Ogni volta che provavo a riflettere su decrescita, tre erano le cose che mi venivano sistematicamente alla mente: 1) la prima, la concettualizzazione di un paradosso, per certi versi di un ossimoro, che non riuscivo a spiegarmi ma che si esprimeva bene in decrescere per crescere. Questa concettualizzazione è comune a molte persone, soprattutto quando sentono parlare per la prima volta di decrescita; 2) consegue dal primo punto l’esigenza di spiegare la ragione per cui, sentendo parlare di decrescita (accompagnata o meno da altri elementi che la completano), in molti parlanti quel senso di disagio o di diffidenza si palesa; 3) l’impressione, stavolta guardando ai contesti in cui il termine è impiegato, che decrescita non viaggi mai solo, e questo anche quando il termine non figura accompagnato da altre espressioni: ciò che intendo dire è che la parola sembra attivare una costellazione fatta di più elementi che si legano concettualmente tra di loro e che questa associazione è più stretta che nel caso di tantissime altre parole-concetto. Se non si tratta di una considerazione peregrina, allora anche di questo occorre spiegare le cause.
Servendomi dei soli strumenti di cui mi senta padrona, quelli che consentono di maneggiare la lingua, ho iniziato uno scavo nel presente e nel passato.
Nel presente e nel passato prossimo ho cercato la prima occorrenza, i segmenti contenenti decrescita che con maggiore frequenza ricorrono nei testi accessibili nel web; nel passato, prossimo e remoto, il legame con crescita e con il verbo da cui entrambi si sono formati, crescere; lo sguardo al passato si è spinto prevedibilmente fino al latino, lingua in cui la semantica dell’antecedente di crescere si è consolidata. In ultimo, sono ridiscesa lungo la storia linguistica così da saldare le due estremità temporali considerate servendomi di anelli di congiunzione a volte ovvi, a volte più sorprendenti.
Quanto ho detto, a sintesi programmatica del lavoro svolto sulla parola, lavoro che ora passo a illustrare.
Il presente
La consultazione del Grande Dizionario dell’Italiano dell’Uso (GRADIT), il maggiore repertorio lessicografico per l’italiano dell’uso contemporaneo, riporta per
decrescita: la marca d’uso CO (comune); il 1962 in U. Eco, Opera aperta, la prima attestazione scritta rilevata; la formazione a partire da crescita, di cui è derivato per mezzo del prefisso de; il significato di ‘diminuzione della crescita, inversione della crescita, decremento’.
Di questo de, che ha consentito di ottenere decrescita a partire da crescita, si può dire che
«[…] era già ben noto e usato per creare parole nuove ai tempi dei nostri padri latini. Aveva e ha valore di allontanamento, abbassamento, movimento dall’alto verso il basso; “ha, tra gli altri, valore genericamente privativo, e in questo senso è molto usato nella lingua contemporanea […] indica separazione, sottrazione, diminuzione di quanto è indicato dal verbo o sostantivo stesso […]”»
(<http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/parole/delleconomia/decrescita.html>).
Ancora seguendo la scheda lessicografica di Treccani.it si può affermare che il neologismo decrescita fin dalla sua creazione si è andato perciò ad inserire «in una serie di prefissati con de- chilometrica e potenzialmente infinita, formati a partire da verbi (nella maggioranza dei casi), sostantivi e aggettivi». Per dirla con la morfologia, e con un altro de, si tratta di formazioni deverbali, ottenute dunque muovendo da verbi.
Nel caso qui considerato questo verbo è
decrescere, anch’esso forma del lessico comune (CO), impiegato da prima del 1294, continuazione del lat. decrescere e significante ‘diminuire progressivamente, calare di volume, di dimensione, di quantità, di numero, di intensità’.
Oltre a decrescita gli altri deverbali da questo stesso verbo sono (mi limito a elencarli e a corredarli di informazioni minime):
decremento: comune (CO); 1494; ‘il decrescere, diminuzione, calo’; termine specialistico (TS) ‘decremento numerico’;
decrescendo: come termine specialistico (TS) nella musica ‘un tipo di indicazione nelle partiture’;
decrescente: come termine specialistico (TS) in matematica ‘un tipo di funzione’;
decrescimento: comune (CO); av. 1342, derivato di decrescere con -mento;
decrescenza: comune (CO); prima attestazione nel 1869, dal lat. decrescentiam, ‘il decrescere e il suo risultato, decremento, decrescimento, diminuzione’;
(da GRADIT).
Il primo e l’ultimo sono molto più che collegati; lo spiegherò meglio più avanti.
Il passato remoto.
Passo ora, infatti, all’antecedente latino del termine, il latino decrescere, da cresco, all’infinito crescere ‘spingere crescere’ e quindi anche ‘nascere (nel senso di giungere all’esistenza)’; in senso figurato ‘aumentare, moltiplicarsi’ (l’italiano ha perciò continuato due forme latine). Il suo participio passato, cretus, era usato solo in poesia con significato equivalente a quello di natus. Il corrispettivo transitivo del verbo è creo e creber è il suo aggettivo.
Altri termini da cresco
crementum ‘crescita’, ma anche ‘ciò che fa crescere’
crescentia ‘crescita’
accresco (accretio) ‘accrescersi’
concresco (concretus -us): ‘formarsi o accrescersi per consolidamento di materiale’
decresco (decrementum) ‘decrescere’
excresco, excrescentia, excrementum ‘essere prominente, diventare alto per la crescita’
incresco, incrementum ‘ingrandirsi’
procresco ‘crescere in avanti, spingere’
recresco ‘cresco all’indietro’
succresco ‘crescere sotto’
(Ernout-Meillet).
Che considerazioni si possono fare?
Crescere e decrescere sono parole già in uso in latino; crescita e ovviamente il recente decrescita no. Sono formazioni posteriori, costituitesi in seno alla lingua italiana.
Giù lungo la storia
Crescita è assente nel primo dizionario storico dell’italiano antico (TLIO), né nel Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612); compare invece nel Tommaseo-Bellini, ritenuto il primo dizionario dell’Italia unita, perciò dell’italiano moderno. In questo dizionario la famiglia della crescita si trova interamente e crescita è così definita
s.f. ‘atto del crescere, ma nel senso materiale, e del crescer non poco nel genere suo. Le piante fanno crescita’. In altri dialetti e forse anco in Toscano. Il pane, Una minestra fa crescita, quando son cotti; prova di buona qualità
GRADIT riporta il 1765 come prima attestazione e marca il termine come AD, di alta disponibilità, cosa che sorprende perché nell’italiano contemporaneo ci si aspetterebbe di trovarlo tra i termini comuni.
Due le domande a cui dover rispondere? 1) dal punto di vista della morfologia, come si è formato? e 2) in quale ambito si è formato, anche in considerazione del fatto che ad oggi sembra essere “solo” un termine di alta disponibilità.
Morfologicamente il sostantivo crescita si forma da un participio analogico di crescere: non da cretus (da cui crementum), però, ma da crescitus (da cui decrementum). Il “doppione” si spiega bene nel contesto del latino che aumenta la lunghezza delle quando a rischio di comprensione perché troppo brevi dal punto di vista fonetico. Per quanto riguarda l’ambito di formazione, mi sento di ipotizzare una genesi nei linguaggi specialistici (biologia?), anche alla luce dei significati riportati nel Tommaseo-Bellini, ancora di tipo concreto.
Nel Grande Dizionario della Lingua Italiana di Battaglia (GDLI) il lemma ovviamente è attestato ma manca stranamente ogni indicazione sulla prima attestazione. Si legge
Crescita, s.f. ‘Il crescere, l’effetto del crescere; sviluppo naturale (di un uomo, di un animale, di una pianta o di un loro organo, di una loro parte)’. Anche: ‘il periodo in cui avviene lo sviluppo fisico e intellettuale dell’uomo (infanzia e adolescenza)’. […]
– In particolare: ‘aumento’. Essere in crescita: ‘essere in aumento’ […]; ‘L’alzarsi, il sollevarsi’. – In particolare: ‘l’alzarsi del livello delle acque di un fiume o del mare’ (GDLI).
Dallo stesso participio è stato fatto anche il sostantivo maschile
Créscito sm antico. Crescito del libro: frase usata nella pratica commerciale antica per indicare che in un registro della contabilità i debiti superano i crediti (GDLI)
interessante esempio di crescita negativa, a meno di non voler adottare la prospettiva del creditore…
E il nomen agentis
Crescitore, sost. e agg. ant. ‘che fa crescere, che accresce, che fa sviluppare’ (GDLI);
Crescita è perciò parola relativamente recente che solo in epoca ancor più recente ha guadagnato spazio nel repertorio linguistico, a carico di altre forme corradicali.
Prima di giungere alle conclusioni, riguardanti il rapporto con decrescita, passerò a considerare la situazione di
Alcune altre lingue (esempi minimi).
L’inglese per ‘decrescita’ usa degrowth, modellato su growth, di matrice germanica, attestato dalla metà del XVI secolo.
Per il suo contrario avrebbe potuto usare decrease, da una forma anglo-francese che ha continuato crescere, attestato dal tardo XIV secolo, ma la scelta avrebbe avuto un impatto inferiore a degrowth, perché il termine sarebbe stato sentito come qualcosa di altro quand’anche collegato da un comune riferimento.
Da degrowth è stato successivamente derivato degrowthists ‘i decrescisti’, i fautori del degrowthism, il decrescismo, parola peraltro attestata anche in italiano, insieme a decrescitismo (ancora una volta con la stessa oscillazione morfologica che spiega crescito/a come doppione di creto/a).
In francese il concetto è reso con décroissance, termine attestato dalla metà del Trecento, dal punto di vista formale probabile continuazione del latino crescentia. È attestato anche décroissantisme,
In spagnolo decrecimiento, ma è attestato anche decremiento: i participi “doppioni” di latino decrescere sono entrambi continuati.
Nessi ricorrenti
Passo ora, tornando all’italiano, all’analisi dei nessi in cui decrescita si trova impiegato.
«Il termine decrescita si accompagna talvolta ad alcuni aggettivi, in espressioni come decrescita sostenibile o decrescita felice (in francese, anche objection de croissance un gioco di parole con obiezione di coscienza)» (http://en.wikipedia.org/wiki/Degrowth)
«Il pauperismo evoca idee di uggiosa rinuncia. La rinuncia, anche se per forza di cose implicata dal pensiero della decrescita, non è slogan accattivante. Ecco perché la decrescita da Latouche è presentata come serena (Petit traité de la décroissance sereine, 2007; it. 2008), quella di Maurizio Pallante addirittura come felice (La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal PIL, 2005)»
<http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/parole/delleconomia/decrescita.html>
Una ricerca non sistematica attraverso Google ha restituito come forme più attestate
decrescita serena (+)
decrescita felice (+)
la politica della decrescita (=)
il modello della decrescita (=)
la via della decrescita (=)
la scommessa della decrescita (=)
bibliografia della decrescita (+)
gli asini della decrescita (-)
villaggio della decrescita (+)
artigiani della decrescita (+)
la città della decrescita (+)
fiera della decrescita (+)
la suggestione suicida della decrescita (-)
laboratorio itinerante della decrescita (+)
elogio della decrescita (+)
precursore della decrescita (+)
(dove con il segno mi riferisco al fatto che nella maggior parte dei contesti esaminati il nesso è impiegato con accezione positiva; con accezione negativa; con accezione ora positiva ora negativa).
Manca il nesso il colore della decrescita, che coinciderebbe ovviamente con una sfumatura di verde: verde decrescita, una tonalità che si potrebbe creare così da cementare il campo concettuale anche con un indicatore di impatto figurativo.
Perché campo concettuale? Perché, come ho detto in apertura, nel caso di questo termine sembra quasi inevitabile l’attivazione, al suo ascolto/lettura, di una costellazione di termini e di significati, espressi e non. Una catena associativa molto forte comprendente: decrescita-verde-economia-responsabilità-ambiente-sviluppo e, ovviamente, sostenibile.
Analogamente: crescita evoca capitalismo, profitto e, altrettanto ovviamente, insostenibile.
Al sentirne uno mentalmente la trafila si attiva per intero (come nel testo in appendice).
Al sentire crescita in un certo numero di parlanti si attiva, senza che se ne sia consapevolezza, una componente valoriale positiva; al sentire decrescita nella maggior parte dei parlanti si attiva, senza che se ne sia consapevolezza, una componente valoriale negativa.
Perché?
Crescita, decrescita e immaginario.
Credo che la ragione di ciò sia da ricercare negli effetti di un’“interferenza” di natura cognitiva, avente a che fare con l’abitudine a riportare le cose nella logica del quadrante in cui la nostra specie ripartisce lo spazio assegnando (valenza culturale che si innesta su un dato percettivo) valenza positiva (+) a ciò che sta in alto o davanti perché si vede e a ciò che sta a destra per via della dominanza manuale per la maggior parte dei nostri simili coincidenti con la mano destra.
Di ciò resta traccia anche nella semantica delle parole, quando in qualche misura connesse con una di queste dimensioni. E per crescita è così.
I suoi tratti distintivi si possono schematizzare in
+ verso l’alto
+ spinta
+ miglioramento
+ positivo
Specularmente decrescita si caratterizzerà per i tratti
– verso l’alto
– spinta
– miglioramento
– positivo
La crescita verso l’alto, la decrescita verso il basso: un sentimento involontariamente negativo per ragioni di abitudini condizionate da elementi di natura cognitiva. Per abitudine ad associare valori positivi o negativi a dimensioni concrete spiegabili in principio con il riferimento alla stazione eretta e al piano parallelo al suolo che si realizza aprendo le braccia. Per la stessa ragione che porta in molte culture a collocare in alto il “paradiso” e in basso l’“inferno” o a ritenere pericoloso scendere dal letto con il piede sinistro.
Seguendo la stessa logica e rapportando la coppia di termini all’opposizione destra-sinistra troveremmo, seguendo lo stesso ragionamento, a destra crescita e a sinistra decrescita.
Sostenibile a chi?
Un accenno, infine, a sostenibile, che mi limito a trattare solo per quanto apporta a crescita e a decrescita rispettivamente.
In sintesi, e per provocare: il dibattito sulla crescita sembrerebbe condensarsi in un gioco di prefissi sottrattivi ballerini, che muovono valori extralinguistici opposti a seconda di come si dispongono rispetto ad una coppia di parole
Crescita insostenibile e decrescita sostenibile
con sostenibile marcato (meno naturale nel senso con cui in linguistica ci si riferisce ad un elemento che, nell’ambito di una coppia, si oppone all’altro perché rispetto a quello si caratterizza per essere uguale in tutti i tratti ad eccezione di uno) perché si lega a decrescita, e insostenibile non marcato (più naturale) perché legato a crescita.
Nel gioco della morfologia naturale non c’è spazio per il dubbio: la crescita è insostenibile.
Attenzione però alla plastificazione, all’abuso (si pensi a quanto accade con tragedia, dramma, etc.), che finirebbe per rendere il termine un relitto inquinante e di certo poco sostenibile…
Appendice
Esempio di costellazione
da Corriere.it del 16.01.2013
http://www.corriere.it/ambiente/13_gennaio_16/ca-foscari-venezia-universita-piu-green-italia_dbb57ae0-5f25-11e2-8d79-cb6cdb3edff8.shtml
Ca’ Foscari è l’università italiana più green
Ma al mondo è solo al 90mo posto
Esaminati efficienza energetica, insegnamenti sostenibili, edilizia, mobilità, ricerca e didattica
Per le sue politiche green l’Università Ca’ Foscari di Venezia è il primo ateneo italiano nella classifica internazionale stilata da GreenMetric sulla base di un questionario elaborato dalla Universitas Indonesia che valuta l‘efficienza energetica e gli insegnamenti sostenibili, prendendo in considerazione parametri quali l’edilizia, la mobilità, la ricerca, la didattica. L’ateneo veneziano, pur piazzandosi alla testa di tutti gli atenei e politecnici della nostra nazione, risulta però soltanto al 90° posto sulle 215 università partecipanti al ranking.
PRIMO IL CONNECTICUT – Oltre allo scontato gruppo di università anglosassoni che occupano i vertici della classifica (il primo posto è dell’Università del Connecticut, il secondo di quella di Nottingham e il terzo del College Cork dell’Università nazionale irlandese), a precedere i nostri atenei sono decine di istituti universitari di tutto il mondo, compresi quelli asiatici di Taiwan, Malesia, Indonesia, Thailandia, o quelli brasiliani e dell’Ecuador in Sudamerica. Segue in classifica a ridosso di Ca’ Foscari, il Politecnico di Milano e, in posizione più arretrate, l’Università di Bari, il Politecnico di Torino, l’Università politecnica delle Marche e l’Università di Trieste.
GESTIONE EFFICIENTE – Il ranking mira a fornire un quadro delle misure e delle politiche attuate in merito alla sostenibilità nelle università e allo stesso tempo vuole spingere i diversi atenei a impegnarsi maggiormente nella lotta ai cambiamenti climatici globali, in una gestione efficiente di acqua ed energia, nel riciclo dei rifiuti e nelle modalità di trasporto sostenibili. L’importante risultato di Ca’ Foscari è stato raggiunto in particolare grazie alla realizzazione di considerevoli interventi di miglioramento dell’efficienza degli edifici esistenti, alla migliore valorizzazione dell’offerta formativa in chiave di sostenibilità e alla ricerca che si sta sviluppando sempre più sui temi sostenibili. Sono infatti oltre un centinaio gli insegnamenti di Ca’ Foscari che si distinguono per contenuti e strumenti sostenibili. «Siamo gli unici in Italia ad avere indicato le linee guida su come si fa un ateneo sostenibile», spiega Chiara Mio, delegata del rettore e docente di management della sostenibilità, «e nel piano di credito formativo degli studenti rientrano anche le competenze sulla sostenibilità».
POSIZIONE DA MIGLIORARE – All’obiezione che comunque il 90° posto su 215 atenei la dice lunga su quanta sia ancora la strada da percorrere, la docente risponde: «Certamente c’è ancora tanta strada da fare. Dobbiamo proseguire con questo approccio strategico. Abbiamo in programma investimenti in edilizia sostenibile, campus e residenze per studenti. Per fortuna il nostro ateneo ha i conti molto in ordine e anche in tempi di crisi possiamo attuare i nostri programmi e siamo molto ambiziosi di scalare le posizioni». Massimo Spampani
di Francesca Dragotto (docente di linguistica all’Università di Roma Tor Vergata)
Fonte: Giornalisti nell’Erba