Anche quest’anno, la campagna MDF #noblackfriday #boycottamazon
Oggi più che mai: scegliamo con consapevolezza a chi dare i nostri soldi. Scegliamo di investire nel piccolo e nel locale, di finanziare economie virtuose, che fanno prosperare il nostro territorio, e creano benessere per la comunità in cui viviamo.
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Oggi più che mai: boicottiamo Amazon. Boicottiamo chi, approfittando della crisi non fa altro che continuare a generare crisi. Boicottiamo chi, favorito da leggi e politiche nazionali e internazionali, sta fagocitando i piccoli, umiliando i lavoratori, creando schiere di schiavi consumatori da divano. Con con i nostri soldi, anche se pochi, possiamo fare tanto: possiamo decidere di sostenere quell’economia reale e locale, virtuosa e solidale, che produce benessere per tanti, sorregge i territori, fa vivere i nostri paesi, favorisce tante famiglie, e permette a tutti noi di essere un po’ più liberi.
Jeff Bezos è il fondatore, presidente e amministratore delegato di Amazon, la più grande società di commercio elettronico al mondo. Inoltre è fondatore di Blue Origin, società di start up per voli spaziali, e proprietario del The Washington Post. Bezos guadagna in un secondo quanto uno dei suoi magazzinieri in cinque settimane. Magazzinieri che lavorano in condizioni simili ai servi, monitorati h24, in ogni singolo movimento, per verificare che sia abbastanza veloce.
“Il personale oberato di lavoro del magazzino dell’azienda ha dovuto fare pipì in vecchie bottiglie d’acqua mentre il loro CEO viene pagato in un secondo quanto guadagnano in cinque settimane” si legge in un’inchiesta del Guardian del 2019 “Vuoi sentirti davvero bene questo Natale? Boicotta Amazon” che potete leggere QUI.
Niente di nuovo sotto il sole.
Un report dell’Economic Policy Institute dice che nei centri Usa in cui il colosso di Jeff Bezos ha messo radici in realtà non si registra alcun miglioramento in termini occupazionali. Anzi, in alcune aree i posti di lavoro sono anche diminuiti. Ne ha parlato un bell’articolo de Linkiesta “Prepariamoci: arriva Amazon e il lavoro non cresce, anzi diminuisce”. Verrebbe da dire: ma dai?
Linkiesta riferisce anche di una ricerca dell’Institute for Local Self-Reliance (Ilsr) che ha fatto un confronto sui numeri tra i punti vendita classici e i grandi hub Amazon: se i negozi fisici, in media, impiegano 49 persone per ogni 10 milioni di vendite, nel caso di Amazon si scende a 23 persone.
E a rimetterci non è solo l’occupazione perché alla perdita di lavoro, è chiaro, si dovrebbe aggiungere anche quella di gettito fiscale locale.
Anche sul fronte dei salari, infatti, l’impatto prodotto da Amazon sarebbe tutt’altro che positivo: una ricerca dell’Economist ha dimostrato che dopo l’apertura di un magazzino Amazon le retribuzioni locali dei lavoratori diminuiscono in media del 10% rispetto a omologhi lavoratori impiegati altrove.
Che la grande distribuzione stia distruggendo il commercio al dettaglio, la bottega e il negozio sotto casa, non è certo una novità. La strage dei piccoli è sotto gli occhi di tutti. Gli effetti, forse, un po’ meno. Sono tragiche conseguenze sociali, economiche e ambientali, soprattutto per un Paese come l’Italia che ancora vive di piccola e media impresa.
Parliamo di qualità del lavoro, di benessere per i lavoratori, di soddisfazione personale e professionale… ma parliamo anche di estetica territoriale, socialità, cura dell’ambiente. Parliamo del bello che ci dovrebbe circondare e che nulla ha a che fare con un grande hub Amazon, un centro commerciale, l’ennesima colata di cemento per fare l’ennesimo parcheggio.
Un’interessante inchiesta di Presa Diretta “Vite a domicilio” ci racconta come l’e-commerce e le nuove tecnologie abbiano cambiato radicalmente il nostro modo di consumare e di vivere. E ci mostra l’impatto che tutto ciò ha sul mondo del lavoro, sulla mobilità nelle nostre città e sull’ambiente. Chi pensa che acquistare nel mondo virtuale abbia perlomeno un impatto positivo sull’ambiente sarà presto smentito…
L’e-commerce genera un packaging dal peso 3 volte superiore rispetto a quello dei negozi fisici e un packaging più difficile da smaltire perché multi-materiale: stiamo parlando di una confezione il cui impatto ambientale è 10 volte superiore a quello del classico sacchetto di plastica! In numeri: 182kg di CO2 equivalente vs. 11kg di CO2 equivalente. In pratica, la consegna rapida di un singolo prodotto rappresenta la scelta peggiore dal punto di vista ambientale, con il peggior impatto per prodotto consegnato per chilometro percorso.
L’impronta ambientale generata da Amazon nel 2019 è stata di 44,4 milioni di tonnellate di CO2, pari all’impronta ecologica dell’intera Svezia (il servizio Prime ha contribuito con ben 5 miliardi di pacchi consegnati). E a luglio 2019 il trasporto aereo di Amazon è cresciuto del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Insomma, in questo venerdì nero, di un periodo nero per tante imprese, commercianti e negozianti… scegliamo con consapevolezza, solidarietà e lungimiranza. Con la nostra spesa facciamo politica, tutti i giorni. Tutti i giorni, con i nostri acquisti, scegliamo in che mondo e in che modo vogliamo vivere.
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