Perché non si affronta la crisi ambientale come il coronavirus?

da | 11 Apr 2020

In un video messaggio, Christian Felber, fondatore del Movimento per l’Economia del Bene Comune, si chiede come mai c’è tanta differenza in termini di reattività e risolutezza fra il modo in cui viene affrontata la pandemia di Covid-19 e quello in cui viene trattata la questione climatica e ambientale.

Scritto da: FRANCESCO BEVILACQUA per Italia che Cmbia

Christian Felber è il fondatore del movimento dell’Economia per il Bene Comune, che unisce centinaia di aziende in tutto il mondo e ha l’obiettivo di ridisegnare un modello economico incentrato su solidarietà, equità, sostenibilità ambientale, dignità umana e giustizia sociale. Come tantissimi altri, anche lui in questi giorni ha cominciato a porsi delle domande per capire quale insegnamento possiamo trarre da ciò che sta succedendo oggi a livello mondiale.

Felber parte da un grande punto interrogativo: «Perché – si domanda – i governi dei paesi democratici non hanno reagito ad altre gravissime minacce per la salute umana con la stessa solerzia avuta in occasione della pandemia di Covid-19? Perché i numerosi scienziati che per anni hanno lanciato allarmi in merito ad altri problemi – cambiamento climatico, perdita di biodiversità – non sono stati presi altrettanto seriamente?».

È una domanda che si sono fatti in tanti recentemente, forti anche di dati che alla drammatica incidenza del coronavirus in termini di vite umane, contrappongono una altrettanto drammatica lista di decessi dovuti ai molteplici effetti della crisi ambientale che l’uomo ha contribuito a inasprire.

«Molti penseranno che la differenza la faccia la pressione esercitata dall’emergenza – osserva l’economista austriaco –, ma non è forse un’emergenza riparare ai danni irreversibili che stiamo facendo al pianeta che ci ospita?». Pensiamo per esempio alle morti legate alle fonti inquinanti più diffuse nelle nostre città, come il biossido di azoto e le polveri sottili, che solo in Italia provocano più di 200 morti al giorno.

Una possibile risposta è da ricercarsi nella volontà politica, sia dei governi che delle lobbies e dei gruppi di pressione internazionali. «Il primo insegnamento che possiamo trarre da questa crisi – conclude a questo proposito Christian Felber – è che se esiste la volontà politica si può fare un sacco di cose in un lasso di tempo molto breve» ed è esattamente ciò che è successo in queste settimane.

La domanda che ne consegue è questa: esiste la volontà politica di contrastare il cambiamento climatico e proteggere la biodiversità? «Quando si parla di mancanza di azioni incisive per la crisi ambientale i politici si nascondono in maniera retorica dietro i cittadini, sostenendo che questi non accetterebbero misure estreme ma necessarie. Ma il cambiamento climatico è davvero così poco dannoso rispetto alla pandemia di coronavirus? Nel medio e lungo periodo, la crisi climatica non sarà forse capace di provocare molti più danni al genere umano, alle specie animali e all’ambiente in cui vivono?».

Il vero insegnamento nasce dunque da questa domanda: perché i nostri governanti sono così solerti rispetto a determinati problemi ma così passivi rispetto ad altri? Per avere la risposta forse dovremo aspettare la fine di questa emergenza: la società civile e il mondo economico hanno dimostrato di essere pronti a rispettare provvedimento restrittivi anche molto severi per tutelare la salute comune. Non ci saranno più scuse.