Delfina e Totò: le assurdità del P.I.L.

da | 8 Set 2014

Napoli, 5 luglio 2014

Cara Delfina,

per uscire dalla crisi di questi anni tristissimi e bui in cui il pil non cresce, rimanendo insensibile agli stimoli profusi dagli economisti per aiutarlo a riprendersi dallo stato catatonico in cui versa e rifiutandosi di ascoltare le invocazioni alla crescita con cui tutti i politici, di ogni età, colore e condizione, iniziano, intramezzano e concludono ogni discorso ufficiale, il nostro istituto di statistica ha condiviso con i confratelli europei una decisione proposta dal loro sovraordinato che li coordina dai suoi uffici di Bruxelles: se il pil diminuisce o ristagna perché diminuisce o ristagna il valore degli scambi commerciali dei prodotti e dei servizi su cui si calcola, basta inserire tra le voci che lo compongono il valore di altri scambi commerciali e servizi attualmente non contabilizzati sebbene facciano girare molto denaro: le attività illegali. Poiché la loro misurazione, secondo le acutissime menti che dirigono questi istituti è «molto difficile, per l’ovvia ragione che esse si sottraggono a qualsiasi forma di rilevazione, e lo stesso concetto di attività illegale può prestarsi a diverse interpretazioni, […] allo scopo di garantire la massima comparabilità tra le stime prodotte dagli Stati membri, Eurostat ha fornito linee guida ben definite. Le attività illegali di cui tutti i paesi inseriranno una stima nei conti (e quindi nel Pil) sono: traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcool)». Questa revisione, adottata «in ottemperanza al principio secondo il quale le stime devono essere esaustive, cioè comprendere tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico», consentirebbe al pil italiano di crescere tra l’1 e il 2 per cento e di ridurre i rapporti deficit/pil e debito/pil senza colpo ferire, cioè lasciando le cose come stanno. Una trovata davvero geniale. Da economisti.

Come era prevedibile, le associazioni dei consumatori sono immediatamente insorte adducendo motivazioni di carattere etico per denunciare il cattivo gusto di una trovata «che eleva le attività illegali in mano alle mafie al rango di produttrici della ricchezza nazionale». In realtà si tratta di una innovazione del tutto coerente con i criteri della contabilità nazionale perché il pil misura soltanto il valore monetario degli oggetti e dei servizi scambiati con denaro, senza prendere in considerazione né se è eticamente lecito produrli, né se sono utili, né se contrastano col codice penale, né se causano danni, direttamente o indirettamente. «Pecunia – dicevano i nostri padri latini – non olet». E non vorrai mica dirmi, che le attività produttive e gli scambi commerciali attivati dalla costruzione di grandi opere inutili che devastano intere vallate, o dalla combustione e dall’interramento di oggetti che vengono gettati e sostituiti freneticamente, o dagli sprechi di energia che aggravano l’effetto serra e fomentano sempre più frequentemente guerre sempre più sanguinose, o dalla corruzione, o dalla costruzione di palazzi che restano vuoti ma in compenso impermeabilizzano superfici sempre più ampie di territorio trasformando ogni temporale in un’alluvione, siano più utili e meno dannosi di un servizio erotico a pagamento, di una sniffata, di una fumatina di erba o di tabacco sottratto al monopolio di stato, di un’euforia alcolica esentasse, che qualche soddisfazione devono pur darla se suscitano tanto interesse, ma danni agli altri o agli ambienti non ne creano.

Anche dal punto di vista etico, come ci si può scandalizzare per l’introduzione nel calcolo del pil di queste attività considerate illegali, quando non suscita scandalo che ve ne siano altre che provocano un numero crescente di malattie mortali utilizzando sostanze velenose di sintesi, processi produttivi nocivi e pericolosi, mutazioni nella struttura della materia? Non è illegale causare le neoplasie e le mutazioni genetiche da cui vengono colpiti in percentuali molto superiori alla media i bambini che abitano con le loro famiglie nei quartieri adiacenti a impianti industriali nocivi, non sono illegali i pesticidi utilizzati per accrescere la produttività in agricoltura, o le emissioni di nanoparticelle dai camini degli inceneritori?

In conseguenza di queste innovazioni nel calcolo del pil, non cresceranno i redditi, né i consumi, né l’occupazione. E non si attenueranno i fattori della crisi ambientale. Non si risolverà nessuno dei problemi che affliggono l’umanità in questa fase storica, ma in compenso si innescheranno profondi cambiamenti culturali. L’insulto «figlio di puttana», presente da millenni nel patrimonio linguistico di molti popoli, diventerà un titolo di merito, perché alla professionalità delle madri esercenti quell’antico mestiere verrà finalmente riconosciuto il merito di contribuire alla crescita della ricchezza nazionale, mentre diventerà un insulto particolarmente odioso rivolgersi a qualcuno dicendogli «figlio di una donna regolarmente sposata o stabilmente convivente», perché i servizi sessuali non retribuiti forniti nell’ambito del vincolo coniugale non determinano alcun incremento del pil. Il sequestro di una partita di droga comporterà una decrescita del pil e sarà biasimato perché comporterà una riduzione del benessere. Un Paese con una percentuale più alta di prostitute (e prostituti, naturalmente), di drogati e di contrabbandieri avrà un pil più alto, e quindi sarà considerato più ricco di un Paese con una percentuale più bassa. Ricordi quando qualche anno fa si accese una disputa internazionale in conseguenza del fatto che, secondo Eurostat, il pil pro-capite spagnolo aveva superato quello italiano, con gli spagnoli che esultavano come dopo la vittoria ai mondiali di calcio e gli italiani che si sgolavano a negarlo? Da oggi queste dispute si arricchiranno di altri spunti polemici: «Noi siamo più ricchi di voi perché  abbiamo più prostitute pro-capite». «Sì, ma noi abbiamo più drogati. E con i contrabbandieri voglio vedere chi la spunta».

Però vuoi mettere la soddisfazione dei disoccupati davanti alla televisione, quando per la prima volta dopo tanti anni non sentiranno più ripetere dalle solite facce depresse il solito ritornello che la crescita del pil anche quest’anno è stata inferiore alle previsioni, anzi c’è stata una diminuzione, ma le previsioni per l’anno prossimo indicano che ci sarà una ripresa, anzi la ripresa è già iniziata, per  quanto sia troppo debole per creare occupazione, comunque tra dieci anni il pil tornerà a crescere a due cifre. Finalmente gli esperti torneranno ad avere espressioni radiose perché potranno annunciare che grazie alla contabilizzazione delle attività illegali il pil ha ripreso a crescere prima del previsto, anzi, poiché questo nuovo sistema di calcolo avrà un valore retroattivo, aveva già ripreso a crescere negli anni passati e, nonostante la nostra sapienza, non ce n’eravamo accorti. A me sembra, Delfina, che qui sono asciti tutti pazzi. Ma non i pazzi svampiti e innocui, chiusi nel loro mondo fuori della realtà. Io ho il sospetto che la valorizzazione economica di attività attualmente ritenute illegali sia una manfrina per preparare l’opinione pubblica ad accettare il loro riconoscimento giuridico, in modo da poterle sottoporre a prelievo fiscale. Pensa che manna sarebbe per il bilancio dello Stato la possibilità di tassare la vendita delle droghe e i servizi ( i servizi…) della prostituzione!

Noi non avevamo certo bisogno di questo tocco d’ulteriore follia per confermarci nella convinzione che la crescita del pil non possa essere considerata un indicatore di benessere. E che, anzi, la sua decrescita può far aumentare il benessere se consegue a una riduzione della produzione di merci che non hanno nessuna utilità e causano danni agli ambienti e alla salute umana: l’energia che si spreca per inefficienza, il cibo che si butta, l’abuso di medicine per curare i sintomi di malattie, vere o presunte, invece di eliminare le cause ambientali che le generano, le perdite d’acqua nelle tubazioni e gli sprechi d’acqua nelle case, la costruzione di edifici che restano vuoti, i consumi di carburante per trasportare a distanze sempre maggiori merci che si possono produrre localmente, la pubblicità ingannevole e subdola, l’obsolescenza programmata. Quante volte ne abbiamo discusso nel gruppo ambientalista della tua parrocchia quando facevo il militare a Cuneo!

Sarà che allora eravamo giovani, sarà che essendo sempre vissuto a Napoli, le passeggiate che mi accompagnavate a fare sulle vostre montagne erano per me la scoperta di un mondo nuovo, sarà il ricordo degli stupendi risotti coi funghi che faceva tua mamma, ma ho sempre una gran nostalgia di quei mesi.

Un abbraccio

tuo Totò