Crescita: un’illusione nefasta

da | 29 Ago 2012

Sintetizzando le riflessioni svolte da Guido Ceronetti sulla decrescita felice nell’articolo pubblicato su La Stampa il 19 agosto, Irene Tinagli ritiene di aver letto che per realizzare questa prospettiva «molto affascinante e per certi versi romantica», bisognerebbe «separare i bisogni essenziali da quelli che non lo sono e i beni prodotti per soddisfare bisogni reali da quelli fatti solo per generare profitto, ovvero i “commerci”». Ma questa distinzione «non è così netta come si possa pensare (senza contare l’inquietante scenario in cui qualcuno decide cosa è essenziale per la gente e cosa non lo è)». Poiché le riflessioni sulla decrescita espresse da Ceronetti sono nate da lunghe conversazioni con me, posso rassicurarla che non abbiamo mai teorizzato le cose che lei scrive.

Il cibo che si butta soddisfa bisogni essenziali o superflui? Secondo una notizia pubblicata dall’Ansa il 23 agosto le famiglie americane ne buttano via annualmente circa il 40 per cento. Per non parlare di quello che si spreca prima di arrivare nelle loro case. In Italia il cibo che finisce nei rifiuti ha un valore pari al 2 per cento del Pil. Se tornassimo a essere saggi e non ne buttassimo più, non diventeremmo più poveri, il Pil decrescerebbe e diminuirebbero i rifiuti. L’energia che si consuma nelle nostre case è il triplo di quella che si consuma nelle peggiori case tedesche, il decuplo di quella che si consuma nelle migliori. L’energia che si spreca in una casa mal costruita e mal coibentata soddisfa un bisogno essenziale o superfluo? Se ristrutturassimo le nostre case riducendo le dispersioni termiche, spenderemmo di meno per avere un migliore comfort e ridurremmo le emissioni di anidride carbonica. Saremmo più poveri? Ne deriverebbe un peggioramento o un miglioramento delle nostre vite?

La distinzione di cui parlava Ceronetti è tra il concetto di merci: oggetti che si scambiano con denaro, e il concetto di beni: oggetti che rispondono a un bisogno o soddisfano un desiderio, anche superfluo, dipende dai gusti. I due concetti non sono coestensivi. Ci sono merci che non sono beni, si pagano ma non rispondono né a bisogni né a desideri: il cibo che si butta, l’energia che si spreca (a proposito, lo sa che è almeno il 70 per cento di tutta quella che utilizziamo?). Ci sono beni che si possono ottenere solo sotto forma di merci: quelli a tecnologia evoluta: il computer, la risonanza magnetica, o che richiedono capacità artigianali specializzate. Ci sono beni che si possono più vantaggiosamente autoprodurre anziché comprarli sotto forma di merci: molti prodotti alimentari: costano di meno, sono più freschi, non fanno consumare energia per il trasporto, non hanno imballaggi. E ci sono beni che non si possono ottenere sotto forma di merci: i beni relazionali (quanto tempo si sottrae agli affetti per dedicarlo alla produzione di oggetti inutili o addirittura dannosi?).

La decrescita si realizza riducendo la produzione e il consumo di merci che non sono beni e aumentando la produzione e l’uso di beni che non sono merci. Niente a che fare con le rinunce e il pauperismo. La prima strada richiede l’uso di tecnologie più evolute: per fare una casa che non spreca energia ci vogliono tecnologie più avanzate di quelle che occorrono per fare una casa dissipativa. Queste tecnologie, finalizzate a ridurre il consumo di risorse a parità di prodotto e a recuperare tutte le materie prime contenute negli oggetti dismessi, sono le uniche in grado di creare occupazione nei paesi industrializzati. Non un’occupazione purchessia, ma un’occupazione utile che, inoltre paga da sé i suoi costi perché ammortizza le spese d’investimento con i risparmi sui costi di gestione che consente di ottenere. E quindi non fa crescere i debiti pubblici. La seconda strada richiede il recupero di capacità manuali che ci rendono meno dipendenti dal mercato per soddisfare tutte le nostre esigenze vitali, e la riscoperta dell’importanza di relazioni umane significative e collaborative. Le due caratteristiche in cui si realizzano le qualità migliori della nostra specie.

Maurizio Pallante