Finisce in Parlamento il caso delle tre famiglie No-Tav della val Susa, convocate – su richiesta della Procura – nell’ufficio degli assistenti sociali. Il “problema”: aver permesso ai loro figli minorenni di partecipare a manifestazioni contro l’alta velocità. Immediata la protesta della deputata radicale Elisabetta Zamparutti, che ha presentato un’interrogazione ai ministri della Giustizia e degli Interni: «Emerge uno Stato di polizia – afferma – di cui il governo, se non interviene, rischia di divenire complice». E’ evidente, commenta sul suo blog Claudio Giorno, ambientalista e militante No-Tav della prima ora, che l’onorevole Zamparutti «ha capito lucidamente che qui non si tratta più solo di stabilire se il Tav è utile o inutile, accettabilmente o inaccettabilmente dannoso al territorio attraversato e agli umani che lo abitano: qui e ora si tratta di stabilire quali siano i margini di dissenso lasciati ai cittadini».
Anche se magari la stessa Zamparutti – come Emma Bonino, del resto – non è contraria alla Torino-Lione, grande opera ormai ridotta a un semplice mega-tunnel sotto le Alpi Cozie, senza alcuna giustificazione logica e “sconsigliato” persino dalla Corte dei Conti francese (costi abnormi e benefici inconsistenti) lo strano intervento dei poteri pubblici sui genitori No-Tav – “tenete a casa i vostri figli” – suona come un monito preoccupante: suggerisce «che cosa può essere tollerato e che cosa no, in un’Europa sotto una sempre più stretta tutela di agenzie di rating, Fmi & Bce, nella periferica Italia sempre più schiacciata dal debito pubblico», unico settore in crescita inarrestabile, nonostante «la scure spietata del governo tecnico». Aggiunge Claudio Giorno: «Siamo all’indomani di una domenica», quella consacrata alle “primarie” del centrosinistra, in cui «pare si sia sentito un bisogno quasi vitale di illudersi che la moltiplicazione degli appuntamenti elettorali possa davvero coincidere col rilancio della partecipazione democratica». La verità è che «viviamo il “day after” dell’illusione montata da giornali e Tv che basti la cattiva imitazione del sistema elettorale degli States per poter davvero scegliere, assieme a un leader, anche una “politica altra”, che non sia quella imposta dai “mercati”».
Invece, dobbiamo tornare a fare i conti con la dura realtà quotidiana: «Con i Riva che “o ci consentite di terminare di inquinare Taranto o chiudiamo”, con le banche che rifiutano di versare il dovuto al fisco se non otterranno altre “generose” agevolazioni, con Marchionne che ormai pretende di sostituire i robot con gli operai ma a patto che si auto-riducano ancora i già miserabili salari». E’ in questo quadro desolante che si inserisce «l’ultimo capitolo della colonizzazione interna di una valle dell’estremo nord-ovest», con i genitori invitati – di fatto – a impedire ai propri figli di partecipare alle manifestazioni No-Tav. Che della cosa si stia parlando, aggiunge Giorno, lo si deve soprattutto ad Angela Lano, giornalista valsusina già collaboratrice di “Repubblica”, ora alla guida di un’agenzia che si occupa a tempo pieno della “questione palestinese”: due anni fa, Angela fu fermata in circostanze drammatiche su una della navi della “Freedom Flotilla” abbordate in acque internazionali dai commandos del governo di Tel Aviv. «E’ una donna coraggiosa e non si è certo spaventata quando ha ricevuto la lettera di convocazione da parte dei servizi sociali di zona, su disposizione del Tribunale dei Minori di Torino». Motivazione: “chiarire” la partecipazione di suo figlio Francesco alla distribuzione di volantini No-Tav davanti alla filiale bancaria Intesa SanPaolo di Susa, alla fine di settembre.
Non si è spaventata, Angela Lano, ma si è domandata il perché di tanta pubblica preoccupazione: «Durante quel presidio non sono stati compiuti reati, altrimenti avremmo già ricevuto denunce», ha dichiarato la giornalista a “Repubblica”. «Ma far leva su presunti disagi famigliari dei figli dei No-Tav è assurdo: puntare sui servizi sociali per cercare di colpire il movimento è inaccettabile, e soprattutto preoccupante». Angela evoca scenari inquietanti: le dittature dell’America Latina negli anni ’80 e il famoso film argentino “La notte delle matite spezzate”, dove si racconta del regime che arrestava e perseguitava gli adolescenti che manifestavano per i diritti civili. «Parecchi figli di No-Tav hanno genitori che hanno studiato, che fanno parte di una élite intellettuale in val Susa, e che gli hanno trasmesso certi valori». Alla domanda dell’ex collega che la invita a precisare quali, risponde senza esitare: «Quelli della libertà, dell’azione a favore dei diritti dei popoli oppressi. Mio figlio si è nutrito di queste idee fin da piccolo: gli ho sempre insegnato ad occuparsi del mondo e di ciò che avviene attorno a lui».
Ecco, precisa Claudio Giorno: «Io credo che proprio questo stia diventando “intollerabile” per il potere costituito». In valle di Susa la protesta dura da oltre vent’anni: «Un tempo lunghissimo, in cui il mondo è totalmente cambiato e la crisi economica è divenuta cronica». Perché, proprio come accade nelle guerre, la crisi determina l’impoverimento di fasce sempre più ampie di persone (“il fu ceto medio”) a vantaggio di una casta (sempre più simile a una «cosca») che diventa «sempre più ristretta, e per questo sempre più ricca». Avverte Giorno: «Una situazione così al limite è governabile solo da uno Stato di polizia, che però non potrebbe opporsi efficacemente a una presa di coscienza davvero generalizzata dei propri diritti e degli altrui soprusi: soprattutto, non reggerebbe a una rivolta popolare con le caratteristiche che hanno avuto le cosiddette primavere del Nord Africa», che – al di là della delusione dopo le grandi speranze suscitate– «hanno sicuramente spazzato via una consistente parte delle oligarchie al potere da decenni, e con dinamiche in cui nessuno può sentirsi garantito a priori».
Di conseguenza, oggi non si tollera più la presa di coscienza di certi processi, non si sopportano «le denunce delle continue illegalità compiute in nome dello Stato», così come «la pretesa di mettere in discussione le “scelte” dei governi, della Commissione Ue e soprattutto dei “mercati”». Gli stessi valsusini, continua Giorno, potevano sperare di essere tollerati se la loro fosse rimasta una protesta a carattere locale, “Nimby”. Come ha sostenuto la professoressa Donatella della Porta al Forum mondiale “10+10” di Firenze, se la protesta rimane confinata nello spazio angusto del proprio cortile può sempre essere “governata”: «Lo Stato e le sue articolazioni istituzionali (vaste, ramificate e costosissime) tendono a “includere” chi si oppone». Cosa che – puntualizza Giorno – è capitata puntualmente anche ai valsusini, «con le consulenze offerte ai tecnici, le compensazioni ai politici, il lavoro ai cittadini: un copione scontato che da noi è stato sublimato dalla istituzione bypartisan dell’Osservatorio-Virano».
Una dinamica che, nel passato, «è sempre stata funzionale all’aumento dei costi e quindi all’esplosione del profitto, e con esso dei margini per grandi tangenti», che restano «l’obiettivo primo (spesso unico) delle grandi opere». Ma il permanere del dissenso valsusino, il suo evolversi, il divenire – piaccia o no – una sorta di simbolo per molte altre lotte, non solo italiane, «non può essere oggetto di inclusione, né tantomeno tollerato». E allora, «dopo tanti (non richiesti) proclami sul fatto che la magistratura avrebbe colpito solo i comportamenti dei singoli e configurabili come reati, ecco emergere la cruda verità: siamo arrivati a mettere in discussione un modello educativo ritenuto evidentemente, se non eversivo, quantomeno “inadatto” a formare cittadini consapevoli». Cittadini ben consci del fatto che, «per accedere ai diritti occorre non solo ottemperare ai doveri stabiliti dalla legge» (i ragazzi a Susa non hanno infranto nessuna regola, sennò sarebbero stati denunciati), ma – assieme alle proprie famiglie – devono anche compiere “un atto di sottomissione” a un modello «che non può essere messo “impunemente” in discussione». Ovvero: «Il modello della disuguaglianza crescente, della selezione per censo e appartenenza, dell’obbedienza non più ai principi costituzionali, ma ai decaloghi della Cupola Finanziaria Globale, sempre più insostenibili per la Terra e i suoi abitanti».
di Giorgio Cattaneo
Fonte: Libre