Traduzione a cura di Olga ABBIANI del Gruppo Internazionale. Presentazione a cura di Mario SASSI del Gruppo Tematico Economia&Decrescita(*)

 

Tra i principali motivi per cui si dice che dobbiamo continuare a crescere, c’è sicuramente quello per cui “il mondo” in generale è ancora troppo povero, sia economicamente che materialmente. In questo breve e splendido articolo, Jason Hickel invece spiega perchè questa narrazione è completamente falsa: da tutti i punti di vista, il mondo non è assolutamente povero, ma è solamente ingiusto.

Dal punto di vista economico, il mondo non è affatto povero, nel complesso, ma il problema è che il reddito è mal distribuito, tanto che l’1% più ricco da solo “cattura” quasi il 25% del PIL mondiale: “se il reddito fosse condiviso più equamente e investito in beni pubblici universali, potremmo porre fine alla povertà globale molte volte e chiudere il divario di salute e istruzione in modo permanente”.

Dal punto di vista di energia e materia, invece, l’economia globale utilizza attualmente il doppio delle risorse che sarebbero necessarie per offrire una buona vita a tutti. “Non c’è scarsità: piuttosto, le risorse e l’energia del mondo sono appropriate (sproporzionatamente dal Sud globale) per servire gli interessi del capitale e dei consumatori benestanti (sproporzionatamente nel Nord globale).”

Il problema è che “il nostro sistema economico non è progettato per soddisfare i bisogni umani; è progettato per facilitare l’accumulazione di capitale”. Al contrario, con un sistema diverso, “potremmo vivere in una società altamente istruita e tecnologicamente avanzata con zero povertà e zero fame, il tutto con molte meno risorse ed energia di quelle che usiamo attualmente…. potremmo non solo raggiungere i nostri obiettivi sociali, ma anche quelli ecologici, riducendo l’uso di risorse in eccesso nei paesi ricchi per riportarli entro i limiti del pianeta, mentre aumentiamo l’uso di risorse nel Sud per soddisfare i bisogni umani.”

Unica nota che ci sentiamo di aggiungere all’articolo è che il sistema è progettato per facilitare non solo per l’accumulazione di capitale, ma anche il consumo di una fetta privilegiata dei “consumatori” del mondo (cioè in gran parte degli abitanti del Nord globale): in questo modo si costruisce il consenso su cui si regge, sia pur sempre più debolmente.

Ecco un altro dei motivi, oltre quelli ambientali, per cui la decrescita è sempre più necessaria!

Qui di seguito la traduzione dell’articolo di Jason Hickel

Il mondo è povero o ingiusto? 

I social media sono stati tempestati da questa domanda di recente. Sappiamo che siamo di fronte a una crisi di povertà di massa: l’economia globale è organizzata in modo tale che quasi il 60% dell’umanità non è in grado di soddisfare le esigenze di base. Ma stavolta la questione in gioco è diversa. Un paio di economisti su Twitter hanno affermato che il reddito medio mondiale è di 16 dollari al giorno (PPA – Parità di potere d’acquisto).  Questa, dicono, è la prova che il mondo è povero in un senso molto più generale: non c’è abbastanza per tutti per vivere bene, e l’unico modo per risolvere questo problema è premere sull’acceleratore della crescita economica aggregata.

Questa narrazione è, tuttavia, ostacolata da diversi problemi empirici.

1. 16 dollari al giorno non è accurato

Per prima cosa, permettetemi di affrontare l’affermazione dei 16 dollari al giorno nei suoi stessi termini.  Si tratta di una significativa sottostima del reddito medio mondiale.  Il problema principale è che si basa su indagini sulle famiglie, per lo più tratte dal Povcal.  Queste indagini sono indispensabili per comprendere il  reddito ed il consumo delle famiglie povere e ordinarie, ma non rilevano i redditi più alti, nè sono progettate per farlo. In effetti, le indagini Povcal non sono nemmeno veramente legittime per rilevare il reddito delle “normali” famiglie ad alto reddito.  Usare questo metodo ci dà un reddito mondiale totale delle famiglie di circa 43 trilioni di dollari (PPA).  Ma sappiamo che il PIL mondiale totale è di 137 trilioni di dollari (PPA).  Quindi, circa due terzi del reddito globale non è contabilizzato.

Cosa si spiega questa discrepanza? Parte del reddito “mancante” è il reddito dei ricchi globali.  Una parte riguarda il consumo legato alle abitazioni, alle ONG, alle case di cura, ai collegi, ecc., che non sono compresi in queste indagini (ma che sono conteggiati come consumo delle famiglie nei conti nazionali).  Il resto sono varie forme di spesa pubblica e fornitura pubblica.

Quest’ultimo punto solleva un problema che vale la pena affrontare.  Il metodo basato sull’indagine mescola dati basati sul reddito e sul consumo. In particolare, conta il consumo senza reddito nei paesi poveri (compresi i beni comuni e alcuni tipi di fornitura pubblica), ma non conta il consumo senza reddito o le forniture pubbliche nei paesi più ricchi. Questa non è una cosa da poco. Consideriamo le persone in Finlandia che sono in grado di accedere gratuitamente all’assistenza sanitaria e all’istruzione superiore di livello mondiale, o i singaporiani che vivono in alloggi pubblici di alto livello che sono pesantemente sovvenzionati dal governo. L’equivalente del reddito di questo consumo è molto alto (si consideri che negli Stati Uniti, per esempio, la gente dovrebbe pagare di tasca propria), eppure non viene riscontrato da queste indagini. Semplicemente svanisce.

Naturalmente, non tutta la spesa pubblica finanzia forniture pubbliche benefiche, perché una gran parte va in guerre, armi, sussidi ai combustibili fossili e così via.  Ma questo può essere cambiato.  Non c’è ragione che il PIL speso per le guerre non possa essere speso invece per la sanità, l’istruzione, i salari e gli alloggi.

Per queste ragioni, quando si valuta la questione se il mondo è povero in termini di reddito, ha più senso usare il PIL medio mondiale, che è di 17.800 dollari pro capite (PPA). Si noti che questo è più coerente con la definizione della Banca Mondiale di un paese “ad alto reddito” ed è anche ben al di sopra di ciò che è richiesto per alti livelli di sviluppo umano.  Secondo l’UNDP, alcune nazioni ottengono un punteggio “molto alto” (0,8 o superiore) sull’indice di speranza di vita con appena 3.300 dollari pro capite, e “molto alto” sull’indice di istruzione con appena 8.700 dollari pro capite. In altre parole, il mondo non è povero, nel complesso. Piuttosto, il reddito è mal distribuito.

Per avere un’idea di quanto sia mal distribuito, si consideri che l’1% più ricco da solo “cattura” quasi il 25% del PIL mondiale, secondo il World Inequality Database.  Questo è più del PIL di 169 paesi messi insieme, tra cui Norvegia, Argentina, tutto il Medio Oriente e l’intero continente africano.  Se il reddito fosse condiviso più equamente (cioè, se andasse ai lavoratori che effettivamente lo producono) e investito in beni pubblici universali, potremmo porre fine alla povertà globale molte volte e chiudere il divario di salute e istruzione in modo permanente.

2. La contabilità del PIL non riflette il valore economico

Ma anche la contabilità del PIL non è adeguata al compito di determinare se il mondo è povero o meno.  La ragione è che il PIL non è un riflesso accurato del valore; piuttosto, è un riflesso dei prezzi, che dipendono dai rapporti di potere nell’economia politica. Lo sappiamo dalle economiste femministe, che sottolineano che il lavoro e le risorse mobilitate per la riproduzione domestica, principalmente dalle donne, hanno un prezzo pari a zero e quindi sono “valutate” zero nei conti nazionali, anche se in realtà sono essenziali per la nostra civiltà. Lo sappiamo anche dalla letteratura sullo scambio ineguale, che sottolinea che il capitale fa leva sui monopoli geopolitici e commerciali per deprimere artificialmente o “abbassare” i prezzi del lavoro nel Sud globale al di sotto del livello di sussistenza.

Permettetemi di illustrare quest’ultimo punto con un esempio.  A partire dagli anni ’80, la Banca Mondiale e il FMI (che sono controllati principalmente dagli USA e dal G7), hanno imposto programmi di aggiustamento strutturale in tutto il Sud globale, che hanno significativamente abbassato i salari e i prezzi delle materie prime (dimezzandoli) e riorganizzato le economie del Sud intorno alle esportazioni verso il Nord. L’obiettivo era quello di ripristinare l’accesso del Nord alla manodopera a basso costo e alle risorse di cui avevano goduto durante l’era coloniale.  Ha funzionato: durante gli anni ’80 la quantità di materie prime che il Sud ha esportato verso il Nord è aumentata, eppure i loro ricavi totali su questo commercio (cioè il PIL che hanno ricevuto per esso) sono diminuiti.  In altre parole, deprimendo i costi del lavoro e delle materie prime del Sud, il Nord è in grado di appropriarsi di una loro quantità significativa effettivamente gratis.

L’economista Samir Amin ha descritto questo come “valore nascosto”. David Clelland lo chiama “valore oscuro” – in altre parole, valore che non è visibile nei conti nazionali o aziendali.  Proprio come il valore del lavoro domestico femminile è “nascosto” alla vista, così lo sono anche il lavoro e le materie prime che vengono espropriate  dal Sud globale.  In entrambi i casi, i prezzi non riflettono il valoreClelland stima che il valore reale di un iPad, per esempio, è molte volte più alto del suo prezzo di mercato, perché gran parte del lavoro del Sud che va a produrlo è sottopagato o addirittura interamente non pagato.  John Smith fa notare che, di conseguenza, il PIL è un’illusione che sottostima sistematicamente il valore reale.

C’è una questione più ampia che vale la pena sottolineare. L’intero scopo del capitalismo è quello di appropriarsi del plusvalore, che per sua natura richiede di deprimere i prezzi dei fattori produttivi a un livello inferiore al valore che il capitale effettivamente ne ricava. Possiamo vederlo chiaramente nel modo in cui la natura ha un prezzo pari a zero o vicino allo zero (si consideri la deforestazione, l’estrazione a cielo aperto o le emissioni), nonostante il fatto che tutta la produzione deriva in ultima analisi dalla natura. Quindi la domanda è: perché dovremmo usare i prezzi come riflesso del valore globale quando sappiamo che, sotto il capitalismo, i prezzi per loro stessa definizione non riflettono il valore?

Possiamo spingere questa osservazione ancora un passo in avanti. Nella misura in cui il capitalismo si basa sull’abbassamento dei prezzi del lavoro e di altri fattori produttivi, e nella misura in cui il PIL rappresenta questi prezzi artificialmente bassi, la crescita del PIL non eliminerà mai la scarsità perché nel processo di crescita la scarsità viene costantemente imposta di nuovo.

Quindi, se il PIL non è una misura accurata del valore dell’economia globale, come possiamo aggirare questo problema? Un modo è cercare di calcolare il valore del lavoro e delle risorse nascoste. Ci sono stati molti tentativi del genere. Nel 1995, l’ONU ha stimato che il lavoro domestico non pagato, se compensato, avrebbe fruttato 16 trilioni di dollari in quell’anno. Stime più recenti hanno stimato un valore molte volte superiore. Tentativi simili sono stati fatti per valutare i “servizi ecosistemici” e arrivano a cifre che superano il PIL mondiale. Questi esercizi sono utili per illustrare la scala del valore nascosto, ma si scontrano con un problema. Il capitalismo funziona proprio perché non paga il lavoro domestico e i servizi ecosistemici (li prende gratis). Quindi immaginare un sistema in cui queste cose siano pagate ci richiede di immaginare un tipo di economia totalmente differente (con un aumento significativo dell’offerta di denaro e un aumento significativo del prezzo del lavoro e delle risorse) e in una tale economia il denaro avrebbe un valore radicalmente diverso. Queste cifre, pur essendo rivelatrici, confrontano mele e pere.

3. Ciò che conta sono le risorse e l’approvvigionamento

C’è un altro approccio che possiamo usare, che è quello di guardare la scala delle risorse utili che sono mobilitate dall’economia globale. Questo è preferibile, perché le risorse sono reali e tangibili e possono essere misurate con precisione. In questo momento, l’economia mondiale usa 100 miliardi di tonnellate di risorse (cioè, materiali trasformati in beni tangibili, edifici e infrastrutture) all’anno. Si tratta di circa 13 tonnellate per persona in media, ma questo calcolo è altamente disuguale: nei paesi a basso e medio-basso reddito è di circa 2 tonnellate, e nei paesi ad alto reddito è un impressionante 28 tonnellate. La ricerca in ecologia industriale indica che alti standard di benessere possono essere raggiunti con circa 6-8 tonnellate per persona. In altre parole, l’economia globale utilizza attualmente il doppio delle risorse che sarebbero necessarie per offrire una buona vita a tutti.

Vediamo la stessa cosa quando si tratta di energia.  L’economia mondiale usa attualmente 400 EJ di energia all’anno, o 53 GJ per persona in media (di nuovo, la misura è altamente disuguale tra Nord e Sud). Recenti ricerche mostrano che potremmo fornire alti standard di benessere per tutti, con assistenza sanitaria universale, istruzione, alloggi, trasporti, informatica ecc, con appena 15 GJ pro capite.  Anche se aumentassimo questa cifra del 75%, per essere generosi, avremmo ancora un media globale di soli 26 GJ. In altre parole, attualmente usiamo più del doppio dell’energia necessaria per garantire una buona vita a tutti.

Quando guardiamo il mondo in termini di energia e risorse concrete (cioè, di approvvigionamento), diventa chiaro che non c’è affatto scarsità. Il problema non è che non ce n’è abbastanza, il problema, di nuovo, è che è mal distribuito. Un’enorme fetta della produzione globale di beni è totalmente irrilevante per i bisogni e il benessere umano. Considerate tutte le risorse e l’energia che sono mobilitate a favore della moda veloce, dei gadget usa e getta, dei SUV, dell’acqua in bottiglia, delle navi da crociera e del complesso militare-industriale. Considerate l’entità del consumo inutile che è stimolato da schemi pubblicitari manipolatori o imposto dall’obsolescenza programmata. Considerate la quantità di automobili private che la gente è stata costretta a comprare perché l’industria dei combustibili fossili e i produttori di automobili hanno fatto pressioni così aggressive contro il trasporto pubblico. Considerate che la sola industria della carne bovina usa quasi il 60% del terreno agricolo mondiale, per produrre solo il 2% delle calorie globali.

Non c’è scarsità. Piuttosto, le risorse e l’energia del mondo sono accaparrate (sproporzionatamente dal Sud globale) per servire gli interessi del capitale e dei consumatori benestanti (sproporzionatamente nel Nord globale). Possiamo dirlo più chiaramente: il nostro sistema economico non è progettato per soddisfare i bisogni umani; è progettato per facilitare l’accumulazione di capitale. E per farlo, impone una brutale scarsità alla maggioranza delle persone e sminuisce la vita umana e non umana. È irrazionale credere che la semplice “crescita” di un’economia di questo tipo, in aggregato, raggiungerà in qualche modo magicamente i risultati sociali che vogliamo.

Possiamo pensarci anche in termini di lavoro.  Considerate il lavoro che viene reso dalle giovani donne nelle fabbriche del Bangladesh per produrre fast fashion per il consumo del Nord; e considerate il lavoro reso dai minatori congolesi per scavare il coltan per degli smartphone sono progettati per essere gettati ogni due anni. Questo è uno straordinario spreco di vite umane.  A che pro?  Così che Zara e Apple possano realizzare profitti straordinari.

Ora immaginate come sarebbe il mondo se tutto quel lavoro, quelle risorse e quell’energia fossero invece mobilitati per soddisfare i bisogni umani e migliorare il benessere (cioè, valore d’uso piuttosto che valore di scambio). E se invece di appropriarsi del lavoro e delle risorse per la fast fashion e i dispositivi Alexa, fosse mobilitato per fornire assistenza sanitaria universale, istruzione, trasporti pubblici, alloggi sociali, cibo biologico, acqua, energia, internet e computer per tutti e tutte?  Potremmo vivere in una società altamente istruita e tecnologicamente avanzata con zero povertà e zero fame, il tutto con molte meno risorse ed energia di quelle che usiamo attualmente.

In altre parole, potremmo non solo raggiungere i nostri obiettivi sociali, ma anche quelli ecologici, riducendo l’uso di risorse in eccesso nei paesi ricchi per riportarli entro i limiti del pianeta, mentre aumentiamo l’uso di risorse nel Sud per soddisfare i bisogni umani.

Non c’è motivo per cui non possiamo costruire una tale società (ed è realizzabile, con una politica concreta, come descrivo qui, qui e qui), tranne il fatto che coloro che beneficiano così prodigiosamente dello status quo fanno tutto ciò che è in loro potere per impedirlo.

 

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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