I tempi di profondo cambiamento che stiamo affrontando hanno la loro principale forma espressiva in quella economica. Dalla crisi dei titoli sub-prime americani e alla conseguente esplosione della bolla finanziaria americana, l’espandersi della crisi economica ha raggiunto dimensioni globali. Sono migliaia le persone rimaste senza un lavoro, le aziende in crisi e fallite. Il modello del mondo occidentale è entrato in profonda crisi. Se un modello era basato soprattutto nell’ottenere il proprio benessere tramite il possesso di beni economici, una volta intaccati questi è chiaro che il castello inizi a crollare.

Un crollo quello economico del mondo occidentale che è tangibile con la mancanza di denaro liquido nelle famiglie. Meno denaro, meno consumi. Ma ancor di più meno denaro meno possibilità di rendere possibile l’espletare i bisogni primari: cibo, acqua, casa. In una parola: futuro.

 Il non poter rendere possibile lo sviluppo di questi elementi basilari, ha poi messo in crisi il modello antropologico occidentale. Se un uomo e una donna si possono valutare in base a quanto posseggono o in base a quanto possono spendere per rendere vivibile la loro vita, una volta venuta a mancare questa solida possibilità, viene meno anche la sicurezza di sentirsi uomini e donne degne di questo nome.

 Non a caso colpiscono i casi di suicidio di persone che persi i loro posti di lavoro non riuscendo a trovare altro, si sentono persi e non degni di questo mondo. Davanti a questi drammi immensi, dei quali mi sento solo di tacere, non posso però non volgere un mio atto d’accusa a questo sistema infame, che ha equiparato l’uomo alla sua sola capacità di produrre reddito.

Se non sei capace di avere un reddito, potresti anche essere l’uomo più intelligente e dotato del pianeta, ma non hai molto futuro nella società occidentale.

 Qualcosa si è sicuramente inceppato nel meccanismo. Per fortuna mi sento di dire. Posso dirlo perché anche se questo modello nei suoi anni d’oro ha prodotto la possibilità di tenori di vita alti anche per una classe media, allo stesso tempo ha ingannato questa stessa classe, rovinando quelle future di ogni ordine e grado.

 L’arricchirsi con ogni mezzo e a qualsiasi costo ho prodotto un sub-valore culturale spaventoso, di cui oggi paghiamo solo le iniziali rate. Per prima cosa abbiamo pensato di arricchirci escludendo dal conto il pianeta Terra. Questa prima cosa dovrebbe quantomeno farci venire qualche ragionevole dubbio sulla superiorità della nostra razza. Ma sappiamo benissimo che questa esclusione è stata fatta ragionevolmente. Allo stesso modo, sono state appositamente escluse interi continenti da questa folle corsa. Vedi alla voce Paesi emergenti o alla voce Africa. Continenti, che ora iniziano ad avere le nostre stesse aspirazioni di crescita economica.

 Ma ancor di più, questo arricchirsi negli anni passati ha portato a visioni sempre di breve periodo, avvantaggiando sempre e comunque i furbetti di turno a discapito dei lavoratori onesti. Non si spiegherebbero altrimenti le enormi sperequazioni esistenti nel nostro Paese dove, dati alla mano il 10% detiene la ricchezza a spese del restante 90%. Da dove nascerebbe questa divisione? A mio parere solo e soltanto dalle folli scelte degli anni passati.

Se oggi la disoccupazione giovanile è alle stelle, se i sessantenni sono costretti a trovare lavoro anche fuori dai propri comuni (qualora capitasse) mentre dovrebbero aspettare serenamente la pensione; se i quarantenni e i cinquantenni devono lottare contro le generazioni successive (dei loro figli) per tenersi il loro lavoro e tentare di reinventarsi; Se i trentenni sono in perenne stato di equilibrio tra pseudo contratti a progetto e situazioni economiche al limite della crisi di nervi; se diventa una decisione difficile da prendere il voler mettere su famiglia…allora qualcosa si è veramente rotto.

 Questa rottura, molto globale, può essere vissuta in due modi oppure in due momenti. Il primo momento o il primo modo è quello dello sconcerto, della paura, del senso di vuoto e di fallimento. Tutto quello per cui ho studiato e sudato sembra non valere più. Tutto quello per cui ho creduto giusto sacrificarmi, sembra crollare. Allora sembra che tutto non abbia alcun senso, che sia meglio gettare la spugna. Arrendersi, tanto non cambia nulla. Navigare a vista nel migliore dei casi. Ed è in questo primo momento che si evince tutta la crisi antropologica dell’uomo occidentale. Tutto il suo valore è perso, svuotato. A volte sono anche i familiari – più o meno inconsciamente – a farci sentire così. Se non sei in grado di portare uno stipendio o uno stipendio dignitoso “che uomo o che donna sei?”. “Se non sei in grado di trovare un lavoro e un posto degno in questo mondo, che razza di uomo o di donna puoi essere?”. Questa è una comunissima reazione all’interno di coppie o all’interno di una singola persona. E’ una reazione “normale”, perché da ogni parte del pianeta, ci viene sbattuto in faccia che sei non sei qualcuno, sei niente. E questo essere qualcuno, per la società della crescita ha un metro di misura molto semplice: i soldi che puoi usare.

Ora, questa crisi globale ha messo proprio al centro questo: la mancanza di denaro liquido. Le aziende falliscono principalmente perché non hanno denaro liquido o non gliene viene concesso. La mancanza di tutto questo, è facile da capirsi, come un domino fa crollare tutto. Ed è questo quello che sta accadendo. Nella prima fase, nel primo momento, di fronte a questa situazione, la reazione primaria è la paura, la sofferenza. Si siamo e viviamo un momento di sofferenza a molti livelli.

 Tuttavia, esiste un secondo momento o se vogliamo un secondo passaggio. La crisi, come si evince dalla sua etimologia greca Krisis, significa scelta, discernimento, decisione. Momento di svolta. Ed è quello che stiamo vivendo tutti. E’ un passaggio obbligatorio. Mi verrebbe da dire quasi cosmico, come se il mondo ci stesse dicendo con tutto se stesso che “così non va, non si può andare avanti”. Ebbene in questo secondo momento, emergono o possono emergere le qualità infinite e grandiose dell’essere umano. Possono, non necessariamente devono. E’ bene tenerlo a mente.

 In questo processo, se gli uomini hanno il coraggio di guardarsi con onestà, possono riprendere in mano la loro vita e accorgersi definitivamente che questa loro vita, vale infinitamente molto di più di tutto questo sistema economico che hanno messo in piedi. Possono accorgersi di aver commesso infiniti errori di costruzione e cambiare rotta, insieme. Possono rimettere al centro altre priorità che per almeno quaranta o cinquanta anni sono state messe in secondo o terzo piano, in nome di un benessere che tardava sempre. Possono.

Nel piccolo, sappiamo molto bene che questo già avviene nel Paese Italia. Sono le innumerevoli persone che hanno deciso nel proprio piccolo di ridurre gli sprechi di ogni genere e di riorganizzare la propria vita in altro modo. Color che decidono di affittare un orto, di consumare in modo consapevole Coloro che ritornano alla campagna pur mantenendo un lavoro in città. Coloro che restano in città e tentando di cambiare le cose. Penso a quelle famiglie che se un coniuge perde il lavoro si da da fare per autoprodursi quante più cose possibili e dall’unico (dignitoso) stipendio riescono a ricavare i soldi per un mutuo e per le spese minime e inevitabili. Penso a chi decide di fare co-housing per risparmiare, investire nel futuro e ritrovare una certa convivialità perduta. Penso a chi decide che può vivere con meno soldi (magari perché da solo) e cambia stile di vita e inventa nuovi tipi di lavori. Penso a chi decide di mangiare eticamente e fonda o si affida ad un G.A.S.

 Penso chiaramente a tutti i circolo della decrescita felice, alle loro attività e a tutti i loro simpatizzanti. Un popolo che in questo caso è bene che cresca. Realtà piccole ma che resistono e provano a tracciare percorsi nuovi che dovrebbero essere la normalità. Realtà coraggiose.

 Accanto a queste scelte però mancano quelle fondamentali. Quelle che i signori dell’economia da cattedra chiamano Macroeconomiche. Ho già scritto in passato su alcuni di questi temi, e mi preme qui ribadirli. Molte delle scelte di decrescita felice, possono essere rese vane e inficiate, da alcuni costi fissi o mancanza di minine cose. Sto molto per strada, ascolto e vivo anche sulla mia pelle, come tutti voi, le difficoltà quotidiane. La decrescita felice resta per me sempre l’unica strada percorribile al momento, e vorrei che questa fosse anche l’unica strada che un governo serio decidesse di percorrere. Non si può chiedere a chi decide di ridurre i propri consumi inutili di pagare dei fitti assurdi. Un calmiere dei fitti dovrebbe entrare in una seria agenda politica. I controlli alle abitazioni sfitte, il diritto ad un tetto minino dovrebbe essere una delle priorità di un paese civile. Questo – l’ho scritto molte volte in passato in questo spazio – è un punto cruciale. Si può anche guadagnare di meno, autoprodursi e scambiarsi quante più cose possibili, ma se bisogna sostenere delle spese fisse inevitabili diventa tutto molto difficile. O quantomeno si è costretti a lavorare nuovamente di più, rientrando in un circolo vizioso che allontana da certi stili di vita. Se bisogna pagare seicento euro di fitto (e ci va di lusso) quanto dovrebbe guadagnare una persona o una coppia? E sa ha un figlio? Domande queste, che non possiamo eludere dicendo che si può cambiare zona. Si, vero che si può cambiare, ma non sempre si può trovare. E anche se si trovasse, sappiamo benissimo cosa principalmente si trova: precarietà e sfruttamento. Magari non sempre e non solo per volontà dell’imprenditore. Anzi, ora sembrerebbe che sia una scelta di Stato. Domande, che noi della decrescita felice non possiamo bypassare con molta semplicità. Domande a cui dobbiamo delle risposte, seppur ancora incomplete.

 Da questa piccola osservazione diviene inevitabile passare al tema importante del lavoro. O meglio del lavoro salariato, perché sappiamo bene che lavoro è anche quello di farsi il pane in casa o aggiustarsi una maglia o una scarpa anziché buttarla e comprarne una nuova. Trovare nuove forme di lavoro e nuovi orari di lavoro, con meno tassazione è una delle svolte che questa crisi deve produrre.

Allo stesso tempo non è possibile più tollerare l’elemosina del lavoro odierno. Se siamo ad un punto di svolta, allora un governo serio dovrebbe sedersi al tavolo con i grandi e piccoli industriali e decidere cosa voler produrre, dove e come; tenendo presente le tematiche ambientali, generando così nuovi posti di lavoro e formando nuovi lavoratori.

Sappiamo per esperienza che esistono realtà imprenditoriali di media e piccola grandezza che possono essere delle vere eccellenza per l’Italia. E soprattutto possono essere dei veri esempi per creare posti di lavoro nuovi ed utili, liberando la mente dei tanti giovani e meno giovani, che sono costretti a vedere il loro futuro solo dietro una scrivania o in precari contratti di sfruttamento in qualche Bar, pizzeria o megastore travestito eticamente.

 Il rilancio di aziende che davvero lavorano eticamente e che davvero investono sull’Italia e il serio investimento sul settore agricolo, possono dare una svolta importante alla crisi che stiamo vivendo.

 Queste decisioni, chiaramente possono sorgere dal basso. E già lo sono. Ma devono arrivare e discendere anche da chi è nella stanza dei bottoni. Stanze molto cupe, e soprattutto occupate. Ma il rilancio di questo bellissimo Paese, passa anche da lì.

 La crisi, davvero può essere una vera opportunità per dare una svolta autentica. Sono convinto che in questo momento storico, se agli italiani seri venissero dati gli strumenti necessari per svoltare, per rifare una nuova politica industriale rispettosa dell’uomo e dell’ambiente, questi sarebbero capaci di tirare fuori il meglio che è nel loro animo e nella loro creatività.

 Abbiamo un dovere impellente dentro di noi, che è quello di portare avanti queste idee e di rendere presto concrete. Presto. Perché la crisi sarà anche un’occasione ma è pur sempre causa di sofferenza a più livelli, e l’uomo non è fatto per soffrire.

Alessandro Lauro