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«Nè la rivoluzione nè la riforma possono, in ultima istanza,
cambiare una società, senza che ci sia da raccontare una storia nuova e potente,
tanto persuasiva da bloccare i vecchi miti e trasformarsi nella storia preferita…
Se si vuole cambiare una società si deve narrare una storia alternativa».
IVAN ILLICH
Ferro e fuoco
I
«Le nostre scorte di ferro sono quasi esaurite».
La voce del Consigliere Capo risuonò nella cantina con un tono che non lasciava spazio ai dubbi. La riunione del Consiglio era stata convocata per quella sera e come al solito erano tutti presenti, compresi i nuovi arrivati, che stavano imparando a condividere quei momenti con i limitesi. Non sempre ne coglievano l’importanza, ma partecipavano comunque. Quella sera, dopo l’esordio del Consigliere Capo, che aveva mostrato di non voler girare intorno al problema ed era andato subito al sodo, molti dei nuovi arrivati presero a guardarsi l’un l’altro, od a lanciare occhiate agli altri. Comprensibilmente non intuivano fino in fondo la portata di quell’affermazione.
Il fatto era che, benché la vita a Limite seguisse abitudini molto rurali – e quindi molto semplici – c’erano comunque esigenze che non si potevano trascurare. Gli attrezzi agricoli rappresentavano la prima di queste. Il ferro era necessario. I primi arrivati dalla pianura avevano portato con sè i loro attrezzi, ma col tempo avevano compreso che avrebbero dovuto trovare una soluzione al deterioramento degli attrezzi. Impararono presto, questo è vero, a forgiare il metallo. Buona legna di castagno con cui produrre carbone di qualità non mancava. Una delle ruote ad acqua del mulino era stata adattata per azionare un maglio, e c’era pure chi aveva le competenze per farlo funzionare. Mancava una sola cosa: il ferro. Dove trovarlo? La cosa più semplice che era venuta in mente ai primi limitesi era stata di raccogliere dei rottami, giù in pianura, e fare una scorta di ferri vecchi, che all’occasione potevano essere fusi e trasformati in nuovi attrezzi. Ogni tanto però le scorte finivano, anche se ciò avveniva raramente. In quel caso la soluzione era una soltanto.
«Dovremo pensare ad una spedizione giù in pianura prossimamente. Servono dei volontari che vadano a raccogliere un po’ di rottami» aveva proseguito infatti il Consigliere Capo.
La cosa in sè per sè non era drammatica, o almeno non sembrava.
«Dove reperite i rottami di solito?» chiese Eri.
«Generalmente ci rivogliamo a chi gestisce le discariche» rispose Maso.
Dalla fine della guerra che sconvolse i territori civilizzati di pianura, tutti iniziarono a rendersi conto che le materie prime sarebbero state presto un grosso problema, e presero quindi a recuperare tutto il recuperabile. I gruppi che vivevano presso le grandi discariche di periferia iniziarono a sfruttare quella sorta di “miniere urbane” per ottenere tutto ciò che era suscettibile di essere riutilizzato. I metalli ferrosi erano uno dei materiali più utili e più facili da recuperare e da lavorare. Attorno ai rottami di ferro si sviluppò quindi un mercato importante, non esente da molte delle storture che albergano nel cuore degli uomini quando questi devono trattare con il denaro. Tensioni e rivalità, che i più in pianura consideravano normali, accompagnarono sempre la vita di chi sfruttava le discariche e procurava materie prime seconde. Ciò che fino a poco meno di un decennio prima era considerato un rifiuto, qualcosa da occultare, allontanare dalla vista e dal cuore, qualcosa di cui vergognarsi perfino, era diventato una delle principali risorse e quindi uno dei tesori più ambiti, per il quale – in molti – erano disposti quasi a tutto. Violenza compresa.
Davvero non si rendevano conto dell’assurdità che la loro civiltà dei consumi aveva costruito? A Limite spesso ci si poneva domande del genere.
«Sai qual è in fondo la differenza tra di noi? – aveva chiesto una volta il Consigliere Capo a Eri e ad altri tra i nuovi arrivati – Noi qui a Limite abbiamo imparato molto presto a non dar nulla per scontato».
Eri restò in silenzio, senza dare ad intendere di aver compreso o meno ciò che il Consigliere gli stava dicendo. L’anziano proseguì: «Quando semini il grano non puoi dare per scontato che avrai un buon raccolto. Come sarà la prossima stagione, se il tempo sarà mite o se una grandinata improvvisa devasterà i campi, non puoi saperlo. Devi essere prudente, previdente. La società dei consumi che avete voi in pianura vi ha abituati troppo a dare le cose per scontate. Premete un interruttore e date per scontato che la luce si accenderà. Chi e in che modo provveda all’altro capo del filo a che tutto ciò sia possibile, non vi riguarda. O almeno così credete. Finché non accade qualcosa all’improvviso, e la luce non si accende più. Solo allora iniziate a pensare, non prima. È un atteggiamento miope, e autolesionista. Bisogna imparare a riparare le cose prima che si rompano! Dopo potrebbe essere troppo tardi. È per questo che si è arrivati alla guerra, dopotutto».
Con le discariche era la stessa cosa, il Consigliere Capo vedeva nel giusto. Per decenni si era dato per scontato che le materie prime fossero abbondanti, e gli spazi per accogliere i rifiuti pure. Era miopia. Ma il pensiero del Consigliere Capo non riandava solamente al ferro e agli altri materiali che si potevano recuperare.
«Vedi Eri – continuò – il problema è che questo atteggiamento miope ha contagiato presto ogni ambito della società. Non parlo solo di beni materiali. Alla lunga anche la democrazia e la libertà sono state date per scontate. E in questo caso – sospirò – i danni sono stati molto, molto peggiori. Il fatto che oggi attorno alle discariche e al mercato dei rottami di ferro ci siano tensioni, violenze e soprusi è solo il risultato di non aver pensato prima a come riparare qualcosa che, inevitabilmente si sarebbe rotto. Hai capito di cosa parlo?».
«L’equilibrio?» azzardò Eri.
«Esatto! Una guerra distrugge immediatamente tutti gli equilibri su cui la società si fonda. E non dà tempo di organizzare delle risposte alternative. Ci si può salvare solo in un caso, se ci si è pensato prima».
«Un po’ come chi in passato costruiva rifugi anti atomici?»
«Qualcosa del genere… ma con una differenza fondamentale, che in pochi in pianura hanno capito»
«Sarebbe?»
«Che in certi casi non ci si può salvare da soli. Non sempre è sufficiente costruirsi un rifugio. Spesso serve costruire una rete. Una rete di persone, di competenze, di sentimenti, che possa reggere l’urto dei conflitti che arriveranno a dividere le persone, che vorranno trasformarle in rivali. In guerra, più è alto il numero dei rivali e più è esiguo il numero degli alleati, più aumentano le probabilità di sconfitta, giusto? – Eri annuì – Ecco su cosa si sono basati! Hanno cercato di rendere le persone comuni rivali tra di loro. E chi ha capito, ahimè pochi, ha cercato di fare rete, per aumentare il numero degli alleati e diminuire il numero dei rivali. È semplice non trovi?»
Il Consigliere Capo aveva ragione.
***
La riunione del Consiglio durò fino a notte fonda. Un po’ perché i temi erano delicati, un po’ perché i nuovi arrivati – comprensibilmente – chiedevano continue spiegazioni.
«Non sempre sarà possibile ottenere i rottami gratuitamente suppongo – aveva chiesto ad un certo punto Pier Maria – Che cosa offrite solitamente in cambio, dato che non usate denaro?»
«Generealmente portiamo un po’ di prodotti locali che si possono conservare a lungo. Formaggi stagionati, legumi secchi, cose di questo tipo. E anche filati e tessuti di lana. Le pecore che abbiamo danno lana di buona qualità, e la tessitura manuale ha ancora un discreto mercato in pianura».
«Ma possiamo offrire anche altro – intervenne Maso, interrompendo il Consigliere Capo – I limitesi sono abili in quasi tutti i lavori manuali. A volte abbiamo offerto le nostre abilità di costruttori e riparatori. Alcuni si sono trattenuti in pianura lavorando come falegnami, fabbri e cose del genere. Non è mai stato necessario restare a lungo. In pochi hanno le competenze che abbiamo noi, quindi i nostri servigi sono sempre stati molto richiesti. Questo ci ha sempre consentito di avere una buona forza contrattuale, e di reperire il ferro che ci serviva (che non è molto, dopotutto), restando in pianura per pochi giorni, una settimana al massimo».
Infine, dopo aver affrontato tanti argomenti secondari, si giune al nocciolo della questione.
«Servono dei volontari per scendere in pianura – disse il Consigliere Capo – Come sempre facciamo, cerchiamo di non obbligare nessuno. Sappiamo tutti quanto questa spedizione sia importante… lascio a voi la decisione. Se qualcuno se la sente, si faccia avanti».
Prima che Eri e gli altri potessero rendersi conto di cosa stava accadendo, una voce aveva già parlato.
«Consigliere, se nessuno ha obiezioni, vorrei andare io». Era Gemma.
«Apprezzo molto la tua offerta – rispose il Consigliere Capo – E la accolgo volentieri, purché si faccia avanti anche un uomo. Il ferro che dovrete trasportare non sarà molto, ma è bene che tra di voi ci sia anche qualcuno che sappia sopportare bene la fatica»
«Vado io con Gemma» disse subito dopo Cosimo. Era un ragazzone ben piantato, ai tempi della civiltà (a Eri cominciava a suonare stonata questa parola) in pianura lo si sarebbe potuto definire un palestrato. Il Consigliere Capo era già soddisfatto quando, inaspettatamente Jacopo intervenne.
«Chiedo scusa Consigliere, se mi intrometto in una questione che conosco poco. Penso che forse anche alcuni di noi, dei nuovi arrivati intendo, dovrebbero unirsi a Gemma e Cosimo…. Insomma, siamo qui per condividere tutto, no?»
Eri istintivamente si voltò di scatto Mentre sul volto del Consigliere si rovesciò un gran sorriso, lui notò invece uno sguardo particolare che si scambiarono Jacopo e Rodolfo, un altro di loro che fino a quel momento non si era mai fatto notare particolarmente, nè aveva mai partecipato attivamente alle discussioni. Fu solo un istante, un lampo. Eri stava per scacciare quel pensiero, ma fu proprio la voce di Rodolfo a scuoterlo.
«È vero Consigliere… se lo gradite, mi offro volontario»
«Anche io naturalmente» replicò Jacopo.
«Bene, bene! – sorrise il Consigliere Capo – Dopotutto, perchè no? Penso che avrete modo di imparare molto da questa esperienza. E sia! Iniziamo subito i preparativi. Partenza tra due giorni! Sciogliamo la riunione ora, si è già fatto tardi».
Prima che Eri potesse raggiungerli, Jacopo e Rodolfo erano già usciti. Eri notò un non so che di furtivo nel loro modo di fare, e vide che borbottavano tra di loro a bassa voce. Non seppe dire perché, ma ebbe il presentimento che stessero tramando qualcosa.
II
I due giorni passarono velocemente. Eri non affrontò mai la questione direttamente. Dapprima tentò di scacciare quel pensiero molesto. Se nessuno degli altri aveva notato nulla – si disse – probabilmente si era trattato solo di una sua impressione. Però nei giorni che li separavano dalla partenza, si avvide che sia Jacopo che Rodolfo erano sfuggenti. Preso com’era dall’osservare continuamente i due, non si accorse di Sura, che invece stava continuamente osservando lui. Forse anche lei si era avveduta di qualcosa?
Poi arrivò il momento della partenza. Ai quattro vennero affidati due cavalli, ciascuno con un piccolo carro. Sembravano anche troppo grandi per le poche merci che avrebbero dovuto portare in pianura, ma se tutto fosse andato come previsto, il viaggio di ritorno avrebbe avuto un carico ben diverso. I limitesi erano soliti non raggiungere i centri abitati a cavallo. Per prudenza lasciavano le bestie in periferia. Con gli anni avevano scoperto una serie di luoghi, per lo più vecchie abitazioni semi-diroccate, in cui potevano lasciare i cavalli, con una buona dose di fieno (e questo era un altro motivo dell’uso dei carri). Erano luoghi isolati e ben nascosti, non c’era pericolo che qualcuno potesse vedere i cavalli. Per ogni evenienza, quando lasciavano le bestie per proseguire a piedi, si davano un appuntamento “di sicurezza”, ovvero convenivano che, se qualcosa fosse andato storto e si fossero persi di vista, si sarebbero ritrovati in quel luogo, ad un’ora ed un giorno convenuto, nel giro di una settimana. La cosa venne spiegata bene anche a Jacopo e Rodolfo.
«Mi raccomando – aveva detto loro Gemma – Questa cosa è della massima importanza. Per nessun motivo dobbiamo mancare a questo appuntamento. In passato è accaduto una sola volta di dover usare questo sistema e ti assicuro che se non fosse stato per questa precauzione, non so come sarebbe andata a finire».
«E se… insomma se dovesse accadere qualcosa di grave per cui si manca all’appuntamento?»
«In quel caso si rimanda tutto di un’altra settimana. Stesso giorno, stessa ora. Ma speriamo vivamente che una cosa del genere non succeda mai» concluse la donna.
Il viaggio si svolse senza particolari difficoltà. Raggiunsero nei tempi previsti il rudere che avevano in mente. Quando scaricarono le merci dai carri, Gemma notò che i bagagli personali di Jacopo e Rodolfo erano sensibilmente più voluminosi dei loro. «E che vi siete portati dietro tutta la casa?» scherzò. Benché il tono allegro non desse adito a fraintendimenti, Cosimo notò una strana sfumatura nella voce dei due.
«Ecco, noi… – farfugliò Rodolfo con una certa irrequietezza, gettando un’occhiata a Jacopo – Siamo tutti e due molto… freddolosi, ci siamo portati altri maglioni e…»
«Sì, cose del genere insomma» tagliò corto Jacopo. Gemma non ci fece caso più di tanto. Cosimo invece fu decisamente insospettito, ma tenne per sè la cosa.
Lasciarono i cavalli presso il rudere e si incamminarono verso la città. I carri erano leggeri e facili da trainare a mano, e senza il fieno, che rappresentava la quasi totalità del carico, non erano difficili da governare, almeno in pianura. Il fieno che avevano lasciato ai cavalli sarebbe stato sufficiente per molti giorni ancora, da questo punto di vista potevano stare tranquilli.
Dopo un’ora buona di cammino iniziarono a intravedere i primi segni di quella che una volta era stata la periferia della città. La distruzione lasciata dalla guerra era ancora evidente, gli edifici – anche se ricostruiti – mostravano chiaramente i segni della passata devastazione. Le prime persone che incontrarono furono un gruppetto di ragazzini, niente più che una banda di teppistelli da quattro soldi. Forse in epoche passate ci sarebbe stato di che temere, ma dopo la guerra e la miseria, il piglio di quegli sbandati si era molto ridimensionato.
«E voi chi siete?» esordì non senza arroganza quello che avrebbe potuto essere il capobanda.
«A te che sembra?» rispose a tono Cosimo, prima che Jacopo e Rodolfo potessero aprir bocca. Temeva infatti che avrebbero potuto nascere fraintendimenti se avesse lasciato parlare i due. Un altro dei ragazzi ammiccò alle casse contenenti i formaggi: «Siete mercanti? Andate a vendere quelle cose?»
«Proprio così» disse Gemma.
Se mai la banda avesse avuto intenzione di rubare loro il carico, la corporatura di Cosimo sicuramente sarebbe stato un deterrente non da poco. Gemma era certa di questo, e non si sentì mai in difficoltà. Frattanto gli altri due ragazzi avevano preso a sorridere in modo sarcastico. «Ma guarda come sono vestiti! – aveva detto uno di loro all’amico. I tessuti con cui i limitesi realizzavano gli abiti erano assai grezzi, e non era possibile non notarli – Ma da dove diavolo venite?»
«Veniamo da Limite!» disse Rodolfo, prima che Cosimo potesse impedirgli di parlare. Il suo tono aveva un non so che di spavaldo, ma l’effetto che sortì fu alquanto diverso da quanto Rodolfo si aspettava.
«Infatti mi sembrate alquanto… “limitati”!» replicò prontamente il tipo, al che gli altri presero tutti a ridere in modo sguaiato. Cosimo decise di ignorarli e accennò a proseguire per la sua strada, ma per quanto cercasse di impedire che gli altri dessero loro corda, non riuscì a zittire Rodolfo. «Si dice limitesi – apostrofò l’uomo, al che gli altri presero a ridere ancora più forte.
«Limitati! Limitati! Siete limitati!» cantilenavano, battendosi la tempia con il dito.
Gemma e Cosimo ce la misero tutta per convincere Rodolfo e Jacopo a lasciar perdere, ma alla fine i nostri proseguirono per la loro strada e la banda di periferia fece altrettanto.
III
A Limite frattanto i giorni passavano, e dei quattro non si sapeva nulla. I limitesi, che per loro natura erano sempre molto fiduciosi, non mostrarono preoccupazione alcuna. Solo Eri, di tanto in tanto, si sorprendeva a ripensare a quella sensazione che aveva avuto osservando Jacopo e Rodolfo, ma non ne parlò mai con nessuno.
Dopo otto giorni qualche tensione iniziò ad emergere anche tra i limitesi. Nessuno lo voleva ammettere apertamente, ma non appena il discorso andava sul ferro, gli sguardi si abbassavano e si facevano sfuggenti. L’irrequietezza iniziò a serpeggiare per il villaggio. Finalmente una mattina – erano trascorsi ben quindici giorni dalla partenza – si udirono alcuni dei bambini che giocavano nei campi gridare a gran voce: «È tornata Gemma! È tornato Cosimo!». Tutti si precipitarono, appena in tempo per vedere il carro che faceva capolino dal bosco di castagni a sud-ovest. Le prime cose che notarono, ovviamente furono due. Primo: solo un carro era rientrato. Secondo: il carico di ferro era ben al di sotto delle loro aspettative. Quando furono più vicini però, una terza cosa balzò agli occhi dei limitesi, qualcosa di ben più grave, che forse racchiudeva la spiegazione delle prime due: le espressioni di Gemma e Cosimo. A Limite non si erano mai visti volti così provati, nemmeno dopo la frana che anni prima aveva rischiato di colpire il villaggio e che aveva richiesto due giorni e due notti ininterrotte di lavoro. Quando a fatica scesero dal carro, fu Sura che d’impeto corse loro incontro e li abbracciò entrambi. «Come state?» chiese.
«Bene – mentì Cosimo, ma si avvide subito dallo sguardo di Sura che non avrebbe potuto cavarsela così e aggiunse – Adesso bene… ma è stata dura. Non so da dove cominciare…»
«Dove sono Jacopo e Rodolfo?» aveva incalzato Maso, giunto subito dietro alla figlia.
«Non ne abbiamo più notizia dal giorno che siamo arrivati in città… – balbettò Cosimo – Ci siamo dovuti separare… figuratevi! Ora le leggi in pianura non permettono di ospitare più di un estraneo per ogni famiglia. Una cosa incredibile. Quindi non sappiamo che cosa sia accaduto loro… abbiamo tutti mancato al primo appuntamento settimanale che ci eravamo dati, io e Gemma ci siamo rivisti solo al successivo, la settimana dopo. Gli altri non c’erano».
«In realtà… – precisò subito Gemma con un’espressione funerea – Qualcosa sappiamo, o meglio, abbiamo sentito dire…»
«E sarebbe?» incalzò Maso.
«Sarebbe che ci hanno traditi – disse Cosimo. Si vedeva che stava soffrendo – Sono fuggiti. Qualcuno dice di averli visti con il loro carro e… indossavano abiti della gente di laggiù».
Sura si voltò istintivamente a cercare Eri e quando i loro sguardi si incrociarono, vide sul volto dell’uomo qualcosa che non le piacque affatto. Dunque si trattava di questo… avevano tramato tutto fin dall’inizio. Il presentimento che il loro fare furtivo aveva suscitato in Eri aveva colto nel segno.
«Avevamo notato, scendendo, che i loro bagagli erano voluminosi. Hanno portato con sè i loro vecchi abiti. Non è stato un caso, avevano programmato tutto – proseguì Gemma – Hanno deciso di tornare alla loro vita di prima».
Maso abbassò lo sguardo, rassegnato. Per la prima volta avvertì che stava deludendo Sura: la figlia lo guardava, aspettandosi una qualche parola di saggezza, come tante volte era accaduto. Ma questa volta no. Non fu in grado di dire niente.
***
Il racconto continua tra due mesi. Non mancare!