dal quartiere dove Gemma e Cosimo avevano trovato ospitalità. Camminando, si avvidero presto che la gente li guardava storto. Jacopo fu il primo a notarlo.

«Credo che dovremmo toglierci di dosso questi vestiti, hai visto come ci guardano?» disse. A quelle parole Rodolfo non potè che annuire, effettivamente guardandosi intorno ora anche lui vedeva facce indifferenti se non addirittura ostili.

«Hai portato un po’ di vestiti anche tu, vero?»

«Certamente, ecco guarda – disse indicando un androne in un vicolo che sembrava abbandonato – potrammo entrare lì. Andiamo a turno, vai prima tu: io tengo d’occhio il carro».

In poco tempo si cambiarono. I loro vecchi abiti “di pianura”, benchè consunti, li fecero sentire subito a loro agio. Ed effettivamente notarono subiro che gli sguardi delle altre persone ora non si soffermavano più sui loro vestiti, però tutti notavano il carro.

«E questo dove l’avete trovato?» gli sorrise un tipo di lì a poco.

«Sapessi che storia! – provò a mentire Rodolfo – Lo abbiamo trovato in periferia, nascosto in una vecchia casa semidiroccata…»

«Sembra uno di quelli che usano i limitati – aveva proseguito il tizio, animandosi quando vide che i due non reagivano – I limitati! Dai, non potete non averne sentito parlare. Quelli che anni fa lasciarono la pianura per tornare a fare i poveracci in montagna… sembra che abbiano dato al loro villaggio il nome “Limite”. Non è buffo? Sono proprio limitati!» rise.

Mentre Rodolfo si mostrò accondiscendente e prese a ridere e scherzare assieme al tipo, a Jacopo sovvenne un pensiero e chiese: «Perché dici che sono tornati a fare i poveracci?»

«E cosa vuoi che facciano in montagna continuava l’altro con scherno Che ci sarà mai da fare lassù?»­

Jacopo pareva voler controbattere, ma Rodolfo gli lanciò un’occhiata eloquente, tagliò corto e salutò il tizio avviandosi a spingere il carro. Non appena l’altro si fu allontanato Jacopo lo apostrofò: «Che ho detto di male?»

«Ma niente… però che senso ha mettersi a discutere con lui?»

«Forse hai ragione… riflettè, ma dopo pochi passi in silenzio riprese Ma ha detto poveracci! Ora, ammettiamolo, saranno un po’ strani, ma mi pare che le condizioni di vita a Limite non siano poi così male, no?»

II

Il posto che trovarono per passare la notte era modesto, ma il prezzo era buono. La stanza sembrava pulita. Jacopo notò solo che dai rubinetti l’acqua usciva piano. «Poca pressione…» riflettè tra sè l’ingegnere, ma non si preoccupò più di tanto. Mangiarono qualcosa velocemente e si coricarono presto. All’indomani volevano essere in piedi di prima mattina, per vedere di trovare una sistemazione più stabile e prima di tutto cercare un lavoro che potesse garantirgli sicurezza economica. I luoghi dove lavoravano un tempo erano molto distanti da lì, non avrebbe avuto senso spendere tempo e denaro per spostarsi, tanto più che le aziende per cui avevano lavorato avevano ormai chiuso i battenti. Avrebbero dovuto comunque ricominciare da zero, tanto valeva farlo lì dov’erano.

L’indomani però le cose non andarono esattamente come avevano previsto. Non riuscirono a trovare nessuno che potesse dar loro un lavoro. Lo stesso accadde il giorno dopo, e quello dopo ancora… I due continuarono a cercare invano per più di una settimana, rimanendo dapprima nel medesimo alloggio e poi spostandosi più verso il centro, ma le cose non accennavano a migliorare. Per il momento non si preoccupavano perché di soldi ne avevano ancora molti, ma certo non avrebbero potuto andare avanti a quel modo in eterno.

Un giorno, mentre camminavano, a Jacopo venne sete. Era il primo giorno in cui il sole sembrava scaldare più di quanto era solito fare in quella stagione, l’uomo vide una fontana sull’altro lato della via e vi si diresse. Il rubinetto era incrostato e sporco e dava l’impressione di non essere stato usato da molto tempo. Nondimeno Jacopo provò ad aprirlo. Dovette fare parecchia forza, e quando infine ci riuscì, non accadde nulla. Non una goccia. Stava quasi per imprecare quando udì una risata alle sue spalle.

«Ma da dove vieni? lo apostrofò una donna ­Cos’è, hai vissuto su marte?»

«Volevo solo un po’ d’acqua… che c’è di strano?»

«Ci sei tu di strano» continuò a ridere quella.

«Non avete acqua in questi quartieri?» si intromise Rodolfo.

«Mi prendi in giro? A che gioco giocate voi due eh? Volete acqua? Laggiù c’è l’autoclave»

«Autoclave? E da quando?»

«Ah… andiamo bene­ continuò lei con un tono sempre più strafottente. Rodolfo stava già pensando che se non fosse stata una donna gli avrebbe già sferrato un pugno ­Ora non mi verrete mica a dire che da voi c’è ancora l’acqua potabile! Ma non l’avete letto il decreto? Son passati tre mesi mica tre giorni! Qui è tutto contaminato. L’acqua mica puoi berla come ti pare. Vai all’autoclave, fai vedere il documento, tira fuori i soldi e smetti di prendere in giro la gente» concluse alzando i tacchi.

«I soldi? esclamò Jacopo, ma lei era ormai lontana e non potè, o non volle, sentire Hai sentito anche tu? Ha detto soldi» disse rivolto all’amico.

Rodolfo abbassò lo sguardo: «Ci lamentavamo a Limite per dover andare al lavatoio o alla fonte… e nel frattempo qui in pianura l’acqua l’hanno tolta del tutto… ma dove stai andando? Che fai?»

L’altro era corso via, per raggiungere un altro passante, poco lontano. Rodolfo non se la sentì di andargli dietro. Restò impalato accanto alla fontana, mentre già un pensiero scomodo cercava di farsi strada in lui. Tentò di ricacciarlo indietro. Non passarono che pochi secondi. Jacopo tornò con un volto grigio.

«Non si può andare nemmeno al fiume…»

«Come?»

«È vietato. Capisci cosa dico? Non si può usare altra acqua se non quella che distribuiscono con l’autoclave! E la fanno pure pagare. Vuoi sapere quanto…»

«No! Non voglio saperlo, basta! Non aggiungere altro, ti prego…»

«Questi ultimi giorni siamo stati sfortunati, ma presto troveremo un lavoro, ne sono sicuro. Se lavoriamo avremo i soldi per l’acqua, il cibo, per tutto….»

«Per tutto? Vuoi dire per tutto quello che a Limite avevamo gratuitamente?» ecco, gli uscì così dalla bocca, senza che nemmeno si fosse reso conto di quello che stava dicendo. L’altro, con sua sorpresa, non replicò.

Nei giorni seguenti parve ai due che una pesante cappa gravasse loro sulle spalle. L’unica occupazione che riuscirono a rimediare fu in una piccola auto-officina. La vita in pianura si basava ancora molto sugli autoveicoli, nonostante tutti i problemi che quel sistema produceva. Le regioni non erano autosufficienti, praticamente nessuno coltivava nè allevava, almeno non lì in città. Tutti dipendevano da qualcun altro per la propria sussistenza, spesso da qualcun altro che non era fisicamente vicino. I trasporti continuavano quindi ad essere il punto nevralgico (e vulnerabile) del sistema. Dopo la catastrofe le industrie erano state colpite duramente. Ora riuscire a riparare un guasto meccanico e far durare il più possibile qualunque strumento – veicoli in primis – era diventato quasi un’arte. Nei pochi giorni che seguirono, Rodolfo e Jacopo ne videro di tutti i colori in officina. Toccare con mano la fragilità di quel sistema basato ancora sui mezzi di trasporto fu per loro una sorta di epifania. Per non parlare dell’approvvigionamento dei carburanti, altra questione colossale che non si azzardarono nemmeno ad approfondire.

L’aver trovato finalmente un lavoro, pure se molto distante da quelle che erano state inizialmente le loro aspettative, non produsse neppure un barlume di quella tranquillità in cui i due avevano sperato. Si domandarono a lungo il perché, inizialmente senza venirne a capo.

Da un lato i due imparavano in fretta (specialmente Jacopo che era ingegnere) e ogni giorno si convincevano sempre più che quel lavoro, per quanto sporco, stancante e poco dignitoso per due che avevano importanti titoli di studio, era davvero qualcosa di necessario per la città. Come tale avrebbero dovuto sentirsi sicuri: erano in un certo qual modo due lavoratori “indispensabili”. La paga non era male. Eppure non ne erano soddisfatti. Anzi, avvertivano in modo inconscio che dedicare il loro tempo ad ossequiare quel modo di pensare, implicitamente rendeva sempre più insormontabile l’ostacolo che il sistema opponeva al suo stesso superamento. Pensare che quel lavoro fosse indispensabile di fatto impediva loro di vedere quante fossero in realtà le possibilità di cambiamento. Che poi era quello stesso cambiamento che i limitesi avevano intuito (e messo in opera) anni prima.

Lentamente stavano maturando una sensazione strana: che le loro vite non appartenessero più a loro. Ora lavoravano, ma da un momento all’altro avrebbero potuto perdere il lavoro per qualsiasi motivo. Ora guadagnavano, ma da un momento all’altro i beni che potevano comprare avrebbero potuto non esserci più. Vestiti, cibo, ora perfino l’acqua, arrivavano chissà da dove. I collegamenti erano sempre più a rischio. Non tutti i guasti ai veicoli sarebbero stati riparabili, e i carburanti non sempre erano disponibili. Che futuro potevano avere?

Un giorno il proprietario dell’officina disse loro: «Dovreste trovare il modo di liberarvi di quel carro un giorno o l’altro». Jacopo infatti aveva chiesto di poterlo lasciare lì, dato che non avevano un posto dove tenerlo. Subito dietro l’officina c’era un piazzale abbandonato che ora il proprietario usava come rimessa, e che lentamente stava diventando un cimitero delle auto. Il fatto era che non era prudente disfarsi di un veicolo, anche se non più riparabile. Si poteva sempre usarlo per ricavarne pezzi di ricambio, così le carcasse di auto si moltiplicavano e probabilmente il proprietario cominciava a non tollerare quel carro di legno che riteneva inutilizzabile e che per di più occupava spazio.

«C’è un mucchio di rifiuti di plastica da portare in discarica – aveva detto l’uomo rivolto a Jacopo – perché non fate un carico col vostro carro? Troviamo il modo di legarlo a mo’ di rimorchio e così buttate via carro e plastica insieme».

«D’accordo» replicò Jacopo svogliatamente. Il suo cervello non aveva ancora fatto due più due. Ma quando vide lo sguardo di Rodolfo accendersi mentre diceva: «Vengo anche io a darti una mano» iniziò a capire che l’altro aveva qualcosa in mente.

«Avranno anche rottami di ferro in discarica ­ gli disse Rodolfo appena lasciata l’officina Quanti soldi hai con te?»

«Ma che diavolo… non starai pensando…»

«È l’unica cosa sensata da fare… riflettici Jacopo»

«Non se ne parla neppure, no…»

Però il tarlo ormai si era insinuato. Quel pensiero scomodo si faceva sempre più strada. Man mano che si avvicinavano alla discarica prendeva forma ed era sempre più difficile scacciarlo via. Ma davvero sarebbe stata una buona idea tornare sull’altopiano? E per di più usando i loro risparmi per comprare il ferro… era una decisione da cui non sarebbero più potuti tornare indietro, questo lo intuivano entrambi.

«E poi come torniamo in officina? Dove nascondiamo il carro col ferro?» chiese Jacopo.

«Non torniamo in officina, questo mi pare evidente! Non possiamo, non se facciamo questo passo. Si torna subito alla cascina in periferia, e speriamo che il cavallo ci sia ancora!»

«Che vuoi dire? Se pensi di spingere un carro pieno di ferro fino a Limite sei matto»

«Vorrà dire che se non c’è il cavallo uno di noi va a piedi a chiamare gli altri, e uno resta a far da guardia alla cascina».

Alla fine, quasi senza rendersene conto, si erano trovati a pensare a come risolvere praticamente tutti gli imprevisti che erano venuti loro in mente. Nessuno dei due aveva esplicitamente detto che la decisione ormai fosse presa, ma alla resa dei conti, quando arrivarono alla discarica chiesero subito il prezzo dei rottami di ferro. Fecero due conti, volume, peso, costo, e in breve decisero.

Sulla via del ritorno risolsero anche il problema di come comportarsi col capo officina. Con l’auto trainarono il carro cercando di avvantaggiarsi già rispetto al tragitto che avrebbero dovuto compiere poi a piedi fino alla cascina. Poi sganciarono il carro, Rodolfo attese lì, mentre Jacopo riportava l’auto in officina. Non vedendo il carro ed essendo ormai a fine orario di lavoro, non ci furono troppe domande. Non dovette nemmeno giustificare l’assenza di Rodolfo.

Appena lasciata l’officina tornò a piedi al luogo dove Rodolfo lo stava aspettando. E così iniziò la fuga.

III

Camminavano da diverse ore e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Il carro era davvero pesante. Se da un lato erano contenti di aver potuto recuperare una buona quantità di rottami di ferro, dall’altro si avvidero ben presto che quel tracciato che, quando erano arrivati, era sembrato loro pianeggiante, adesso non lo era affatto. La decisione di partire di sera, per dare meno nell’occhio, aveva avuto come conseguenza di evitare il sole che iniziava a far sentire il suo calore, ma nonostante tutto procedevano comunque lentamente. Giunsero nei pressi della cascina diroccata che era già buio. Anche loro, come già era accaduto a Gemma e Cosimo, vennero salutati in anticipo dal nitrire del cavallo che, non si sa come, aveva avvertito la loro vicinanza. Fu il più bel suono che le loro orecchie avessero udito da che erano in città. Non solo significava che gli altri due avevano avuto fiducia in loro lasciando il cavallo ad aspettarli, ma anche che buona parte della loro fatica era conclusa. Si gettarono a terra esausti e dormirono profondamente accanto al cavallo, incuranti della puzza di quel ricovero di fortuna.

All’alba vennero svegliati dalla luce che sorgeva e decisero di incamminarsi quanto prima verso l’altopiano. Assicurarono il cavallo al carro e si cambiarono, tornando ad indossare i vestiti tessuti a mano dei limitesi. Poi presero a salire in collina. Ci volle quasi tutto il giorno. Stremati, arrivarono in vista dell’altopiano solo nel tardo pomeriggio.

I primi ad accorgersi di loro furono i bambini.

Non appena uscirono dal bosco di castagni, il selciato pietroso rivelò la loro presenza ai piccoli, da sempre attenti ad ogni suono della natura. Gli zoccoli del cavallo sui sassi e il rumore di ferraglie che il carro faceva su quella via sconnessa si potevano udire anche a distanza. I bambini capirono subito cosa stava accadendo, alcuni di loro corsero gridando a tutti quella incredibile novità. Di lì a poco Rodolfo e Jacopo videro venirsi incontro praticamente il villaggio intero, Consiglieri e Custodi in testa.

Quante erano le cose che Maso e gli altri avrebbero voluto dire in quel momento! Avvertivano mille e mille emozioni dibattersi nei loro cuori: gioia per vederli tornare, vergogna per aver dubitato di loro, dubbi su quanto comunque non capivano e forse mai avrebbero capito… e chissà cos’altro. Ma questo turbinio di pensieri ebbe il solo effetto di bloccare completamente la loro facoltà di parola. Non riuscirono a fare altro che a sorridere, mentre accoglievano i due a braccia aperte.

A Maso parve che anche Rodolfo e Jacopo volessero parlare, ma che le loro labbra fossero incapaci di formare qualsiasi suono. Solo dopo un po’, accostandosi a Jacopo, Maso lo udì dire le parole più belle che potesse sperar di sentire: «Siamo t-tornati… – balbettò – Siamo a casa!»

***

Ci vediamo a Limite, tra due mesi, con il prossimo racconto.

Non mancare!