Per una economia di scala dei consumi e degli usi

da | 10 Feb 2022

Contributo a cura del Gruppo Tematico Economia & Decrescita (*)

 

Spesso per etichettare negativamente la decrescita si sente dire che “con la decrescita si torna all’età della pietra”, lasciando intendere che le teorie decrescenti vogliano frenare l’innovazione tecnologica se  non addirittura che si vogliano intraprendere iniziative luddistiche.

In questo articolo cercheremo di spiegare che è vero il contrario.

Uno degli obiettivi cardine della decrescita  è quello di giungere alla sostituzione dell’obiettivo di massimizzare il lavoro retribuito (cioè la “piena occupazione”) con quello di minimizzare il lavoro totale (in tutte le sue forme), usando finalmente secoli di progresso scientifico per la liberazione dell’uomo dal lavoro. E per raggiungere questo obiettivo ovviamente l’innovazione tecnologica è fondamentale.

 

Purtroppo però negli ultimi due (e forse più) secoli il fine ultimo dell’innovazione tecnologica è stato sempre più stravolto. Da essere un modo per “faticare meno” l’ingegno umano è stato orientato al “fare di più”.

Basta pensare anche solo all’invenzione dell’aratro o della macina, che uniscono la capacità di utilizzare una fonte di energia (quella dell’animale da tiro) con la capacità di indirizzarla e concentrarla efficacemente la dove serve con appositi “meccanismi” (la lama dell’aratro piuttosto che la pietra molitrice).

Non che l’aratro o la macina non servissero per aumentare la produttività, ma questo non si traduceva tanto nel “fare di più” ma in “fare in meno tempo”. Tempo che, così recuperato, veniva utilizzato per attività ludiche e conviviali.

 

Per invertire questa deriva “produttivistica” che porta come immediata e devastante conseguenza l’utilizzo sempre più sfrenato di risorse ed energia si potrebbe concentrare gli sforzi affinchè la tecnologia sia utilizzata prevalentemente per garantire economie di scala sugli utilizzi e sui consumi prima ancora che per garantire economie di scala sulla produzione che è il prevalente  modo in cui viene utilizzata oggi.

 

Nel caso della mobilità, ad esempio, questo significa utilizzare la tecnologia per ottimizzare e garantire la massima fruibilità di un trasporto collettivo invece che utilizzarla per abbattere i costi di produzione delle autovetture private.

 

E’ del tutto evidente che poter avere accesso ad un mezzo di trasporto, specie se a guida autonoma, da utilizzare individualmente ma per lo stretto tempo di cui se ne ha bisogno (car sharing) o collettivamente su percorsi predefiniti o meglio individuati ed ottimizzati da un sistema di gestione e controllo (car pooling) è molto più efficiente che avere un’auto privata, per quanto poco possa costare in termini di acquisto e gestione. E questo per il semplice fatto che tutte le nostre auto private sono destinate a stare ferme (spesso in un garage a pagamento o, peggio, in un box anche esso ad uso esclusivo acquistato a questo scopo) per la gran parte della loro vita.

Ed è altrettanto evidente che per produrre e gestire un parco auto ad uso condiviso (specie se a guida autonoma) ci vuole molta più tecnologia di quanta ce ne voglia per fare un’auto privata. A partire dalla necessità di avere un’APP (ovviamente open source) per organizzare l’utilizzo delle vetture.

Ancora più ovvio che un sistema di trasporti basato su queste tecnologie richiederebbe un numero molto inferiore di mezzi e quindi di materia ed energia per produrli, manutenerli, gestirli ed utilizzarli.

 

Perchè allora la tecnologia viene utilizzata solo per migliorare le economie di scala produttive e non anche quelle di utilizzo e consumo?

 

Per un semplice motivo: perchè questo comporterebbe una riduzione dell’economia e non una sua espansione e con essa una riduzione dei “posti di lavoro”.

 

Ed è per questo che tutta la ricerca e l’innovazione tecnologica è orientata a realizzare economie di scala della produzione, in modo che tutti possano avere un’auto di proprietà (e spesso più d’una oltre semmai ad una moto o uno scooter o un monopattino elettrico) abbattendo i costi di produzione. Questo modo di procedere garantisce da un lato il mantenimento dei posti di lavoro di chi produce (nell’auspicio che i prezzi sempre più bassi consentano di vendere tutto ciò che si produce) e dall’altro comporta che chi compra ed usa quelle auto debba darsi da fare a trovare un posto di lavoro per pagarla, manutenerla ed utilizzarla (per il 5-10% della sua vita), ma anche per tenerla parcheggiata a pagamento (per il restante 90-95% di tempo).

Con un’aggravante: la tecnologia applicata alle economie di scala della produzione riduce il lavoro necessario per unità di prodotto (questo è in effetti il principale motivo per cui i prezzi dei prodotti finiti si abbassano), quindi per garantire i posti di lavoro di cui sopra occorre aumentare continuamente le produzioni.

Ma come si può vendere quantità sempre maggiori di prodotti durevoli? Semplice, abbattendone il tempo di vita utile, attraverso l’obsolescenza programmata e quella percepita. Per rendersi conto di ciò basta pensare che mentre negli anni 50-80 la vita media di un’auto era di 20-30 anni oggi è di 5-10. Non solo. Mentre chi oggi ha ancora un’auto degli anni ‘80 del secolo scorso riesce ad utilizzarla con soddisfazione, ciò non può dirsi per le auto prodotte dalla fine del secolo scorso in poi.

Ciò perchè le auto prodotte fino alla fine del secolo scorso erano manutenibili e gestibili  da chiunque avesse un po’ di manualità ed attrezi di base, mentre per le auto prodotte in questo millennio al primo accendersi di una qualsiasi spia occorre rivolgersi ad un professionista per la sostituzione di un componente il più delle volte irreparabile. Inoltre spesso i pezzi di ricambio per queste auto diventano introvabili ed estremamente costosi, mentre per quelle del secolo scorso i pezzi di ricambio, semplici e standard, al limite si possono far realizzare da un bravo artigiano.

Tutto ciò perchè le tecnologie utilizzate fino alla fine del secolo scorso erano più “accessibili” (Ivan Illich direbbe che erano conviviali) mentre oggi sono di esclusivo appannaggio di un sistema produttivo industriale iperspecializzato.

 

Il discorso appena svolto per il settore della mobilità si può facilmente estendere a tutta una serie di altre “innovazioni tecnologiche” introdotte nei decenni passati. Ad esempio si pensi al riscaldamento delle abitazioni che ha visto preferire le caldaiette da balcone piuttosto che le centrali termiche di condominio. Con una consistente riduzione di efficienza in nome di una maggiore autonomia gestionale. Una volta tanto però la normativa ha provato a porre un freno a questa follia, impedendo per le costruzioni recenti l’adozione di caldaie autonome e prescrivendo quelle condominiali, favorendo una innovazione tecnologia interessante: quella che si è resa necessaria per  le termovalvole, i sistemi di controllo e calcolo del calore distribuito all’interno degli appartamenti, ecc…

 

Un altro esempio di innovazione, che ottimizza costi e consumi e va quindi nella direzione da noi auspicata, è quella della lavanderie a gettone che, auspicabilmente, dovrebbe sostituire e non affiancarsi alle lavatrici domestiche. Certo è scomodo dover uscire di casa d’inverno col freddo per portare i propri vestiti in una di queste lavanderie automatiche, ma se se ne installassero nei condomini in ragione di una ogni 15 appartamenti si potrebbe garantire un adeguato livello di servizio a costi ben più bassi di quelli derivanti dall’acquisto, manutenzione ed uso di lavatrici (ed asciugatrici) domestiche.

Se poi queste fossero fatte in modo da essere facilmente riparabili dagli stessi condomini grazie a tecnologie costruttive adeguate e manuali di manutenzione esaustivi , i risparmi sarebbero ancora maggiori.

Ma per questo obiettivo sarebbe necessario ancora una volta un intervento normativo che preveda, ad esempio, la predisposizione di appositi spazi condominiali destinati a questi usi.

E’ evidente quindi che opportune scelte politiche potrebbero  andare nella direzione giusta. Peccato che queste sono sempre guidate invece dalla necessità di garantire la piena occupazione e spingono nella direzione  di dare a ciascuno un’autovettura, una lavatrice, un’asciugatrice, uno scooter, una moto, un monopattino, ecc…… da un lato per garantire lavoro per produrre e dall’altro  per garantire reddito per comprarle ed utilizzarle. Tutto il contrario di quello che invece in fondo tutti noi desideriamo: lavorare meno ed avere più tempo a disposizione per noi e per i nostri cari.

Image di copertina by RENE RAUSCHENBERGER from Pixabay

(*) Gruppo Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

Unisciti a noi: Chiunque può entrare nel Gruppo Tematico, manifestando il proprio interesse e scrivendo la propria disponibilità all’indirizzo email: info@decrescitafelice.it

Per approfondire: I contributi, i modelli e gli articoli redatti dal Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF sono consultabili in questa sezione del sito