di Karl Krahmer
Nella capitale croata si è svolta in quest’ultima settimana di agosto 2023 l’assemblea costituente della nuova rete internazionale della decrescita (IDN) per connettere l’attivismo decrescente in Europa e nel mondo e successivamente la nona conferenza internazionale della decrescita in cui si è riunita la comunità accademica ed attivistica del movimento.
Vedere cinque – seicento persone riunirsi per unire i loro cuori, mani e cervelli per pensare e costruire una società diversa, oltre la crescita, oltre lo sfruttamento, per un benessere collettivo dà una speranza incredibile in un momento storico sempre più cupo tra l’avanzare della crisi climatica ed ecologica, di guerre, di fascismi. Prima della conferenza, la settimana si è aperta con l’assemblea della nuova rete internazionale (puoi trovare qui il comunicato stampa): una giornata intensa e lunga ma nonostante il caldo a tratti soffocante. Le circa 100 persone di 25 organizzazioni aderenti sono andate avanti nel progetto di dare forma effettiva alla rete, organizzata secondo i principi della sociocrazia con cerchi interconnessi organizzati sia su base geografica che tematica. Crediamo che questa nuova realtà, a cui aderisce con gioia anche MDF, possa diventare un agente di cambiamento importante nei prossimi anni in cui l’acuirsi della crisi socio-ecologica sta rendendo sempre più diffuso l’interesse per un’analisi e proposta radicalmente alternativa al capitalismo violento dall’accumulazione infinita (ergo devastazione, sfruttamento, disuguagliuanza) come lo è la decrescita – vedi per esempio il grande successo della conferenza Beyond Growth al Parlamento Europeo alcuni mesi fa (LINK).
Questo rinnovato interesse per il dibattito della decrescita si è anche respirato durante i giorni della conferenza, nelle plenarie, nelle tantissime sessioni, nei panel, nei workshop, nelle pause e nelle attività serali (puoi trovre il programma qui). La conferenza si è aperta con la keynote di Diana Ürge-Vorsatz, membro dell’IPCC, che ha esposto come le ricerche dell’organizzazione delle Nazioni Unite mettono in evidenza da un lato quanto ormai la crisi climatica si sia acutizzata e dall’altro che senza realizzare la decrescita non ci sono scenari che permettono di evitare derive catastrofiche – che per esempio renderebbero inabitabile un’ampia fascia del pianeta tra Africa e India in cui abitano circa un miliardo e mezzo di persone.
Questa storia ricorda le ingiustizie profonde della storia coloniale su cui si basa la nostra società capitalista della crescita: ne ha parlato Roland Ngam argomentando per l’importanza fondamentale di una prospettiva decoloniale per la decrescita e la costruzione di alleanze con il Sud globale.
Ma l’ultima keynote, di Alexandra Köves, ha chiuso su delle note positive con un discorso di speranza sul ruolo dell’utopia per una trasformazione decrescente; utopia non come futuro irrealizzabile ma come strumento per immaginare un futuro positivo e sviluppare poi delle strategie di cambiamento.
Un cambiamento complesso e difficile, non c’è dubbio, che deve avvenire su molteplici livelli e in tanti ambiti diversi. Di molti di questi si è parlato in profondità nelle tante sessioni parallele, sia di presentazioni di ricerche accademiche che di workshop partecipativi. Si è parlato di come immaginare e costruire la decrescita nelle città e nei territori come in workshop del Municipal Degrowth Network: Space Beyond Growth; ci sono principi comuni come sufficienza, condivisione e riuso ma bisogna anche partire dalla specificità dei luoghi diversi e leggere luoghi e spazi come costruite da relazioni tra loro che troppo spesso oggi sono di sfruttamento, tra urbano e rurale come tra Sud e Nord del Mondo. Ma si è anche parlato di prospettive marxiste dell’economia, della trasformazione della realtà lavorativa, di strategie di trasformazione politica. Altro tema impo rtante è quello delle prospettive femministe, importantissime per la decrescita, approcciato anche in un workshop molto stimolante sulla decostruzione della mascolinità egemonica nel mondo attuale, che ancora troppo spesso incorpora dei tristi ideali di dominanza, performatività e assenza di affetto che dà un lato sono una forma di oppressione per gli uomini stessi, dall’altro contribuiscono alla perceptita normalità dello sfruttamento di natura come persone marginalizzate.
Certo, in una conferenza come questa, con così tante persone che partecipano e impossibile catturare tutto quello che succede e tantomeno raccontarlo in poche righe. Sono giorni vorticosi, tra ascolto, partecipazione e la costruzione di reti tra le persone che si incontrano. Forse in alcuni momenti è troppo e sarebbe bello incorporare più di quanto non avvenga già alcuni principi della decrescita nell’organizzazione delle conferenze stesse, lasciando più tempo alla convivialità, all’arte e a momenti di riposo che alla fine servono per quanto urgente sia il cambiamento che dobbiamo costruire nel mondo.