La mobilità nel dopo covid deve essere più sostenibile di prima

da | 1 Mag 2020

Secondo l’OMS, 7 milioni di persone muoiono ogni anno per inquinamento dell’aria. Il Covid è stato facilitato, uccidendo di più laddove le città erano più inquinate. Sia perché il particolato sottile funziona da vettore per i virus (come ipotizzato dal recente position paper della Società Italiana Medici Ambiente e delle Università di Bologna e Bari) sia perché il virus è più letale per gli esseri umani già messi a dura prova dall’inquinamento.

Un contributo di Linda MAGGIORI (*)

Gli scienziati di Harvard hanno scoperto che l’aumento di appena un microgrammo per metro cubo di pm2,5 nell’aria corrisponde ad un aumento del 15 per cento del tasso di mortalità del virus. Ecco perché, si legge proprio nelle conclusioni della ricerca, “è importante aumentare gli sforzi per fermare l’inquinamento da polveri sottili, per proteggere la salute del genere umano durante, ma anche dopo, la crisi della Covid-19”.

Nessuno sa ancora bene quali saranno a lungo termine gli effetti del lockdown sulla mobilità. Sicuramente ha causato una riduzione temporanea della CO2, dell’inquinamento e dei morti per incidenti stradali, ma c’è il rischio che quando l’emergenza di questi mesi sarà rientrata, l’auto personale tornerà più potente che mai.

In realtà il know-how dell’industria automotive è enorme ed estremamente flessibile, e potrebbe essere applicato in tantissimi altri settori utili. Durante la pandemia, in pochissime settimane, alcune industrie automobilistiche hanno convertito la produzione in mascherine e ventilatori polmonari. Nel dopo Covid, le industrie automobilistiche potrebbero ridurre la produzione di auto, diversificare e puntare sulla produzione di bici, bici elettriche, materiale rotabile e mezzi pubblici. La riduzione dell’orario di lavoro permetterebbe di non aggravare la disoccupazione, così come dimostra la previsione al 2030 sviluppata dal Movimento per la Decrescita Felice grazie al cruscotto di simulazione 2Mete, sviluppato con l’Università di Pisa.

Basta volerlo.

Le aziende automobilistiche, però, potrebbero non volerlo. Stanno fiutando l’affare del “tutto auto” nel dopo Covid.

Secondo l’Ipsos, con studi condotti in Cina, l’impatto della pandemia da Coronavirus sta portando ad una sfiducia della popolazione riguardo a bus e metropolitane e una tendenza a comprare nuove auto.

Unico fattore limitante all’acquisto può essere il costo, visto il generale impoverimento della popolazione. L’auto anche in Italia è un pesante costo per la famiglie: ogni anno se ne vanno tra i 5000 e gli 8000 euro tra costo – spalmato in 10 anni –, manutenzione e spese varie; il doppio se la famiglia ha 2 auto. Soldi pagati con ore di lavoro e tempo libero sprecato.

Il coordinamento dell’industria automobilistica europea va all’attacco e chiede un allentamento dei livelli imposti alle emissioni per le nuove autovetture (che sarebbero dovuti entrare in azione quest’anno) e nuovi incentivi alle rottamazioni.

In Lombardia, una delle regioni al mondo più inquinate e più colpite dal Covid, la giunta regionale si è già impegnata a “rinviare a data da destinarsi” le limitazioni sull’acquisto Euro 4, che sarebbero dovute entrare in vigore ad ottobre di quest’anno. A Bologna si è addirittura ipotizzato di trasformare il tradizionale cinema sotto le stelle estivo, in un cinema “drive in”, fruibile solo da chi ha l’auto e dentro l’auto.

L’industria dell’automotive, che pesa oltre il 10% sul PIL italiano, sta quindi facendo di tutto per recuperare una frenata epocale (crollo delle vendite fatte registrare a marzo col -85,4% in Italia e col -56% di produzione).

“L’auto personale insieme a moto e scooter tornerà al centro delle città poiché assicura distanziamento sociale e isolamento”. Afferma speranzoso Michele Crisci, presidente Unrae, Case automobilistiche estere in un’intervista al Sole 24 ore (9 aprile 2020).

Eppure l’Italia è già satura di auto e dovrebbe solo mettersi a dieta.

Con 854 veicoli (di cui 645 auto) ogni mille abitanti (valori in crescita), l’Italia si conferma il Paese europeo a più elevato tasso di motorizzazione. Abbiamo circa 2 o 3 auto ogni famiglia e la maggioranza degli spostamenti entro i 5 km sono compiuti in auto. Grazie a questi primati, abbiamo le città più inquinate d’Europa e un tasso di mortalità stradale (55 morti per milione di abitanti) tra i più alti in Europa (dove la media è 49 morti per milione di abitanti).

Puntare a far crescere il tasso di motorizzazione anche dopo il Covid è folle. Inquinamento, cemento, incidenti, malattie e mancanza di spazio saranno i diretti corollati. I bambini e anziani resteranno esclusi dalle città, rinchiusi come lo sono sempre stati, virus o non virus.


Foto di Erich Westendarp da Pixabay

Quali sono le alternative?

Le bici, in primo luogo. Come diceva Ivan Illich, è il mezzo di trasporto per eccellenza, leggero, sobrio, efficiente, poco costoso, democratico, non inquinante. E per di più, dopo la bufera del Covid, è un mezzo che garantisce il fatidico metro e mezzo di “distanziamento sociale”. Permette inoltre un salutare movimento all’aperto e rafforza le difese immunitarie.

Sempre più città in tutto il mondo si stanno attrezzando con reti ciclabili di emergenza, togliendo spazio alle auto e destinandolo a pedoni e ciclisti: da Bogotà a New York, da Berlino a Bruxelles… A Bruxelles, per garantire il distanziamento sociale, i pedoni e i ciclisti potranno camminare su molte strade dove le auto saranno vietate o costrette a transitare a 20 km/h.

Una tendenza che speriamo si faccia largo anche nelle nostre metropoli. Milano e Roma hanno promesso più spazio ai ciclisti, speriamo che si abbia anche il coraggio di togliere questo spazio alle auto.

Le principali associazioni ciclistiche e varie ong ambientaliste hanno scritto una lettera aperta al premier Conte chiedendo la realizzazione di infrastrutture di emergenza per facilitare la mobilità pedonale e ciclabile, doppi sensi per bici, intermodalità con i mezzi pubblici, incentivi per chi si muove in bici, ampliamento di zone pedonali, ZTL, sosta regolamentata, corsie preferenziali per i mezzi pubblici.

Lo Stato dovrebbe fare un potente piano di investimenti anche per ampliare l’offerta dei mezzi pubblici, aumentando la quantità e la frequenza delle corse, assumendo più personale per i controlli. In questo modo le persone potranno usufruire dei trasporti pubblici senza rischiare il sovraffollamento.

Insieme ad una diminuzione dell’orario di lavoro per tutti i lavoratori, questo investimento permetterà la riduzione della disoccupazione.

Le famiglie, dal canto loro, potrebbero passare da 2 auto a famiglia ad 1 sola auto, o meglio ancora, fare a meno dell’auto. Una scelta che permetterà ampio tempo libero, risparmio economico ingente, e potrà essere agevolata anche dallo smartworking e dal telelavoro, che va mantenuto laddove possibile.

Prima del Covid, l’Italia era all’ultimo posto, tra tutti i 28 paesi europei, in fatto di telelavoro. Una riforma del lavoro equa, basata sulla riduzione dell’orario, sul telelavoro, sulla flessibilità oraria e su un reddito di base universale, garantirebbe meno traffico e una riduzione dell’inquinamento, ma anche una migliore conciliazione del tempo di cura e di lavoro, aumentando il benessere delle famiglie. Nel terzo millennio non si può più essere schiavi del cartellino e dell’auto.

Ridurre il numero delle auto circolanti è un punto fondamentale, anche per rispettare gli accordi di Parigi: dovremmo passare dalle 38 milioni di auto attuali a meno della metà, elettriche e condivise.

La strada proposta dal MDF per la mobilità nel dopo Covid è quindi quella di una riconversione di capitali e tecnologie verso forme di mobilità dolce, pubblica e condivisa, ed una significativa riduzione dell’uso e del possesso privato dell’auto.

(*) Socio MDF e membro del Gruppo Tematico Ecomomia&Decrescita